Da quattro mesi è uno dei mediatori più importanti tra Israele e Hamas. Alla sua corte, in Egitto, vanno i più importanti capi di stato e di governo del Medio Oriente e del mondo occidentale. Non è il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, ma il suo uomo ombra, il fidato capo dei servizi di intelligence Abbas Kamel, che ieri al Cairo ha incontrato una delegazione di funzionari di Hamas per discutere della proposta di tregua varata dal Qatar dopo il summit che si è tenuto a Parigi nei giorni scorsi.

La proposta prevede tre fasi per il rilascio di tutti gli ostaggi in mano ad Hamas, in cambio di circa 45 giorni di cessate il fuoco, la liberazione di migliaia di prigionieri palestinesi finiti nelle carcere israeliane e il ritiro dell’esercito dai centri abitati di Gaza.

E per la prima volta, come scrive il Jerusalem Post, vengono gettate le basi per una soluzione politica post conflitto. L’accordo prevede che un governo militare gestirà Gaza, inizialmente sotto il controllo di Israele per passare poi in mano palestinese.

Tel Aviv per il momento rifiuta totalmente la proposta. Il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, sostiene che accettare l’accordo equivale «allo scioglimento del governo». «Non permetteremo il rilascio di migliaia di terroristi», ha aggiunto. «I numeri presentati hanno lo scopo di preparare il terreno per un altro accordo forzato».

Né Hamas né il governo israeliano al momento hanno intenzione di cedere, ed è prematuro pensare oggi a una soluzione definitiva sul futuro di Gaza. Nei prossimi giorni i mediatori sperano di arrivare almeno a una tregua umanitaria come avvenuto a dicembre per liberare un altro gruppo di ostaggi e far entrare gli aiuti umanitari nella Striscia. Ieri dal valico di frontiera Kerem Shalom sono entrati un centinaio di camion con i beni essenziali, nonostante le proteste da parte di cittadini israeliani sedate con decine di arresti.

L’uomo ombra

I tempi della diplomazia però sono lunghi. Soprattutto per tutto quello che riguarda il conflitto israelo-palestinese, in stallo da decenni. L’ultima volta, dopo le tensioni del 2021 scatenate dalle proteste riguardo ai nuovi insediamenti di coloni nel quartiere di Sheikh Jarrah, Kamel aveva ottenuto una tregua riuscendo ad accontentare sia Hamas che Israele.

Ai primi aveva garantito 500 milioni di euro per la ricostruzione degli edifici bombardati da Tel Aviv e lo sblocco dei pagamenti per i dipendenti pubblici di Gaza. Al governo israeliano, invece, aveva continuato a garantire ciò che i servizi di sicurezza concedono da tempo: una supervisione su tutto ciò che entra ed esce dalla Striscia e la distruzione di alcuni sotterranei costruiti da Hamas.

Questa volta si è arrivati a un punto di non ritorno tra le due parti e tutti auspicano che la crisi si risolva con una soluzione duratura nel tempo. Ma “il falco”, così viene soprannominato Kamel dai suoi più stretti collaboratori, può far valere la sua lunga esperienza da mediatore.

Segue in prima persona i dossier regionali più delicati come quelli riguardo a Sudan, Libia ed Etiopia, e i rapporti con la Turchia. L’ultimo viaggio a Khartoum è dello scorso 2 gennaio, quando ha incontrato le parti belligeranti per porre fine alla mattanza civile in corso. Un lavoro che porta avanti anche con il sostegno dei servizi d’intelligence militari.

Più di un mediatore

Dopo una lunga carriera militare all’interno dell’esercito culminata con la carica di generale, nel 2018 Kamel viene nominato da al Sisi a capo del General Intelligence Service (Gis) come successore di Mohamed Al Shahat.

In pochi anni ha consolidato la fiducia con il presidente egiziano e la sua sfera di competenza è andata oltre i confini a cui si attenevano i suoi predecessori. Non è un caso se nei canali ufficiali del governo egiziano Abbas Kamel compare nell’agenda di incontri di diversi ministri e nelle foto di gruppo.

Le apparizioni pubbliche sono soprattutto con il capo della diplomazia Sameh Shoukry, che potrebbe essere rimpiazzato nei prossimi mesi. E Kamel avrebbe tutte le carte in regola per sostituirlo, vista l’autorevolezza che si è guadagnato in politica estera.

Da mesi incontra ministri e alte figure di Libano, Qatar, Stati Uniti e Israele. Nonché delegazioni di Hamas e Jihad islamica palestinese. Il suo potere è aumentato ancora di più a partire dal febbraio del 2022 quando una legge ha permesso al suo personale di costituire società e comprare azioni nei diversi settori dell’economia egiziana.

C’è un altro elemento non poco rilevante da considerare: il suo vice è Mahmoud al Sisi, il figlio del presidente. L’esistenza di Kamel garantisce ad al Sisi la sua sopravvivenza al potere.

È grazie all’imponente e pervasiva macchina d’intelligence interna che al Sisi potrà governare fino al 2030 dopo la vittoria delle recenti elezioni di dicembre, mantenendo così il potere dal 2014.

Grazie a Kamel e ai suoi uomini, ogni traccia di “pericolo” viene intercettata prima ancora di diventare minaccia per i palazzi del potere. E così il paese si ritrova con un’opposizione politica azzerata, attivisti in carcere e la stampa indipendente che fatica a sopravvivere.

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