Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha tenuto una conferenza stampa. Erano presenti anche i ministri al ministero della Difesa, Yoav Gallant, e il ministro del gabinetto di guerra, Benny Gantz, nonostante i rapporti difficili degli ultimi tempi. 

«La guerra continua su tutti i fronti, finché gli obiettivi che ci siamo prefissati non saranno raggiunti», ha detto Netanyahu. Ha anche criticato i media israeliani che stanno diffondendo l’idea che Israele non vincerà questa guerra. «Puntiamo alla vittoria completa. Una vittoria totale su Hamas», ha detto sapendo che questo richiederà più tempo.

Per Netanyahu, la guerra finirà quando Gaza sarà disarmata e Israele avrà il completo controllo della sicurezza su di essa. Durante la conferenza stampa, ha ribadito di aver comunicato già agli Stati Uniti, o meglio «gli amici americani», di non voler accettare la proposta di una creazione dello stato palestinese. «In qualsiasi accordo futuro, Israele ha bisogno del controllo di sicurezza su tutto il territorio a ovest del fiume Giordano», ha aggiunto. 

Netanyahu ha detto che il conflitto con i palestinesi non riguarda «la mancanza di uno Stato, ma l’esistenza di uno Stato: uno stato ebraico».

I media lo avevano già anticipato durante la giornata dichiarando che il premier aveva rifiutato la proposta americana concordata con il principe saudita Mohammed bin Salman e altri quattro leader arabi. L’idea era quella di normalizzare le relazioni con Israele in cambio dell’accettazione da parte dell’inizio di un percorso verso uno stato palestinese. Dopo il rifiuto, tre alti funzionari statunitensi hanno dichiarato che l’amministrazione Biden sta guardando oltre a Netanyahu per cercare di raggiungere gli obiettivi prefissati. «Non sarà lì per sempre», hanno detto i funzionari a Nbc News. 

Israele si è sempre dichiarato contrario alla possibilità di consentire la formazione di uno stato con a capo l’Autorità palestinese. Già durante la visita del segretario americano della settimana scorsa, Netanyahu aveva detto di non essere preparato ad accettare questo accordo. 

Il premier, però, aveva detto si alla parte dell’accordo che stabilisce il contenimento degli attacchi contro il Libano. Ha anche acconsentito all’ingresso di una squadra di funzionari della Nazioni Unite a Gaza per una valutazione delle condizioni. 

Intanto il presidente israeliano, Isaac Herzog, ha parlato al Forum economico mondiale di Davos. «Nessuno sano di mente è disposto ora a pensare a quale sarà la giusta soluzione degli accordi di pace», ha detto Herzog sottolineando la perdita di fiducia del popolo israeliano nel percorso verso la pace. Ha sottolineato che ormai la guerra «non è solo tra Israele e Hamas», ma l’allargamento del conflitto è già in atto, riferendosi all’Iran come «l’impero del male» che mina tutti i processi di pace. A differenza del rifiuto di Netanyahu, il presidente Herzog non esclude la possibilità di creare due stati ma con delle condizioni. «Quando parliamo di due stati, la domanda preliminare è quale sicurezza per cittadini israeliani», ha detto a Davos. 

La risoluzione del Parlamento

Per la prima volta dall’inizio del conflitto, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione, non vincolante, per chiedere un cessate il fuoco permanente nella Striscia di Gaza e per accelerare la consegna degli aiuti umanitari. Le condizioni sono due: gli ostaggi ancora nella Striscia di Gaza devono essere rilasciati immediatamente e senza condizioni e Hamas deve essere smantellato.

Le condizioni sono state decise su proposta del Partito popolare europeo che aveva espresso delle critiche sulla prima bozza per la loro assenza. I socialisti, i centristi e i verdi erano in cerca di una risoluzione per un cessate il fuoco permanente e la ripresa degli sforzi verso una soluzione politica. La risoluzione è stata approvata in sede plenaria con 312 voti a favore, 131 contrari e 72 astensioni. 

Il Parlamento ha condannato con fermezza «lo spregevole attacco terroristico commesso da Hamas contro Israele», ma ha anche denunciato «la risposta militare sproporzionata israeliana».

Anche l’iniziativa europea per rilanciare la soluzione dei due stati è stata ribadita, richiedendo la fine dell’occupazione dei territori palestinesi. 

Risposta pakistana all’Iran

Islamabad ha lanciato attacchi in Iran, in risposta all’aggressione di Teheran. Il ministero degli Esteri pakistano ha detto che il paese ha condotto «attacchi militari di precisione» verso il sud-est dell’Iran contro nascondigli di terroristi nella provincia di Siestan-o-Baluchistan. Ha poi comunicato in una nota che sono stati uccisi diversi militanti.

In base a quanto riferito da un alto funzionario della sicurezza del Pakistan, fonte anonima sentita dal New York Times, Islamabad ha colpito sette campi usati dai separatisti Baluchi che si trovano a meno di 50 chilometri dal confine. Sono morte sette persone nell’attacco, quattro bambini e tre donne, dicono i media iraniani, secondo cui diverse esplosioni sarebbero state sentite nei pressi della città di Savaran. Successivamente, l’Iran ha confermato la morte di altri due uomini, facendo salire il bilancio a nove. 

