Le due grandi guerre che infuriano «non stanno plasmando il mondo». Lo ha detto al Corriere della Sera Larry Fink, fondatore e amministratore di BlackRock, il fondo di investimenti più ricco del globo. Tanto per dare un’idea, BlackRock capitalizza 10.000 miliardi di dollari, cinque volte il Pil italiano e quattro volte il nostro debito pubblico. Sorprende una tale superficialità e leggerezza sulla bocca di uno dei massimi decisori dell’economia mondiale. Ci offre la dimensione dell’enorme distanza di giudizio e di analisi che esiste tra chi gestisce la globalizzazione e chi governa la politica, buono o mediocre che sia. Figurarsi la lontananza siderale che esiste tra gente come Fink e le persone ordinarie, non importa se occidentali o del global south.

Un’affermazione di questo tipo – le guerre non contano, non influenzano o non ci cambiano – rafforzano le ragioni del populismo e del ribellismo di qualunque colore o origine. Lo abbiamo appena visto con i risultati delle elezioni europee e l’affermazione delle estreme destre. Possibile che i grandi capitalisti (dai quali dipende il mercato) si preoccupino solo dell’inflazione e non si rendano conto del rischio che sta correndo il nostro mondo (in particolare del rischio mortale per le democrazie), come ad esempio l’utilizzo dell’arma nucleare o anche soltanto l’instabilità geopolitica diffusa che distrugge gli stati? Forse Fink non pensa che la scomparsa di sempre più stati e il caos che vi regna non abbia una cattiva influenza globale? Possibile che per costoro non conti per niente l’odio, il rancore, la rabbia che si accumulano? In quale bolla di privilegio vivono?

Liberali e liberisti nostrani dovrebbero spiegarcelo: invece di propinare continue lezioni sull’austerità, gli sprechi del welfare o il pericolo del debito, potrebbero chiarirci perché, anche se il mondo va a rotoli, il mercato globale si occupa di altro, almeno fino a che… Dovrebbero darci l’interpretazione delle parole di Fink. A questo livello non c’è differenza tra politici sovranisti, populisti, europeisti, popolari o anche socialdemocratici tradizionali: a tutti i responsabili fa venire i brividi un’analisti talmente lontana dai rischi reali e dalle preoccupazioni delle persone e dei popoli. Tale frivolezza e inconsistenza ci fa toccare con mano quanto i marziani siano coloro che continuano imperterriti a credere che il mercato è “buono”, che da solo risolve tutto e che non c’è da preoccuparsi. Caro Fink: le guerre odierne ci stanno plasmando eccome, stanno cambiando tutto.

Mettono a rischio la democrazia e il vivere collettivo di molti popoli. Se ciò non interessa perché l’unico obiettivo è vendere e comprare e non importa chi lo fa, né in quale contesto lo fa, è facilmente prevedibile una reazione sempre più violenta contro tale dottrina. Nel corso della storia la politica, le relazioni tra gli stati, le questioni di prestigio e dignità nazionale hanno lo stesso valore (se non di più) degli interessi economici. Si tratta di aspetti che andrebbero presi molto sul serio da chi detiene le chiavi per influenzare il mondo.

Assenza di coesione

Ci sono momenti in cui addirittura le passioni, le emozioni e i rancori assumono un ruolo centrale. Fink dovrebbe leggersi «il trionfo delle emozioni» del politologo franco-americano Dominque Moisi per farsi un’idea. Molto di ciò che accade oggi in Ucraina e soprattutto a Gaza, è dovuto a storica mancanza di dialogo, a pregiudizi atavici, a fallimenti negoziali, a ricostruzioni manipolate della storia, a ragionamenti reputazionali -veri o fasulli che siano-, ma non a interessi economici.

Anzi: spesso i soggetti della storia (popoli, stati, nazioni, imperi o movimenti di liberazione) non fanno il proprio interesse ma reagiscono ad altri impulsi e stimoli, molto spesso immateriali. In altre parole l’interesse economico non viene quasi mai prima e sarebbe saggio smettere di credere alla favoletta che i ragionamenti di uomini e stati dipendano innanzi tutto dagli interessi economici.

Gli uomini spesso pensano che i propri interessi primari siano altri; magari sbagliano ma è così, come vediamo in Russia o a Gaza. Studiare la storia e le sue complessità, dovrebbe essere il primo compito per chi gestisce il mondo da posizioni così importanti: non basta saper leggere i bilanci delle imprese o saper anticipare le tendenze della borsa.

Fink si ricordi che le grandi potenze sono crollate tutte dall’interno per assenza di coesione e che quest’ultima è una questione di idee, pensiero, civiltà, talvolta fede e solo in secondo luogo di interesse economico. Se la democrazia, malgrado tutti i suoi difetti, non interessa, Fink si prepari ad un altro mondo che non è quello in cui BlackRock ha prosperato. Speriamo solo che non si trovi a scoprire troppo tardi che i grandi fondi di investimento sono stati gli utili idioti per qualcos’altro di molto diverso.

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