La tensione sulla striscia di Gaza rimane alta. In Israele continua a salire il bilancio delle vittime dell’attacco di Hamas. Il trauma e lo shock subìto fanno pensare che non è ancora il momento delle trattative, ma quello della vendetta. Ma c’è chi spera, ancora una volta, nell’intervento salvifico dell’Egitto.

Dal Cairo sono stati avviati nell’immediato i contatti diplomatici. I funzionari del presidente Abdel Fattah al-Sisi stanno provando a mediare tra le parti, forti delle ragioni storiche, dei pregressi e della vicinanza territoriale. Questa escalation, però, non è come le altre. In soli tre giorni Israele ha contato il triplo delle vittime che ha subìto negli ultimi venti anni.

La prima mossa del ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, è stata quella di avviare un confronto con i suoi omologhi arabi di Giordania ed Emirati Arabi Uniti. Nel fine settimana sono poi arrivate le chiamate dell’Alto rappresentante della politica estera europea Josep Borrell, del presidente francese Emmanuel Macron e del capo della Farnesina Antonio Tajani, che ha riconosciuto all’Egitto il ruolo di «interlocutore cruciale».

Prima di prendere decisioni, vista l’eccezionalità del caso, l’Egitto sta aspettando la riunione del Consiglio degli Esteri della Lega Araba che si terrà mercoledì al Cairo. Qui si deciderà l’andamento delle prossime giornate di guerra e se il conflitto rischia un allargamento o meno.

Il contesto storico

Negli anni l’Egitto è riuscito a rimanere in equilibrio tra Hamas e Israele. I rapporti sono gestiti soprattutto dai servizi di intelligence del paese. Ciò sottolinea come la pace oltre il confine sia una questione di sicurezza nazionale per il Cairo, per questo motivo è più importante per l’Egitto che per altri alleati arabi arrivare evitare il disastro della guerra.

Il presidente al-Sisi non ha intenzione di accogliere l’esodo umanitario di due milioni di gazawi nel suo territorio e vuole arrivare a un cessate il fuoco il prima possibile, come già accaduto durante l’ultima vasta operazione militare israeliana del maggio 2021.

All’epoca, per accontentare Hamas, aveva stanziato 500 milioni di dollari per la ricostruzione, e qualche mese più tardi insieme al Qatar aveva sbloccato i pagamenti dei dipendenti pubblici di Gaza, trattenuti dall’inizio del conflitto. Negli anni, il Cairo ha concesso anche qualcosa a Israele, come il controllo su tutto ciò che entra ed esce da Gaza e la distruzione dei tunnel sotterranei usati da Hamas per importare armi e munizioni.

Trattare per gli ostaggi

Se arriverà il tempo della diplomazia giocheranno un ruolo importante gli ostaggi israeliani. Una loro liberazione potrebbe garantire, se non la fine immediata del conflitto, almeno una tregua per i civili. Al momento sono 100 i cittadini che Israele reclama indietro, ma si stima che il numero possa arrivare fino a 150.

Molto, però, dipenderà dal trattamento riservato a loro da Hamas, che ha già annunciato di uccidere e diffondere i video delle esecuzioni in caso di attacchi a Gaza. Senza contare che circa 30 ostaggi sono tra le mani dell’imprevedibile Jihad islamica, la seconda fazione militare più potente nella Striscia che nonostante abbia sostenuto Hamas nell’attacco, si contende con questo l’egemonia.

L’ultimo nodo da sciogliere e forse il più importante è la posizione israeliana. Quanto è disposto a negoziare il governo israeliano più a destra di sempre dopo aver subito un attacco mai visto prima? Scendere a trattative con il nemico rischierebbe di essere impopolare per il premier Benjamin Netanyahu, ma al tempo stesso le famiglie degli ostaggi stanno facendo pressioni sul governo.

Da Tel Aviv non sono giunte dichiarazioni su come Netanyahu intenda salvare gli ostaggi (se con l’uso della forza o con le trattative), la Casa Bianca però si è resa disponibile a dare una mano, indipendentemente se tra questi ci siano anche alcuni cittadini americani o meno.

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