Il Pakistan aveva avvertito: l’attacco di Teheran è stata una palese violazione del diritto internazionale e si sarebbe riservato «il diritto di rispondere». L’aggressione ha portato Islamabad a ridimensionare le relazioni diplomatiche con il paese confinante, ha richiamato l’ambasciatore a Teheran ed espulso l’omologo iraniano. Anche l’Iran ha convocato l’incaricato degli affari pakistano «per una spiegazione». 

La Cina è intervenuta ancora sugli attacchi militari tra Iran e Pakistan. Già aveva invitato i due paesi ad usare moderazione per evitare un ulteriore allargamento del conflitto. Dopo la risposta pakistana, si è dichiarata «pronta a svolgere un ruolo di mediazione». Lo ha riferito il portavoce del ministero degli Esteri cinese. 

L’attacco iraniano

L’Iran ha condotto un’operazione verso il Pakistan, dopo aver attaccato infrastrutture sospettate di essere basi di spionaggio israeliane nella regione curda dell’Iraq e in Siria, per vendicare il doppio attentato suicida, avvenuto il 3 gennaio e rivendicato dallo stato islamico, che ha ucciso più di 80 persone durante la commemorazione della morte del generale iraniano Qasem Solemaini.

Gli obiettivi erano, aveva dichiarato Teheran, terroristici, basi appartenenti al gruppo militante sunnita, Jaish al-Adl. Ma nell’attacco sono morti due bambini. 

Il rischio di un’ulteriore escalation di tensioni e violenza nella regione è alto, e ieri il ministro degli Esteri iraniano, difendendosi dalle accuse ha avvertito Israele: «Se il genocidio a Gaza si ferma, ciò porterà alla fine di altre crisi e attacchi nella regione».

In Palestina

Gaza sta vivendo da sette giorni un blackout delle comunicazioni, mentre gli attacchi israeliani sulla città di Tulkarem in Cisgiordania hanno ucciso sette persone, tra cui due bambini, e ferito anche due paramedici, riferisce l’Onu. 

Al Jazeera riporta che sarebbero almeno undici le vittime uccise in due diversi attacchi aerei israeliani, in un campo profughi a Ramallah e a Tulkarem. 

Il direttore del notiziario al Quds, Wael Fanouneh, è stato ucciso a causa di alcuni bombardamenti a Gaza city. Sono più di cento i giornalisti vittime del conflitto. Lo ha riportato al Jazeera. 

L’Idf è ancora operativo anche nella zona sud di Gaza, a Khan Yunis. Le truppe hanno comunicato la morte di 40 agenti di Hamas. In questa zona è stata colpita anche «la residenza di un terrorista» in cui l’esercito ha trovato armi ed equipaggiamento militare. L’ospedale Nasser, il più grande ancora parzialmente funzionante a Gaza, potrebbe essere costretto a chiudere definitivamente a seguito degli attacchi israeliani. Anche nel nord di Gaza, sono stati condotti dei raid. Le truppe che operano in quest’area hanno avvistato alcuni agenti palestinesi della Jihad islamica mentre armavano un’auto con esplosivi. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha avvertito Israele di «tenere conto della possibilità che la situazione peggiori nel nord». 

Intanto, mentre lo scontro sul confine con il Libano va avanti, Hezbollah ha rifiutato la proposta americana di raffreddare le tensioni con Israele. La speranza rimane aperta per un dialogo con la diplomazia americana con lo scopo di evitare una guerra. La posizione di Hezbollah è chiara: lancerà i razzi contro Israele finché non verrà deciso un cessate il fuoco definitivo a Gaza. 

Continuano anche le proteste dei familiari degli ostaggi per il rilascio dei loro cari ancora nelle mani di Hamas. Centinaia di persone si sono radunate per manifestare nel giorno del compleanno di Kfir Biba, l’ostaggio che oggi compie un anno. Non si hanno notizia sul suo stato di salute. 

Nel mar Rosso

Le forze americane e britanniche hanno lanciato il quarto attacco in diverse aree dello Yemen. «L’aggressione ha preso di miri i governatorati di Al Hudaydah, Taiz, Dhamar, Al Bayda e Saada», ha detto la tv Al Masirah degli Houthi. Le forze congiunte hanno abbattutto 14 missili «caricati per essere lanciati» dallo Yemen. Il Comando centrale degli Stati Uniti (Centom) ha confermato che questi missili rappresentavano una minaccia per le navi commerciali e quelle della marina nella regione. 

Gli attacchi sono arrivati dopo la scelta americana di inserire il gruppo di ribelli yemeniti nella lista dei terroristi. La notizia è stata solo annunciata, bisognerà attendere trenta giorni prima della sua entrata in vigore. Gli Houthi hanno ribadito che la scelta americana non fermerà gli attacchi contro le navi dirette ad Israele. 

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