La pessima performance del presidente Joe Biden nel primo dibattito presidenziale contro Donald Trump ha fatto allarmare buona parte dei politici democratici che a quel punto si sono affrettati a citare il passo indietro del loro candidato perché troppo vecchio per il ruolo. Soltanto fino a pochi mesi fa l’ipotesi era innominabile, oggi lo chiede perfino il New York Times.

Molti guardano a una delle poche persone che ha qualche possibilità di influenzare il presidente, ovvero il suo predecessore Barack Obama. Nelle ultime ore però si è affrettato a dargli un pronto sostegno, dicendo sul suo account su X che purtroppo «le performance cattive» ai dibattiti succedono.

Rimarcando «credetemi, lo so» con evidente riferimento al suo primo dibattito con Mitt Romney, avvenuto quando quest’ultimo era il candidato repubblicano alle presidenziali del 2012, dove il futuro senatore dello Utah aveva nettamente prevalso. Un mesetto più tardi, Obama venne rieletto con relativa facilità. Da questo deriva il facile sillogismo obamiano.

Stavolta però il tempo appare nemico di un presidente che appare molto diverso da quello del passato. Non solo rispetto a quando Biden era vicepresidente e aveva strapazzato il rivale Paul Ryan sempre nel 2012, ma anche rispetto al 2020 quando comunque l’attuale inquilino della Casa Bianca, pur invecchiato, era apparso comunque in controllo.

Oltre a questo, ci sono delle microfratture tra quelli che un tempo erano alleati strettissimi. Non si tratta del sostegno alla rielezione del presidente, su quello il sostegno di Obama non è in discussione e non lo è da molti mesi.

Più che altro sono le fratture tra i due entourage ad essere sempre più ampie. In questi piccoli mondi, infatti, piccole frasi e considerazioni vengono amplificate in modo forse troppo esagerato.

Un paio di esempi: lo scorso agosto 2023 a un pranzo alla Casa Bianca Obama avrebbe messo in guardia un Biden troppo fiducioso nei suoi mezzi dopo il buon risultato delle elezioni di metà mandato nel 2022.

Dietro quell’affermazione, c’era la diffidenza espressa da alcuni strateghi dem come David Axelrod che il presidente avrebbe potuto essere troppo vecchio per quello che sembrava comunque un compito titanico.

Se il Trump del 2024 era più estremo e dalle idee ancora più bizzarre di quello del 2016, il suo staff appare molto più competente e preparato rispetto agli anni scorsi, con una maggiore attenzione anche alla raccolta dei consensi dal basso con la costruzione di strutture locali che non facciano solo affidamento sul carisma e lo star power del tycoon.

Non solo: la vittoria del 2020 non poteva essere presa ad esempio vincente per le particolari condizioni di quell’anno, con la pandemia che limitava fortemente gli eventi pubblici e che quindi aveva consentito di prevalere mentre Biden faceva campagna rimanendo quasi sempre a casa sua in Delaware.

Risultati al Congresso

Facciamo un balzo in avanti e andiamo allo scorso marzo: sul portale di informazione politica Axios era uscito un retroscena sul fatto che l’inquilino della Casa Bianca spesso dicesse con il suo staff che «Obama sarebbe geloso» dei suoi risultati raggiunti in così poco tempo, riferendosi alla produttività del Congresso nel primo biennio.

In effetti, nonostante i numeri risicati contrapposti alle robuste maggioranze di cui godeva il suo predecessore, è stato approvato un numero nettamente maggiore di provvedimenti. Il motivo è che Obama curava poco i rapporti con i membri del Congresso, demandando però proprio a Biden questo compito. Inoltre, un altro screzio si è creato con la guerra iniziata il 7 ottobre con l’attacco di Hamas a Israele partito dalla Striscia di Gaza: all’entourage di Obama, a partire dal suo stratega per le comunicazioni Ben Rhodes, non è andato giù il sostegno incondizionato dei primi mesi al governo di Netanyahu.

Negli otto anni di Obama, infatti, il rapporto con il premier israeliano è stato glaciale a causa del diverso approccio nei confronti dell’Iran, con cui l’allora presidente voleva fare un reset delle relazioni bilaterali passando attraverso un accordo sul nucleare. Idea di fatto accantonata dall’amministrazione Biden.

C’è un ultimo punto, un questione personale: secondo una rivelazione esclusiva di Axios Michelle Obama, una delle figure più popolari tra i simpatizzanti dem, si starebbe rifiutando di fare campagna elettorale per Biden.

La ragione è il trattamento riservato dal presidente e dai suoi familiari a Kathleen Buhle, ex moglie del figlio del presidente Hunter, di fatto allontanata in malo modo per rivelato alcune dettagli sconvenienti del loro rapporto. Quindi pur se i due presidenti continuano ad apparire uniti, così non si può dire dei due entourage. Una frattura che potrebbe aggravare la già pesanti difficoltà del presidente dem.

© Riproduzione riservata