Nel G20 straordinario sull’Afghanistan ciò che si nota sono gli assenti. Il premier Mario Draghi elenca gli sforzi comuni per evitare la catastrofe umanitaria, l’impegno per ripristinare un sistema bancario afghano al collasso, la lotta al terrorismo e definisce il summit «un successo», ma implacabile alla fine dei suoi annunci gli piomba addosso la domanda: «Presidente, perché Vladimir Putin e Xi Jinping non hanno partecipato?». Nessun motivo particolare, hanno mandato altri al posto loro, risponde il premier, che ha usato tutta la propria autorevolezza per trascinare Mosca e Pechino attorno a un tavolo e per concedere a Washington una condivisione della crisi afghana. Si è trovato al tavolo interlocutori deboli – ministri, vice, lo stesso Joe Biden che era presente sì, ma politicamente altrove – per risultarne infine debole lui stesso. La sua conclusione è che «questo è il primo appuntamento multilaterale sull’Afghanistan» e «una delle prime affermazioni» di un multilateralismo redivivo. Va letta a rovescio: nonostante lo sforzo, il multilateralismo è a pezzi.

Agonia del multilateralismo

«La destabilizzazione in Afghanistan non fa comodo a nessuno, però ciascuno vuole stabilizzare l’area a modo suo», dice il presidente dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, Giampiero Massolo. È chiaro che «Cina, Russia, e gli stessi Stati Uniti, perseguono una logica di potenza che privilegia i rapporti di forza». E infatti mentre si tiene il G20, intanto sull’Afghanistan si lavora a un quadrilaterale – Pechino, Mosca, Washington più il Pakistan – e a un formato a undici. «C’è un intersecarsi di formati plurilaterali», altro che governance globale consensuale. E l’Europa? «Vorrebbe, ma tra le grandi potenze non figura».

La diffidenza di Mosca

Non Putin, e neppure il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, ma il suo viceministro Igor Morgulov, ha rappresentato la Russia in questo vertice. In compenso Mosca organizza il suo controvertice a cinque: l’appuntamento è il 20 ottobre e gli invitati sono Afghanistan, Cina, Pakistan, Iran e India. La strategia è pragmatica, la filosofia di fondo è una sfiducia totale verso la strategia occidentale. Il Cremlino non fa che ribadire in pubblico uno slogan, e cioè che gli americani fanno i difensori dei diritti ma poi quando non hanno più interessi se la devono vedere gli altri. Putin ha dichiarato che: «Le responsabilità dirette della crisi sono di Usa e Nato, dunque la ricostruzione postbellica devono pagarla anzitutto loro». Almeno Lavrov non avrebbe potuto presentarsi, facendo un beau geste verso Italia ed Europa? Il punto è che l’Unione europea non è ritenuta autonoma sul piano militare, dunque non è considerata un grande attore globale. C’è poi quel tema non da poco, della Nato che si è rifiutata di collaborare con la Csto, l’alleanza militare della sfera russa; il clima è di rivalsa.

Lo spazio di Pechino

Anche Xi Jinping non c’era, è comparso in sua rappresentanza Wang Yi. Il ministro degli Esteri ha detto, tra le altre cose, che «imporre la propria ideologia agli altri, interferire, ricorrere a interventi militari, porta disordini e disastri umanitari». Un colpo non troppo velato agli Usa, a cui si aggiunge un supporto, anch’esso non celato, ai talebani: «Le sanzioni unilaterali sull’Afghanistan dovrebbero essere revocate il prima possibile». A luglio lo stesso Wang Yi aveva incontrato il capo politico dei talebani e aveva definito l’organizzazione «fondamentale»; interlocuzioni erano in corso già dal 2019. Ora le comunicazioni sono aperte, il flusso di aiuti e soldi pure, i dispacci diplomatici parlano di «una cauta alleanza».

Il tradimento di Washington

E gli Stati Uniti? «Il fatto stesso che questo G20 si sia tenuto, grazie alla costanza del governo italiano, è un successo», stando all’ex ambasciatore italiano negli Stati Uniti Giovanni Castellaneta. «Si è rotto uno schema bilaterale, l’Onu a sua volta è dispersivo, il formato a venti ha la giusta consistenza». Intanto Washington, presente con Biden al vertice tanto desiderato, continua però a andare per conto suo. Già la Casa Bianca tradì gli alleati europei e Londra, resistendo alle loro richieste di far slittare l’ultimo giorno di presenza a Kabul. Poi va per tavoli suoi. Questo weekend ad esempio ha fissato negoziati coi Talebani. «Certo, con Trump e già prima con Obama, c’è una tendenza a seguire i propri interessi nazionali», riconosce Castellaneta. Da Washington, Brian Katulis del Center for American Progress derubrica la scarsa considerazione per l’Europa come «errori tattici». Ma sembra più una scelta strategica: quella, cioè, di concentrarsi sui rapporti – tesi – con la Cina e gestire l’altra potenza, Mosca. «Inoltre Biden è assai preso dalla politica domestica».

La solitudine europea

A questo G20, la Commissione europea non si è presentata a mani vuote, ma con un miliardo di dollari sul tavolo, da destinare ad Afghanistan e paesi vicini. Un tentativo di assumere peso nei negoziati, e l’intenzione già chiara di finanziare chi accoglie i migranti nell’area prima che arrivino magari in Europa. Mario Draghi dal canto suo ha fatto valere la propria esperienza, insistendo sulla necessità di rimettere in piedi un sistema bancario afghano. Altro punto su cui i venti hanno trovato consenso, l’intento anti terrorismo e il mandato all’Onu di affrontare l’emergenza umanitaria. Ma si tratta di contenere i danni. Per il resto chi decide sono altri, altrove.

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