Dopo gli elettori e gli alleati politici, ci sono anche i grandi donatori tra le categorie che Joe Biden deve convincere dopo la disastrosa performance al dibattito con Donald Trump mandato in onda dalla Cnn lo scorso 27 giugno. E loro potrebbero avere più forza di convincimento di altri, anche della famiglia del presidente. E il primo crack è arrivato da parte di Reed Hastings, presidente di Netflix e fondatore della piattaforma trent’anni fa, che ha chiesto un nuovo candidato che abbia il giusto “vigore” per affrontare la corsa.

Hastings ha donato negli ultimi anni circa 20 milioni di dollari ai dem, a cominciare da Biden nel 2020 ma anche per il governatore della California Gavin Newsom per il 2021, quando ha dovuto affrontare una dura elezione speciale. Quest’anno ha versato solo 100mila dollari alla campagna di Biden ma ora ha promesso di non versarne più. Negli stessi giorni a cavallo tra giugno e luglio, anche lo sceneggiatore Damon Lindelhof, autore di serie tv celebrate come Lost e Watchmen, ha lanciato su X, l’ex Twitter, una campagna di «sciopero delle donazioni» per fare una mossa «dolorosa adesso» che però eviti danni peggiori più tardi.

Dalle parti della campagna di Biden ovviamente cercano di minimizzare, dicendo che il presidente non ha alcuna intenzione di ritirarsi e che rimane in gioco. Ieri si è seduto in uno studio televisivo per un’intervista esclusiva all’Abc con il giornalista George Stephanoupolos, che è anche stato al vertice del team della comunicazione di Bill Clinton nel 1993, dove il presidente mostrerà cosa è capace di fare e che quello del 27 giugno è stato solo un incidente di percorso. Per rafforzare questo concetto, è anche andato a un evento pubblico in Wisconsin dove però si è affidato a un teleprompter, evoluzione tech del vecchio “gobbo”.

Secondo un articolo del Washington Post però, il presidente negli ultimi eventi si è sempre appoggiato a questo strumento e il suo staff cerca di far capire che ormai è standard per i politici appoggiarsi a un testo scritto scorrevole, cosa non del tutto corretta. E infatti anche altri munifici sostenitori dei dem stanno cercando di chiamarsi fuori, come ad esempio Abigail Disney, pronipote di Walt che ha detto chiaramente con con Biden si perderanno le elezioni, se non si deciderà a farsi da parte. Non tutti però hanno intenzione di andare verso il sostegno a Kamala Harris, come vorrebbero alcuni maggiorenti del partito a cominciare dall’influente Jim Clyburn, decano della delegazione afroamericana al Congresso.

I governatori

Harris avrebbe l’indubbio vantaggio di poter mantenere lo staff e la struttura della campagna elettorale e di non dover restituire i fondi finora incassati, che sono poco più di 212 milioni di dollari. Alcuni donatori, contattati dal Financial Times, vorrebbero sperimentare qualcosa di nuovo, come una candidatura di due facce fresche come la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer e l’omologo della California Gavin Newsom, che già è nelle grazie di Hastings. In quel caso però le incognite sarebbe moltissime e sembrerebbero candidatura calate dall’alto, andando oltre la scelta delle primarie.

Alcuni magnati però come il miliardario delle criptovalute Mike Novogratz, stanno già puntando al dopo, creando un nuovo Super Pac per cominciare da zero una raccolta fondi, usando un nome molto indicativo: Next Generation Pac. Non c’è però al momento una linea d’azione comune, anche se appare sempre più lontana l’ipotesi che Biden si possa riprendere, anche se i governatori dem, dopo l’incontro con il presidente, hanno detto che la candidatura è ancora valida, ma sembra una dichiarazione più di circostanza che di convinzione.

Anche Nancy Pelosi, ex speaker della Camera, ha detto che le domande sull’età del presidente sono «legittime». Segnale che comunque ormai la bolla costruita dallo staff intorno al presidente si è rotta. Infatti, sui maggiori giornali americani si susseguono storie su un presidente che può lavorare soltanto «sei ore al giorno», che deve evitare «gli eventi serali» e che spesso «sembra assente» anche di fronte ad amici di vecchia data, come se la congiura del silenzio voluta dalla leadership dem sia stata improvvisamente infranta. Nella giornata di venerdì però sono arrivate due notizie: la prima riguarda un evento pubblico in Pennsylvania che avrebbe dovuto essere domenica e che invece è stato cancellato per ragioni «organizzative».

Poi una lettera firmata da 168 imprenditori d’area dem ha chiesto al presidente di farsi da parte per «salvare la democrazia». La testardaggine del team presidenziale però si sta scontrando con una realtà sempre più negativa, dove l’opera di contenimento del danno sembra non aver convinto proprio nessuno. Anzi, sembra che sempre più esponenti politici stiano apertamente criticando la scelta del presidente di ricandidarsi violando quanto detto in campagna elettorale: che sarebbe stato solo un «ponte» verso una nuova generazione di leader. Col dibattito del 27 giugno quel ponte sembra crollato e i grandi donatori vogliono andare oltre.

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