La recente condanna delle giornaliste bielorusse Katsiaryna Andreyeva e Daria Chultsova a due anni di reclusione, per aver dato voce alle manifestazioni di opposizione al regime, ha riportato drammaticamente di attualità la questione dei diritti civili nel paese governato da Aleksandr Lukashenko da oltre un quarto di secolo.

La repressione

A partire dal 9 agosto 2020, data delle elezioni contestate dall’opposizione, gli arresti di civili impegnati nella protesta e trattenuti in carcere ha raggiunto quota 35mila; mentre i reporter reclusi nel corso dello scorso anno, denuncia l’Associazione dei giornalisti bielorussi (Baj), ammontano a 477. Questi numeri, cui vanno ad aggiungersi quelli dei prigionieri politici in attesa di giudizio (836) o già detenuti (256), lasciano immaginare un sovraffollamento nelle carceri: nei due penitenziari di Minsk sarebbero rimasti solo venti posti ancora liberi, e la situazione non sembra migliore negli altri istituti.

Un’altra stretta

Questo è un periodo di ulteriore stretta repressiva nei confronti di chi si oppone a vario titolo al regime. Martedì 16 febbraio si è tenuta l’ennesima rappresaglia contro una quarantina di queste persone. Quella mattina Borys Haretski, segretario dell’Associazione dei giornalisti bielorussi, è riuscito a scrivere sul proprio profilo Facebook: «Stanno bussando alla mia porta», prima che gli venissero confiscati materiali e attrezzature di lavoro, oltre a denaro contante. Il presidente della stessa associazione, Andrej Bastunets, è stato trattenuto fino alla fine dell’operazione; nelle stesse ore gli uffici della ong Viasna (Primavera) sono stati perquisiti insieme a quelli di altre realtà impegnate nella tutela dei diritti umani e alle abitazioni di vari loro membri. Secondo il Comitato investigativo della Bielorussia, la necessità del raid è maturata nell’ambito delle indagini volte ad accertare l’origine dei finanziamenti delle attività di protesta.

I paesi confinanti

«Le autorità sono ossessionate dalla presenza dell’Occidente come mandante», dice Aleksandr Papko, politologo e giornalista di Belsat, emittente televisiva polacca in lingua bielorussa, «Sono convinte che qualcuno supporti economicamente le manifestazioni di opposizione e paghi anche le multe di chi viene sanzionato. In realtà, i soldi provengono dalle raccolte di fondi operate dalle associazioni per i diritti umani interne al paese, oppure dai bielorussi emigrati all’estero, che fanno rientrare il denaro dalla Polonia o dall’Ucraina con mezzi privati».

Giornaliste e attivisti

Attualmente è stata rimessa in libertà la maggioranza delle persone fermate o controllate martedì; diversamente è andata, invece, a Katsiaryna Andreyeva e Daria Chultsova: oltre ai due anni di reclusione, è stato disposto il sequestro delle loro attrezzature e la distruzione delle loro agende.

Le giornaliste bielorusse erano state arrestate a novembre per aver trasmesso in streaming da un appartamento privato le manifestazioni successive alla morte dell’attivista Roman Bondarenko, per il cui decesso l’opposizione accusa i metodi violenti degli Omon, i servizi speciali antisommossa. La versione ufficiale fornita dal governo parlava di morte dovuta a intossicazione da alcolici. Il dottor Artsiom Sarokin, che invece aveva escluso la presenza di alcool nel sangue della vittima, è comparso venerdì in tribunale con l’accusa di aver violato il segreto medico. Insieme a lui è stata chiamata in giudizio la giornalista Katsiaryna Barysevich, che aveva riportato la notizia. Ora rischiano fino a tre anni di carcere.

Verso la Polonia

I dettagli della vicenda giudiziaria di Andreyeva e Chultsova hanno potuto varcare i confini bielorussi perché le due donne sono collaboratrici di Belsat, canale satellitare dedicato alla Bielorussia ma di proprietà della polacca TVP. La direttrice della tv, Agnieszka Romaszewska-Guzy, ha raccontato al quotidiano polacco Fakt: «Prima sono arrivate le multe, poi l’arresto amministrativo e infine il procedimento penale. Le autorità bielorusse hanno istruito un processo farsa e, in un contesto simile, l’unico esito possibile era la condanna delle nostre giornaliste. Nel corso del 2020, ventisei nostri collaboratori sono stati condannati, la pena più lunga è stata di un mese, ma non eravamo mai giunti ad un procedimento penale per due anni di reclusione».

L’opposizione

Mercoledì scorso ha preso il via anche il processo contro Viktor Babariko, colui che si candida a diventare il vero oppositore di Lukashenko, dopo che Svetlana Tikhanovskaya si è trasferita in Lituania e la sua influenza ha cominciato a scemare. Babariko, finanziere ed economista, faceva parte della nomenclatura di Lukashenko ed era a capo della Belgazprombank. Babariko è stato portato in carcere insieme a suo figlio Eduard il 18 giugno 2020, accusato di aver preso tangenti e riciclato fondi illeciti. Il capo d’imputazione più grave, quello per tangenti, prevede fino a quindici anni di reclusione.

Reazioni di Ue e Usa

I fatti di questa settimana hanno provocato lo sdegno e la reazione di buona parte della società civile mondiale. Al tweet di denuncia di Svetlana Tikhanovskaya per quanto accaduto alle due giornaliste, sono seguite le condanne delle istituzioni europee e americane. Gli Stati Uniti hanno imposto restrizioni ai visti di altre 43 persone appartenenti all’amministrazione bielorussa, dopo che già ne avevano colpite 66 con provvedimento analogo. Dopo le sanzioni comminate nell’ottobre scorso a 44 persone dello staff di Lukashenko l’Unione europea, questa volta, si è limitata alle parole di Peter Stano, portavoce della Commissione per la politica estera, che ha definito inaccettabili i provvedimenti contro le due giornaliste.

Ambiguità e svolta russa

La Russia continua ad affermare di non accettare ingerenze sul territorio bielorusso, ma non è mai intervenuta direttamente per placare le proteste. I rapporti tra i leader dei due paesi sono freddi ormai da anni. La situazione economica bielorussa, tuttavia, si avvia verso il collasso: il Fondo monetario internazionale ha negato ogni finanziamento, mentre la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e la Banca europea degli investimenti hanno interrotto i rapporti con la Bielorussia. In un incontro previsto per la settimana ventura, Lukashenko chiederà dunque a Vladimir Putin almeno tre miliardi di dollari per evitare il tracollo: mai come in questo momento il futuro politico di Lukashenko pare segnato. Se Putin deciderà di offrire una mano al vicino, spingerà per nuove elezioni che calmino gli animi nel paese e per un successore filorusso. Di recente “The Insider”, un giornale indipendente che ha sede a Mosca, ha riportato la notizia dell’imminente creazione di un partito filorusso in Bielorussia, che si chiamerà “Diritto del popolo”. Il progetto sarebbe stato affidato al generale Vladimir Chernov, specialista per il Cremlino impegnato nelle precedenti “rivoluzioni colorate” nelle ex repubbliche sovietiche.

© Riproduzione riservata