Sulle notizie che concernono la guerra in Ucraina, talvolta l’approssimazione e l’eccessiva semplificazione di certe rappresentazioni può fare il gioco dell’aggressore e non approfondisce il quadro esatto della realtà.

Posto che a monte i media ormai dovrebbero essere accorti di fronte all’evidente “guerra ibrida” posta in essere dagli stati nemici dell’occidente, nelle analisi di eventi di rilievo come quello della Conferenza di alto livello organizzata dalla Confederazione Elvetica occorre uno sforzo in più da parte degli analisti.

Al momento ci si è limitati ad enfatizzare il mainstream sulla mancata adesione al documento finale da parte di 12 stati: ma 12 “riserve” non sono forse espressione di una netta minoranza rispetto agli 80, fra stati e organizzazioni, che vi hanno aderito?

La Dichiarazione di Lucerna

La dichiarazione finale del vertice svoltosi a Bürgenstock il 15 e 16 giugno merita di essere analizzata nelle sue importanti affermazioni di principio – specie sotto il profilo del diritto internazionale – e nelle finalità che si propone. Il documento, approvato anche da Ue e Consiglio d’Europa, ha ottenuto la condivisione su cinque punti fondamentali: la sicurezza nucleare, con particolare riferimento alle misure per la centrale di Zaporizhzhia, la sicurezza alimentare con il ripristino della libertà di navigazione per il traffico commerciale nel mar Nero, il rientro in patria dei bambini ucraini trasferiti in Russia nell’ambito di un quadro più ampio di scambi di prigionieri, l’affermazione della «sovranità, indipendenza e integrità territoriale» dell’Ucraina, e, infine, la prospettiva per la ripresa del dialogo per i negoziati.

Si parla infatti già di una nuova Conferenza da convocarsi entro novembre, prima della elezioni statunitensi, dal cui esito dipenderà la conferma di Biden di fronte allo sfidante Trump. È dunque chiaro l’obiettivo del percorso intrapreso, che probabilmente è quello che più teme Putin: convergere attorno a «una interpretazione comune» delle basi legali per «una pace giusta e duratura», in sostanza una dichiarazione su ciò che prevede in questi casi il diritto internazionale.

Il sud del mondo

Si può ora tracciare un’analisi sulle 12 mancate adesioni, partendo da un’osservazione: si è detto che la contrarietà al documento è stata espressione principalmente del Global South, quel sud globale – comprensivo di Africa, America Latina, Asia, Oceania – tanto evocato nella retorica del “multipolarismo” di Russia e Cina (certamente due campioni dell’universalismo democratico e della libertà dei popoli, come gli ucraini, i georgiani, gli uiguri e gli abitanti di Taiwan).

Indubbi sono i motivi per cui la Russia e la Cina si sono accattivate le simpatie di molti paesi del sud globale, a cominciare dagli alleati dei Brics (l’organizzazione promossa da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e del forum di Shanghai: da un lato il petrolio a basso costo e i servizi della Wagner diffusi dalla Russia specie nei paesi africani che si sono voluti affrancare dalla Francia (vedranno presto a quale prezzo), dall’altro c’è il condizionamento degli investimenti cinesi con la Via della Seta, su cui Pechino sta già vincolando molti paesi africani, asiatici e latino-americani nella trappola dei debiti sovrani.

Ma è davvero totale l’allineamento del Global South sulle posizioni della Russia? Un riscontro diverso appare dalla consultazione dell’elenco di chi ha sottoscritto la dichiarazione finale. Con sorpresa compare una lista di diversi paesi del sud globale che invece hanno sottoscritto il documento e alcuni non sono certo poco rilevanti: Argentina, Benin, Capo Verde, Cile, Comore, Costa Rica, Costa d’Avorio, Repubblica Dominicana, Ecuador, Figi, Gambia, Ghana, Guatemala, Kenya, Liberia, Nuova Zelanda, Palau, Perù, Filippine, Qatar, Sao Tomè e Principe, Somalia, Suriname, Timor Est, Uruguay. Si è dato pure spazio al fatto che altri due paesi hanno “ritirato” la firma dal documento: l’Iraq, praticamente uno stato che stenta a rinascere sotto influenza dell’Iran, e la Giordania, paese arabo che probabilmente si è voluto allineare alla scelta di “neutralità” dell’Arabia Saudita (di cui più avanti si precisano i contorni).

