Mentre i riflettori dei media americani seguono i candidati dei maggiori partiti – Joe Biden e Donald Trump – ci sono movimenti a margine che potrebbero produrre un candidato terzo insolitamente competitivo.

Con un nome altisonante: Kennedy, che sarebbe sulle schede elettorali di tutti gli stati grazie a un possibile accordo con il Partito libertario. Dopo una breve candidatura alle primarie democratiche, Robert Kennedy Junior, nipote dell’ex presidente John Fitzgerald e figlio di Bobby, qualche mese fa ha deciso di lanciare una candidatura come indipendente.

A spingerlo in questa direzione non è stata soltanto la difficoltà di sconfiggere un presidente in carica che si ricandida, ma anche le sue controverse posizioni sui vaccini, che a suo avviso causerebbero l’autismo e altri effetti collaterali, ma anche perché su altri temi come diritti della comunità Lgbtq+, l’aborto e la politica estera, il suo pensiero è molto lontano dal Partito democratico attuale.

L’unico tratto di vicinanza è sulla politica ambientale, anche se una recente inchiesta del magazine Politico ha tracciato un collegamento con una compagnia petrolifera attraverso la quale guadagnerebbe decine di migliaia di dollari ogni anno. Poco male, quando le tue posizioni sono così estreme difficilmente si viene danneggiati, come insegna l’esperienza di Donald Trump. Kennedy però ha un potenziale politico per danneggiare tutti gli schieramenti politici.

Il suo scetticismo sui vaccini trova terreno fertile in certi ambienti repubblicani, per mesi si è chiacchierato a proposito di un possibile ticket presidenziale unitario con Donald Trump, e il governatore della Florida Ron DeSantis quando era candidato alle presidenziali aveva proposto la sua nomina a capo della Food and Drug Administration, l’agenzia federale che si occupa della sicurezza degli alimenti e dei farmaci. Attualmente però da parte del campo del tycoon c’è poca preoccupazione.

Al momento i sondaggi indicano che la sua presenza danneggia più Joe Biden, al quale sottrae voti in virtù della sua storia familiare, ma anche perché le sue posizioni sulla medicina alternativa sono popolari in un pezzo di mondo progressista marginale ma non inesistente. Al momento quindi gli sforzi dello staff elettorale dem sono per tenerlo il più possibile lontano dalla scheda elettorale che verrà stampata nei singoli stati, attraverso ricorsi legali e cavilli burocratici. Un piano che però verrebbe vanificato qualora andasse in porto un matrimonio politico di convenienza con il Partito libertario, storica formazione politica terza presente in tutti e cinquanta gli stati americani.

I libertari, che hanno posizioni progressiste sui diritti civili e conservatrici in tema economico e fiscale, vedono con favore l’ostilità di Kennedy nei confronti degli obblighi vaccinali governativi, che ben si sposa con lo scetticismo nei confronti del governo federale della piccola formazione politica.

Kennedy, quindi, otterrebbe un facile accesso al voto di novembre, e i libertari potrebbero superare la soglia del 5 per cento dei voti, che farebbe scattare il finanziamento pubblico federale per le elezioni del 2028. Un accordo di reciproco aiuto che però potrebbe saltare per la diversità di vedute sulla guerra di Israele contro Hamas: il mondo libertario, storicamente isolazionista, è molto ostile all’aiuto militare verso l’estero e vede come un crimine di guerra ciò che sta avvenendo nella Striscia di Gaza. Kennedy, invece, pur scettico nei confronti dell’aiuto militare all’Ucraina, è un sostenitore adamantino d’Israele, forse anche più dello stesso Donald Trump.

Non ha mai chiesto nessun tipo di tregua a Tel Aviv e concorda con il piano di aiuti proposto da Joe Biden. Non solo: ha definito i palestinesi «il popolo più viziato dalle organizzazioni internazionali». Sembrerebbe una questione minore, per un partito che fatica a eleggere candidati. In passato però il comitato centrale dei libertari aveva rifiutato il sostegno alla senatrice repubblicana dell’Alaska Lisa Murkowski, sconfitta alle primarie del 2010, perché le sue posizioni sulla spesa pubblica non erano compatibili con gli ideali promossi dal partito.

Nel frattempo, Kennedy va avanti e ha nominato in un evento pubblico a Oakland anche la sua vicepresidente: si tratta di Nicole Shanahan, ex moglie del cofondatore di Google Sergey Brin. Nel 2020 Shanahan aveva sostenuto l’elezione di Joe Biden, mentre quest’anno ha annunciato il suo sostegno al candidato indipendente, pagando anche uno spot andato in onda durante l’intervallo del Super Bowl che utilizzava uno storico jingle utilizzato durante la campagna elettorale di John Fitzgerald Kennedy nel 1960, scelta che aveva fatto infuriare il resto della famiglia politica del Massachusetts, che nelle ultime settimane si è affrettata a ribadire il suo sostegno a Joe Biden, tanto da comparire con lui durante un evento pubblico che si è svolto il giorno di San Patrizio.

Il nome Kennedy quindi sposta ancora dei voti e Joe Biden deve fare attenzione che l’ultimo erede politico della più nota famiglia presidenziale americana non regali l’elezione a Donald Trump il prossimo novembre.

© Riproduzione riservata