Dalla scorsa domenica il parlamento portoghese si è ufficialmente sciolto e con esso l’idea, più o meno discutibile, che il Portogallo sia la roccaforte della sinistra in Europa. La crisi del governo guidato da Antonio Costa, leader del Partido socialista (Ps), si è aggravata in modo irreparabile lo scorso ottobre, a causa della mancata intesa sulla legge finanziaria per il 2022.

I partiti più a sinistra – come il Bloco de esquerda (Be) e il Partido comunista português (Pcp) – non hanno voluto scendere a compromessi su alcuni punti salienti, come le prestazioni della sicurezza sociale, la riforma della legge sui licenziamenti e l’assunzione di più personale medico.

In accordo con il presidente Marcelo Rebelo de Sousa, il primo ministro Costa non si è dimesso e il suo esecutivo manterrà i poteri fino alle elezioni fissate per il 30 gennaio. 

Un marchingegno fatto male

Mentre si prepara al voto, il Portogallo sta metabolizzando la fine di un modello di alleanza tra la sinistra e il centrosinistra che aveva garantito la stabilità negli ultimi anni.

Il primo governo di Costa insediatosi nel 2015 si era infatti costituito secondo una modalità che aveva preso il nome di geringonça, ovvero attraverso un accordo formale, con la sottoscrizione di un vero e proprio contratto, tra il Partido socialista di centrosinistra e i partiti più a sinistra, Bloco de esquerda, Partido comunista português e il partito ecologista Os verdes (Pev).

La geringonça – termine che letteralmente potrebbe essere tradotto come “marchingegno fatto male ma che in qualche modo funziona” – è durata ufficialmente solo fino al 2019. Il governo che è seguito, sempre guidato da Costa, già non si reggeva più su quel contratto, ma su un accordo tacito, senza alcuna garanzia di approvazione. 

Il ritorno alla normalità

«A dire il vero, quello che è successo negli ultimi mesi è un ritorno alla normalità, a un contesto in cui il Ps non può contare sull’appoggio continuativo dei partiti che stanno più a sinistra», spiega a Domani José Santana Pereira, esperto di politica portoghese e professore di scienze politiche all’Istituto Universitario di Lisbona (Iscte).

«Il principale limite della geringonça è la sua scarsa probabilità di durare nel tempo. I partiti che appoggiano il governo possono stancarsi di funzionare da “stampella”, preferendo invece fare opposizione in senso stretto. D’altra parte, in questo sistema di governo, il partito principale deve solo occuparsi di tenere insieme la geringonça, piuttosto che negoziare davvero con le altre forze coinvolte nel contratto», continua Santana Pereira. 

Gli aspetti più fragili

Il tappo è saltato in un momento cruciale per la ripresa economica del paese, messa in crisi dalla pandemia. Quello di Costa è infatti il Portogallo post troika, che negli ultimi anni ha adottato una austerità discreta, in grado di mantenere fede al contratto con la sinistra più radicale e i conti dello stato in relativo ordine di fronte all’Europa.

La pandemia però ha evidenziato e aggravato le conseguenze degli aspetti più fragili e controversi delle sue politiche economiche, ovvero il fatto che i salari minimi siano ancora troppo bassi e che gli incentivi per gli investimenti di capitali stranieri, soprattutto nel settore dell’immobiliare, uniti alla monocultura del turismo abbiano creato una crisi abitativa che sta mettendo a dura prova decine di migliaia di residenti nelle due maggiori città, Lisbona e Porto. 

Sul fronte dei salari proprio la scorsa settimana il consiglio dei ministri ha confermato l’aumento del salario minimo, che da gennaio 2022 passerà a 705 euro, ovvero 40 euro in più di quello attuale. Allo stesso tempo il turismo sta riprendendo, e il governo ha delineato un promettente Pnrr da 16,6 miliardi di euro, il primo in Europa ad aver ricevuto l’approvazione da Bruxelles.

Tuttavia, lo spettro della disuguaglianza continua a rappresentare una minaccia concreta per una grande fetta della popolazione, con il circa il 20 per cento dei portoghesi a rischio di povertà ed esclusione sociale secondo i dati raccolti dal Ine, l’istituto di statistica portoghese. 