Gli astenuti

Sydney Mufamadi alla conferenza di Lucerna (foto EPA)

Certo hanno rilevanza la mancata partecipazione della Cina e le astensioni di Sudafrica e India, ma le loro posizioni vanno meglio chiarite. Sulla mancata partecipazione della Cina indicativa è la precisazione che fa la stessa Confederazione Elvetica sul sito della Conferenza: in risposta all’invito ad intervenire il ministero degli Affari esteri cinese ha dichiarato di attribuire «grande importanza all’organizzazione del primo vertice per la pace in Ucraina da parte della Svizzera», e la sua riserva è stata opposta perché si «dovrebbe facilitare una discussione equa su tutti i piani di pace conformemente al diritto internazionale, per coinvolgere i paesi del sud del mondo e integrare la Russia nel processo di pace».

Tuttavia la Svizzera aveva già chiarito che non proponeva un foro negoziale, ma una piattaforma iniziale largamente condivisa dagli stati con cui promuovere i buoni uffici per i successivi negoziati tra le parti in causa. Quanto all’India, sono note le dichiarazioni più volte riprese in varie occasioni dal leader Modi, secondo cui «questa non è un’èra di guerra» e che «democrazia, diplomazia e dialogo sono le cose che uniscono il mondo».

Per il Sudafrica, è indicativo lo statement di “disaccordo” al documento di Lucerna presentato dal professor Sydney Mufamadi, consigliere per la sicurezza nazionale della Repubblica sudafricana. Il governo di Pretoria ha aderito al vertice condividendo «questo dialogo sui percorsi verso una pace globale, inclusiva, giusta e duratura in Ucraina e nella regione».

Sono poi indicati tre punti della mancata adesione al documento finale. Il primo riguarda Israele, che il Sudafrica ritiene non abbia diritti ad intervenire in un forum che richiama la Carta delle Nazioni unite posto che a suo carico pende l’accusa di genocidio (di cui il governo di Pretoria è promotore) davanti alla Corte internazionale di giustizia.

Il secondo motivo concerne la necessità che il negoziato sia fatto ad un tavolo in cui siano presenti le parti, Ucraina e Russia. Il terzo punto riguarda la sicurezza nucleare: secondo il delegato sudafricano «il linguaggio adottato nel comunicato per quanto riguarda la minaccia o l’uso di armi nucleari restringe il divieto al solo contesto dell’Ucraina», mentre il Sudafrica sostiene la «proibizione totale della minaccia o dell’uso di armi nucleari in qualsiasi contesto».

Ciononostante, nello stesso statement il professor Mufamadi riconosce «l’importanza che questo processo ha attribuito alla Carta delle Nazioni unite, al diritto internazionale e ai diritti umani» ed è esplicito: «Il Sudafrica ha sostenuto l’applicazione uniforme dei principi della Carta delle Nazioni unite e del diritto internazionale, compreso il rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina».

Anche la mancata adesione dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi va approfondita: i loro rappresentanti hanno fornito contributi attivi ai lavori del vertice di Lucerna, ed è emersa la loro posizione “neutrale” piuttosto per meglio riproporsi come mediatori in una prossima Conferenza. In particolare il ministro degli Esteri saudita Faisal Bin Farhan Al Saud ha anticipato la disponibilità del suo paese ad ospitare la Conferenza, ma ha pure enunciato il principio necessario di «rispettare l’integrità territoriale di ogni stato».

Ripartire dal diritto

In sostanza, in tutte queste posizioni è arduo leggere un deciso schieramento con la Russia, specie per le pretese sui territori ucraini. Si può certo parlare di evidenti ambiguità del Sudafrica e allo stesso modo dell’India e degli altri astenuti. Argomenti diversi ma sostanziali ambiguità strategiche denotano solo interessi contingenti: in diversi casi al momento la Russia è un loro utile partner commerciale, specie per il petrolio a basso costo, per gli armamenti e il supporto della Wagner, ma gli stessi interessi e le situazioni possono evolvere.

L’assertività e politiche inclusive delle democrazie occidentali potrebbero anche riuscire a far capire al Global South – soprattutto a Pretoria e Nuova Delhi, come anche a Pechino – che un prolungamento della guerra in Ucraina nuoce alle economie e soprattutto alle popolazioni, e in ogni caso converrà a tutti ristabilire quanto prima l’ordine internazionale basato sul rule of law.

Nella prospettiva di Putin dunque molto è cambiato: dopo le Risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni unite anche per quanto deciso alla Conferenza di Lucerna dovrà prendere atto che secondo il diritto internazionale non potrà mai avere argomenti per rivendicare i territori occupati e sostenere la legittimità della sua «guerra di aggressione».

Ora che l’occidente si è riunito pure per riequilibrare le forze sul campo, Putin dovrà presto rassegnarsi a negoziare senza la pretesa di imporre le sue condizioni, contrarie ad ogni regola del diritto internazionale.

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