Nel gioco delle tre sedie c’è sempre qualcuno che resta in piedi. Nella trama complessa ordita da Aleksandar Vucic, sembra che quel qualcuno sia la Russia di Vladimir Putin. La tappa a Belgrado nel tour europeo del presidente cinese, Xi Jinping, che ha suggellato «l’amicizia di ferro» con la Serbia, è solo l’ultima delle occasioni sfruttate ad arte dal capo di Stato serbo per affrancare il paese da un’alleanza, quella con Mosca, divenuta sempre più difficile da gestire dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

I segnali erano evidenti da tempo. Almeno da otto anni, quando Pechino, approfittando delle disattenzioni dell’Ue nella regione, ha fatto della Serbia «il primo partner strategico della Cina nella regione dell’Europa centro-orientale», come l’ha definita Xi in conferenza stampa da Belgrado. Da allora, il Dragone ha giocato un ruolo sempre più rilevante nell’economia dello stato balcanico, con un’iniezione di svariati miliardi in investimenti, soprattutto nel settore manifatturiero e minerario, che hanno reso la Cina il più grande investitore straniero in Serbia.

E, sebbene l’Ue resti di gran lunga il principale partner commerciale del Paese, l’interscambio con il Dragone, già superiore a quello con la Russia, è in rapida crescita ed è destinato ad aumentare ancor più dopo la firma l’anno scorso di un accordo di libero scambio. Quella cooperazione, principalmente economica, è ora pronta a fare un salto di qualità. Il raffreddamento delle relazioni tra Russia e Serbia seguito allo scoppio della guerra in Ucraina ha aperto per la Cina una nuova finestra di opportunità. Nonostante le pressioni dell’occidente, infatti, Belgrado non ha imposto sanzioni contro Mosca, ma ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina, schierandosi a favore dell’integrità territoriale del Paese in linea con le sue rivendicazioni sul Kosovo, ex provincia serba a maggioranza albanese dichiaratasi indipendente nel 2008 e mai riconosciuta dalla Serbia come stato sovrano. E la Serbia si è spinta oltre, contribuendo a fornire aiuti militari a Kiev, seppur non in via diretta, e sottraendosi alle triangolazioni per eludere le misure restrittive dell’occidente contro Mosca.

Una strategia ad ampio raggio, quella disegnata da Vucic, volta anche a ridurre la dipendenza del Paese dall’energia e dalla difesa made in Russia, settori cruciali nelle relazioni tra i due Stati. Uno degli esempi più emblematici è l’accordo, in dirittura d’arrivo, negoziato il mese scorso dal presidente serbo e dal suo omologo francese, Emmanuel Macron, per l’acquisto da parte della Serbia di 12 jet da combattimento multiuso Rafale. Su questo sfondo si staglia l’azione di Pechino, decisa a rafforzare la propria posizione nel quadrante dei Balcani, in antitesi con gli Stati Uniti e soprattutto con l’Ue, aderire alla quale è obiettivo strategico per tutti gli stati della regione.

Con la firma di ben 29 accordi, Xi è intenzionato a costruire con Belgrado «una comunità di destino che rifletta pienamente le relazioni strategiche, speciali e di alto livello» tra i due paesi. Un intento emerso con chiarezza anche dalla decisione, altamente simbolica, di programmare la visita in Serbia nel venticinquesimo anniversario del bombardamento della Nato contro l’ambasciata cinese a Belgrado nella primavera del 1999, che causò la morte di tre giornalisti cinesi, una tragedia che l’Alleanza atlantica attribuì a un errore di mappatura.

«Il popolo cinese ha a cuore la pace, ma non permetteremo mai che una storia così tragica si ripeta», ha scandito Xi in un lungo articolo pubblicato su Politika, quotidiano serbo filogovernativo. Un modo per ribadire che la comunione di interessi va oltre la sfera economica, per abbracciare quella più squisitamente politica, cementata dalle rispettive posizioni a sostegno dell’integrità territoriale di Serbia e Cina. Belgrado infatti sostiene la politica dell’unica Cina, non riconoscendo la sovranità di Taiwan, mentre Pechino non riconosce il Kosovo come stato indipendente.

Un elemento quest’ultimo determinante, essendo la Cina uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Con il richiamo ai bombardamenti della Nato, Pechino intercetta poi i sentimenti antioccidentali che attraversano la società serba, analogamente a quanto fatto finora dalla Russia. Ma non c’è operazione che non comporti anche dei rischi. Proprio le crescenti tensioni nei rapporti tra Ue, Stati Uniti e Cina potrebbero spingere Belgrado a dover scegliere se schierarsi a est o a ovest delle nuova cortina di ferro.

Durante la presidenza Trump, Vucic si trovò proprio davanti a questo bivio. Allora, non esitò a tradire “il fratello cinese” con un accordo firmato alla Casa Bianca che bandiva l’uso di «apparecchiature 5G fornite da venditori non fidati nella loro rete di comunicazione», con implicito riferimento a Pechino. L’intesa, siglata sul finire del mandato del presidente americano, rimase lettera morta, e il tradimento non ebbe il tempo di essere consumato. Il resto della storia però è ancora tutto da scrivere.

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