Quando si pensa a una manifestazione di massa diventata violenta repressa dai democratici, viene in mente una folla di trumpiani inferocita che marcia sul Campidoglio o su un altro luogo istituzionale.

Negli ultimi dieci giorni, invece, per il partito del presidente Joe Biden si è prospettato uno scenario simile a quello del 1968, quando i manifestanti contro la guerra del Vietnam avevano tentato di assaltare la sede della convention democratica a Chicago.

Quest’anno potrebbe accadere nuovamente. Con i manifestanti filopalestinesi. In questi giorni molti di loro formando degli accampamenti permanenti di fronte alle sedi della maggiori università americane, in primis presso la Columbia di New York.

La protesta nei campus

La tensione nelle università continua sottotraccia da quando è avvenuto l’attacco di Hamas sul suolo israeliano lo scorso 7 ottobre, con episodi frequenti di antisemitismo nei confronti di studenti ebrei con gli atenei che spesso minimizzano o che vengono radicalmente cambiati, specie quando sono pubblici e all’interno di stati a guida repubblicana.

È il caso della Florida di Ron DeSantis, dove le associazioni filopalestinesi sono state sciolte d’imperio e i consigli d’amministrazione sono stati riempiti di esponenti conservatori, tra cui il crociato contro l’antirazzismo accademico Christopher Rufo.

La scorsa settimana c’è stato un cambio di passo da parte della rettrice della Columbia University, Minouche Shafik: ha chiesto l’intervento della polizia cittadina newyorchese per rimuovere le tende dei manifestanti che impedivano il regolare svolgimento dell’attività universitaria.

Una posizione radicalmente diversa rispetto a quella tenuta qualche mese fa da altre esponenti di altri atenei elitari. Durante un’audizione al Congresso, ad esempio, la rettrice di Harvard Claudine Gay aveva usato delle lunghe acrobazie verbali per girare intorno alla questione della repressione dell’antisemitismo, facendo una magra figura con i media di tutto il paese e giungendo alle dimissioni qualche settimana dopo.

Anche Shafik era stata sentita di recente e questo spiegherebbe ladecisione radicalmente diversa da quella della collega. La mossa ha portato all’arresto di un centinaio di studenti (o presunti tali) in tenuta da guerriglia ma ciò non ha fermato le proteste. Anzi, Shafik ha accusato proprio l’infiltrazione di alcuni elementi lontani dall’ateneo. Questi avrebbero urlato slogan celebratori dell’Intifada, degli attacchi di Hamas e persino pronunciato una delle frasi utilizzate dai sostenitori di Khomeini in Iran nel 1979: «Morte all’America».

Offensiva trumpiana

La situazione è ben lungi dal risolversi tanto che si è deciso di svolgere le lezioni in modalità virtuale, come ai tempi della pandemia, per «tutelare gli studenti».

Scelta che per i repubblicani è sintomo di scarso coraggio. Due senatori appartenenti alla destra trumpiana hanno proposto di usare un maggior dispiegamento di forze.

Tom Cotton dell’Arkansas ha chiesto di usare la Guardia nazionale per attuare una repressione immediata con metodi eventualmente brutali, accusando senza troppi giri di parole i democratici «di aver considerato i manifestanti come parte della propria base».

Idea che ricorda da vicino quella promossa dallo stesso Cotton quattro anni fa per contrastare le manifestazioni del movimento Black Lives Matter. Idea che è stata pubblicata in forma di editoriale sul New York Times e ha causato un terremoto in redazione.

Josh Hawley, noto per il suo iper-nazionalismo, ha invece chiesto che il presidente Biden segua l’esempio del suo predecessore Dwight Eisenhower, che ha inviato nel 1957 la Guardia nazionale a Little Rock, in Arkansas, per consentire ad alcune studentesse afroamericane di frequentare le lezioni in una classe desegregata. Per Hawley, stavolta, sono gli ebrei ad aver bisogno di quella protezione.

I democratici

Anche alcuni democratici sono dell’avviso che certe manifestazioni abbiano abbondantemente travalicato i limiti del libero pensiero: i deputati Jared Moskowitz della Florida, Josh Gottheimer del New Jersey e Dan Goldman di New York hanno tenuto lunedì una conferenza stampa nel campus della Columbia chiedendo alla rettrice di proteggere gli studenti senza riserve.

Non c’è solo la Columbia a essere in crisi. La polizia è apparsa anche sul campus dell’università di Yale, in Connecticut e l’università del Michigan, istituzione finanziata dallo stato guidato dalla governatrice Gretchen Whitmer, ha annunciato nuove regole restrittive per evitare che altre manifestazioni possano degenerare in atti violenti.

Dall’altra parte del paese, in California, il campus di Stanford è stato teatro di scontri tra manifestanti accampati di opposto orientamento che hanno portato non solo ad atti di violenza ma anche a precarie condizioni igienico-sanitarie. Mentre l’università del South California ha cancellato il discorso d’inaugurazione dell’anno accademico da parte di una studentessa musulmana per ragioni di sicurezza.

Una situazione dove però i democratici, stavolta, appaiono poco propensi all’indulgenza con una folla che definisce il presidente Biden quale «Genocide Joe» per il suo sostegno a Israele e perché i sondaggi dicono che se i dem difficilmente potranno riconquistare il voto di questo segmento elettorale, ancor più difficilmente riusciranno a tenere nel proprio campo quei moderati che rifiuterebbero di votare nuovamente per un partito che non prendesse posizioni forti nei confronti di questi fenomeni violenti.

Il 2020 sembra molto lontano in queste settimane. Anzi, per citare il commentatore conservatore Frank Miele del portale RealClearPolitics, sembra che «l’Intifada globale abbia raggiunto l’America». E Joe Biden, anche in questo caso, ha deciso di allinearsi con Israele.

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