La superpotenza Usa ha reagito e Teheran e Baghdad, in un nuovo asse sciita, hanno avvertito che Washington si sta impegnando in «un altro errore avventuroso e strategico». Effettivamente gli attacchi statunitensi in Iraq e Siria metteranno alla prova la volontà dell’Iran di intensificare l’escalation, ma è molto improbabile che gli ayatollah reagiranno, puntando invece su azioni di disturbo di gruppi filo-iraniani sparsi nella cosiddetta Mezzaluna sciita dall’Iran al Mediterraneo e nel Mar Rosso. I raid hanno suscitato l'irritazione dell'Iraq che li ha definiti «una violazione della sovranità territoriale».

Per Damasco l'occupazione statunitense del territorio siriano «non può continuare». Anche Hamas ha condannato gli attacchi, affermando che Washington ha versato «benzina sul fuoco» in Medio Oriente.

Dopo cinque giorni il raid di droni in Giordania che ha ucciso tre soldati americani e ne ha feriti altri 40, gli Stati Uniti hanno lanciato la rappresaglia contro le milizie filo-iraniane in Iraq e Siria escludendo il territorio dell’Iran.

Una serie di missili, lanciati da bombardieri arrivati dagli Usa, si sono rovesciati su 85 obiettivi e sette siti con strutture legate ai Pasdaran e alle milizie filo-Teheran: tre dei siti colpiti erano in Iraq, quattro in Siria. «Oggi è cominciata la nostra risposta», ha fatto sapere il presidente Joe Biden, che poche ore prima, presso la base aerea di Dover nel Delaware, insieme alla moglie Jill e ai vertici della Difesa, aveva presenziato al rientro delle salme dei soldati Usa. «Continuerà nel momento e nel luogo prescelti. Gli Stati Uniti non sono alla ricerca di guerre in Medio Oriente o in nessuna altra parte del mondo. Ma se farete del male agli americani, noi risponderemo». Lo speaker repubblicano, Mike Johnson, ha criticato modi e tempi dei raid ordinati da Joe Biden ritenendoli insufficienti e troppo tardivi.

Dalle prime notizie sembra che siano morti almeno 18 membri di milizie filo-iraniane. I media filo iraniani e iraniani hanno minimizzato la portata dei raid americani ricordando che tutti gli avvertimenti di Biden nei giorni scorsi hanno portato allo sgombero preventivo di quasi tutte le basi colpite.

Sebbene stiano ancora "valutando" gli effetti dei bombardamenti, le autorità americane hanno assicurato che gli attacchi hanno avuto "successo" e hanno colpito con precisione obiettivi militari in entrambi i Paesi. Oltre a inviare un messaggio alle milizie filo-iraniane e alla Guardia rivoluzionaria, ha spiegato in un incontro con i giornalisti il portavoce del Consiglio di sicurezza John Kirby, i raid mirano a "indebolire" la loro capacità militare «in modo più vigoroso».

Kirby ha aggiunto che gli obiettivi bombardati sono stati «scelti con cura» per evitare vittime civili e che gli Stati Uniti hanno «prove inconfutabili» che fossero collegati ad attacchi contro il personale americano nella regione; e ha sottolineato gli Stati Uniti avevano precedentemente informato il governo iracheno ma che non hanno più avuto comunicazioni con l'Iran dopo l'attentato che aveva ucciso i tre soldati nella base militare statunitense nota come Tower 22 (il sito in Siria dove ci sono 350 soldati che svolgono compiti, di sostegno alla coalizione internazionale contro l'Isis).

«Questo è l'inizio», ha detto il capo del Pentagono Lloyd Austin dopo essersi scusato in conferenza stampa di non aver avvisato Biden del suo ultimo ricovero in ospedale. È probabile che gli Usa facciano anche ricorso ad azioni di guerra cibernetica contro l'Iran. Anche per non innescare una conflagrazione maggiore. Proprio per evitarlo domenica da Washington parte il quinto tour nella regione del segretario di Stato Usa, Antony Blinken dal 7 ottobre. Biden ha fatto capire che l'operazione militare durerà giorni.

Spaccatura all’interno di Hamas

Il Wall Street Journal riferisce che c'è una spaccatura all'interno della leadership di Hamas sulla proposta di tregua per fermare la guerra a Gaza e riportare in Israele gli ostaggi. Secondo il quotidiano il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar e altri esponenti in loco vorrebbero accettare l'offerta di fermare i combattimenti per sei settimane; mentre i capi di Hamas in esilio vogliono arrivare a un cessate il fuoco permanente.

La proposta attende anche la decisione da parte del gabinetto di guerra israeliano guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu; mentre è stata accettata dal capo del Mossad, David Barnea.

Un fatto inusuale è stata la critica tedesca a Israele: la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock ha criticato l'annuncio di un'offensiva militare nella parte più meridionale di Gaza: «Agire ora a Rafah, l'ultimo e più sovraffollato posto» della Striscia, «come annunciato dal ministro della Difesa israeliano (Yoav Gallant), non sarebbe giustificabile», ha sostenuto l'esponente dei Verdi in una intervista ai giornali del gruppo Rnd. Un segnale europeo di insofferenza da non sottovalutare.

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