Il premier Benjamin Netanyahu ha convocato una riunione del gabinetto di sicurezza per discutere la proposta di Hamas su una possibile tregua a Gaza e il ritorno degli ostaggi. Prima della riunione Netanyahu ha tenuto delle consultazioni con il team negoziale israeliano, ma permangono ampi divari tra il governo israeliano e Hamas. Secondo il Times of Israel, Netanyahu avrebbe deciso di mandare una delegazione al prossimo round negoziale sulla tregua e gli ostaggi. Un alto funzionario israeliano – citato da Ynet – ha sostenuto che Hamas non richiederà più il completo ritiro israeliano nella prima fase del cessate il fuoco e dello scambio di prigionieri, che durerà sei settimane. L’accordo che si sta delineando preserva infatti per Israele la possibilità di tornare in guerra, qualora nella prima fase non si raggiungano accordi sulla seconda fase.

Che una svolta sia possibile è dato anche dal fatto che il presidente Usa Joe Biden potrebbe parlare con Netanyahu. Lo ha riferito Ynet, secondo cui Biden vorrebbe fare pressione su Israele per raggiungere un accordo con Hamas dopo la risposta sulla tregua e sugli ostaggi che la fazione ha dato ai mediatori e che Israele sta esaminando.

I razzi di Hezbollah

L’ufficio del premier Netanyahu, per conto del Mossad, ha fatto sapere che i mediatori dell’intesa hanno trasmesso a Israele «il riferimento» di Hamas sulle linee generali. Un riferimento – hanno sottolineato i miliziani palestinesi – che contiene «nuove idee» per porre fine alla guerra che dura da quasi nove mesi. E, stando a quanto scrive Axios, che cita due alti funzionari israeliani, lo stato ebraico avrebbe colto importanti progressi nella nuova risposta di Hamas. Secondo le fonti, aprirebbe infatti la porta a negoziati più dettagliati che potrebbero sfociare in un accordo sul cessate il fuoco e il nodo degli ostaggi nella Striscia. Israele – ha sottolineato l’ufficio di Netanyahu – «sta esaminando il riferimento e darà la sua risposta ai mediatori». Con il bilancio delle vittime in aumento e le ostilità che non cessano, entrambe le parti sono sotto una crescente pressione internazionale per concordare un cessate il fuoco nella Striscia.

E, nel frattempo, la guerra non dichiarata tra Israele ed Hezbollah scivola ogni giorno di più verso una escalation militare totale. Solo ieri dal Libano sono arrivati, in una unica tornata, oltre 200 razzi dopo l’uccisione da parte di Israele di un alto comandante dei miliziani sciiti, alleati dell’Iran, che hanno aperto le ostilità l’8 ottobre scorso a distanza di un giorno dall’attacco di Hamas. La risposta di Hezbollah includerà «attacchi contro obiettivi (israeliani) inattesi», ha detto un alto rappresentante di Hezbollah, Hashem Safieddin, a capo del Consiglio esecutivo, in occasione dei funerali del militante ucciso. Il comandante ucciso, come ha confermato l’Idf, è Abu Ali (o Muhammad Nimah) Nasser, responsabile di uno dei tre settori del Libano sud.

Comandava il gruppo Aziz, una delle 3 divisioni regionali di Hezbollah al confine con Israele. È stato colpito in un attacco con un drone ad al Hawsh, a est di Tiro, 90 chilometri a sud di Beirut. «Nasser», ha detto il portavoce militare, «era responsabile del lancio dei missili anti tank e dei razzi dal sud-ovest del Libano verso Israele». A dare il quadro della situazione è stato lo stesso ministro della difesa israeliana Yoav Gallant. I tank in uscita dall’operazione di terra a Rafah «possono arrivare fino al fiume Litani», ha detto, riferendosi al fiume in Libano a circa 16 chilometri a nord della frontiera con Israele. «Stiamo colpendo Hezbollah e», ha aggiunto, «siamo in grado di intraprendere qualsiasi azione in Libano o di raggiungere un accordo da una posizione di forza». La linea del fiume Litani è quella oltre la quale Israele vuole ritornino gli Hezbollah.

© Riproduzione riservata