Donald Trump non è noto per la coerenza assoluta dei suoi principi, né tantomeno per essere particolarmente religioso. Quindi teoricamente non dovrebbe stupire che la sua posizione sull’aborto sia ulteriormente cambiata.

In una dichiarazione preregistrata, l’ex presidente ha preso le distanze dalla possibilità di implementare un divieto federale del diritto all’aborto, dicendo che bisogna lasciare che la questione venga decisa a livello statale, pur rimarcando la vittoria sull’abolizione della Roe v. Wade, verdetto del 1973 superato con la sentenza Dobbs v. Jackson del 2022 che ha rimosso la protezione nazionale per l’interruzione di gravidanza. La ragione per questa posizione più sfumata del solito è «la volontà popolare».

Ci sono state delle prevedibili reazioni, a cominciare da quella del suo ex vicepresidente Mike Pence che ha affermato che questa posizione è uno «schiaffo in faccia» per tutti quegli elettori «pro life» che hanno votato per Trump nel 2016 e nel 2020 e anche altri trumpiani come il senatore Lindsey Graham hanno dichiarato che «rispettosamente» dissentono dalla scelta dell’ex inquilino della Casa Bianca. In altre epoche politiche, si potrebbe parlare di una rottura che potrebbe avere conseguenze anche in ottica elezioni di novembre.

La scommessa

Invece, stranamente, Trump ha fatto una scelta sorprendentemente oculata e convenzionale: ha scommesso che nel breve periodo gli evangelici lo disprezzeranno, ma nelle prossime settimane sceglieranno comunque di votarlo perché l’alternativa è di gran lunga peggiore.

E del resto in tutti i sondaggi, compreso l’ultimo svolto da Pew Research Center, i bianchi affiliati alle chiese carismatiche protestanti vedono favorevolmente Trump al 67 per cento, una percentuale che non ha uguali. Per trovare un altro segmento dove Trump gode di buona nomea ci sono solo i bianchi cattolici: e la percentuale scende al 51 per cento.

Già lo scorso settembre l’ex presidente aveva detto in un’intervista alla Nbc che cercherà di trovare una non meglio definita «soluzione» che metta tutti d’accordo. Ovviamente non esiste nulla che possa far concordare tesi così opposte tra la libertà totale e un divieto assoluto.

Lo sa bene il governatore della Virginia, il repubblicano moderato Glenn Youngkin, che pensava che il limite delle 15 settimane lo avrebbe portato a conquistare la maggioranza nell’assemblea statale. Previsione che si è rivelata drammaticamente errata: i dem gli hanno tolto la maggioranza in entrambi i rami del parlamentino locale e hanno silenziato le sue ambizioni presidenziali.

Trump sa bene tutto questo e infatti ha criticato apertamente la posizione di Graham, dicendo che una posizione così oltranzista è «il sogno dei democratici». A dimostrare che questa intuizione è corretta, c’è anche un recente cambio di strategia dei dem sulla Florida, fino a qualche tempo fa rimosso dal novero degli stati in bilico.

Dopo la decisione della Corte Suprema sul rigido divieto voluto dal governatore Ron DeSantis, ex sfidante del tycoon alle primarie di inizio anno, ci sono speranze. Il massimo tribunale del Sunshine State ha detto che dovrà essere il popolo a decidere se l’aborto rimarrà vietato per via referendaria. Un modo per legare le due questioni e mobilitare l’elettorato progressista in un territorio che ormai è diventato ostile per i dem. Senza la Florida, Trump non avrebbe chance di vittoria. E quindi al diavolo gli oltranzisti, meglio ritrovare quei moderati persi per strada in questi anni.

Stessa strategia 

Sul fronte opposto, infatti, un politico molto più convenzionale di Trump come il presidente Joe Biden ha deciso ugualmente di sostenere lo stato d’Israele nella sua guerra contro Hamas nella Striscia di Gaza, nonostante i progressisti siano da tempo sul piede di guerra e contestino il presidente in ogni occasione pubblica o quasi.

Si sono fatti sentire anche alle primarie del Michigan e del Wisconsin, due stati decisivi per le presidenziali, dove gli arabi americani si sono mobilitati per i dem soprattutto nel 2020.

Anche qui, si è trattato di una scommessa simile a quella fatta in occasione del ritiro dall’Afghanistan delle truppe americane, avvenuto frettolosamente nell’agosto 2021: gli elettori hanno la memoria corta e di fronte alla scelta binaria opteranno per Joe Biden nonostante la sua impopolarità.

I due avversari alle presidenziali, dunque, sembrano uniti nella strategia: scontentare in parte gli alleati per conquistare i moderati e gli indipendenti, sia pur su fronti opposti.

Perché non si può più contare sulla mobilitazione del 2020 con un’affluenza che ha sfiorato il 66 per cento, ma non si può nemmeno puntare soltanto sui militanti fidati, considerato che gli indipendenti sono ormai la maggioranza dell’elettorato e si conquistano distanziandosi da posizioni estreme e sgradite alla maggior parte dell’elettorato, come l’antiabortismo rigido e il sostegno alla causa palestinesi con toni che ormai sfiorano l’aperto antisemitismo.

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