Sinistra all’opposizione

È sulle risposte alla crisi sociale ed economica che la sinistra più radicale non è riuscita a scendere a compromessi. «Il Partito socialista poteva scegliere se andare più verso sinistra o più verso il centro. Ha scelto la seconda opzione», spiega a Domani Isabel Pires, deputata del Bloco de esquerda dal 2015.

Pires, 31 anni, con una laurea in scienze politiche ed esperienza di lavoro nei call center, è particolarmente attenta ai diritti dei lavoratori di cui si è occupata anche come membro della commissione parlamentare per il lavoro.

«Sulla riforma della legge sui licenziamenti e sulla gestione della salute pubblica non c’era alcun accordo. Sono questioni profonde e fondamentali che abbiamo sentito il bisogno di difendere», chiarisce. 

Nato una ventina di anni fa, il Bloco de esquerda rappresenta in parlamento la sinistra più progressista, particolarmente attenta alla difesa dei diritti civili, alla lotta al razzismo e alle questioni ambientali.

«Ogni punto del nostro programma ha delle ricadute sulla difesa dell’ambiente», spiega Pires. «Per noi questo è ormai imprescindibile». Sono proprio la forte presa di posizione sull’ambiente e sulle questioni sociali più divisive – come le politiche sulla tossicodipendenza – che distinguono il Bloco de esquerda dal secolare Partido comunista português, ma in linea di principio i due partiti non si distanziano molto. «Su temi di fondo difendiamo idee quasi identiche», chiarisce Pires. 

All’opposizione

Le prossime elezioni legislative i partiti di sinistra confermeranno ufficialmente il loro ruolo di opposizione, ma resta ancora da vedere chi guiderà il governo. In gioco ci sono i due partiti di centro, il Partido socialista (centrosinistra) e il Partido social democrata (Psd) di centrodestra alla cui presidenza è stato da poco rieletto l’ex sindaco di Porto, Rui Rio.

I sondaggi danno come fortemente improbabile che uno dei due partiti ottenga la maggioranza assoluta dei seggi, ma la rielezione di Rio – storicamente in buoni rapporti con Costa – ha delineato una terza ipotesi, ovvero la costituzione di un “Bloco central”, formato dall’alleanza tra Ps e Psd. Costa ha prontamente escluso questa possibilità, ma ha ammesso che la stabilità di un possibile governo del Ps dipenderà dal “dialogo” con il centrodestra. Eppure secondo alcuni analisti un accordo tra i due partiti di centro non è da escludersi, anzi. 

Più seggi a destra

«È una possibilità sempre più concreta», sostiene Santana Pereira. «Negli ultimi anni il Psd ha portato avanti un’opposizione mite, mostrandosi disponibile ad appoggiare il governo socialista, che invece ha rifiutato il suo sostegno prediligendo l’alleanza con i partiti più a sinistra». 

Anche il Psd potrebbe contare sul sostegno di partiti più a destra, ma questo non sarebbe sufficiente a formare una maggioranza. Anche perché uno di questi partiti, il giovane partito populista di ultradestra Chega (in portoghese “basta”) ha ritirato il suo appoggio.

Un’intesa tra Psd e Chega è stata tentata nel governo regionale delle isole Azzorre ma è fallita miseramente. Il suo leader, André Ventura, ha definito il Psd un partito di «centrosinistra» che «non merita la nostra considerazione».

Il peso di Chega in parlamento sarà forse una delle conseguenze più tangibili di queste legislative. Con almeno il 10 per cento dei voti e l’ambizione a conquistarne il 15 per cento, Chega potrebbe ottenere quasi una ventina di seggi su 230. Nel 2019 ne aveva conquistato uno, facendo già notizia per essere il primo partito di ultradestra ad entrare in parlamento dalla caduta del salazarismo. 

Cercare stabilità

«A parte la crescita di Chega, tutto resterà più o meno come nel 2019», spiega Santana Pereira. Neppure il crescente astensionismo, che nelle scorse legislative è arrivato a riguardare circa la metà dell’elettorato, è destinato a fare una grande differenza.

Il grande segno che lascerà questa crisi politica è forse più che altro la presa di coscienza dell’insostenibilità di un modello – la geringonça – che aveva fatto pensare al Portogallo come una nuova roccaforte della sinistra europea, quando invece non ha mai smesso di essere un paese impegnato a cercare stabilità politica con tutti i compromessi che questa comporta.

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