Le cose stanno andando bene per Vladimir Putin. Martedì ha attraversato la porta del Gran Palazzo del Cremlino per recarsi nella sala del Trono di Sant’Andrea e prestare giuramento da presidente della Russia, per la quinta volta. «Siamo un popolo unito e grande, insieme supereremo tutti gli ostacoli e daremo vita ai nostri piani, insieme vinceremo!», ha detto Putin, celebrando l’inizio del nuovo mandato di sei anni ottenuto a marzo con una maggioranza schiacciante in elezioni senza rivali.

Oggi farà un discorso ancora più solenne alla parata del 9 maggio, la data in cui la Russia festeggia il Giorno della vittoria contro i nazisti nella Seconda guerra mondiale, che dall’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina è diventata l’occasione per fare un parallelo tra la guerra di resistenza di allora e l’aggressione russa di oggi.

Il regime di Putin appare più forte che mai, nonostante tutto: la cosiddetta “operazione militare speciale” (ufficialmente si chiama ancora così) è entrata nel terzo anno e non se ne vede la fine, gli obiettivi conseguiti sul campo sono in realtà limitati, la perdita di vite umane non ha eguali nella storia della Federazione Russa e dell’Unione sovietica del Secondo dopoguerra.

Tuttavia, né l’ondata di sanzioni occidentali, né l’inasprimento della repressione interna, né gli attacchi ucraini in territorio russo sono stati sufficienti a mettere l’opinione pubblica (e soprattutto l’élite russa) contro l’uomo forte del Cremlino. Al contrario, con il passare del tempo la maggioranza dei russi si sta abituando a convivere con la nuova realtà interna e internazionale, volenti o nolenti ne hanno preso atto, e oggi il leader 71enne – la stessa età del cinese Xi Jinping e dell’indiano Narendra Modi – sembra in grado di governare fino al 2030 rimodellando la Russia a suo piacimento.

I limiti delle sanzioni

Le sanzioni non hanno creato un disagio tale da spingere i russi a rivoltarsi o a esprimere un significativo malcontento. Soprattutto, a subire maggiormente le conseguenze delle sanzioni non sono stati i più ricchi, e neanche i più poveri. Il regime sanzionatorio ha colpito il tenore di vita della classe media occidentalizzata, ovvero quei russi con un’alta qualifica professionale che lavoravano con o per le multinazionali straniere, persone che parlano altre lingue e che spesso viaggiavano nei paesi europei, quel tipo di russi che non è mai piaciuta granché ai russi che vivono nelle province e nelle periferie.

I grandi magnati russi hanno subito grosse perdite economiche e uno stravolgimento del loro tenore di vita lussuoso, non possono più fare affari in determinati paesi, i più potenti tra loro sono stati sanzionati e hanno visto confiscati i propri beni.

Putin però ha dimostrato una grande abilità nel gestire la redistribuzione di ricchezza e potere tra i vecchi e i nuovi oligarchi rimasti fedeli al Cremlino, riaffermando la sua autorità.

Economia di guerra

Mentre la Russia si adattava alle sanzioni, molti russi delle classi medio-basse hanno invece trovato un vantaggio personale dalla guerra. La carenza di manodopera che già caratterizzava il paese si è aggravata a causa della mobilitazione militare, dell’espatrio volontario di circa un milione di persone e dalla riduzione dell’immigrazione. Ciò ha spinto le imprese ad aumentare gli stipendi per trattenere il personale o riempire i posti vacanti, sia per i profili tecnici e professionali più qualificati che per la manodopera di base.

A questi stravolgimenti si è aggiunto l’aumento della spesa pubblica per portare avanti la guerra, che include gli stipendi molti alti (almeno il triplo rispetto alla media) per i soldati al fronte, i rimborsi per le famiglie dei caduti, la produzione industriale di armamenti ed equipaggiamenti (con relativo indotto), e i sussidi di vario genere non direttamente connessi alla guerra ma che servono ad alleviare l’aumento del costo della vita causato dall’inflazione.

Il consenso per Putin

Secondo i sondaggi del Levada Center, la fonte più accreditata, gli indicatori del sentimento pubblico riguardo alla situazione socio-economica sono al livello del 2008, il picco della stabilità di Putin. «Mosca spende molti soldi per creare la sensazione che tutto sia in ordine, che viviamo come al solito», ha detto il direttore dell’istituto Denis Volkov in un’intervista a Bloomberg.

Tuttavia, nonostante le entrate in aumento, il Cremlino è costretto a usare le riserve del fondo patrimoniale nazionale per sostenere l’aumento della spesa, e l’inflazione è quasi doppia rispetto all’obiettivo del 4 per cento.

La Banca centrale russa continua a tenere il tasso di interesse di riferimento al 16 per cento, e un tasso a due cifre non è il segnale di un’economia in salute.

La guerra ha inoltre rilanciato l’abitudine dell’era sovietica di denunciare alle autorità i vicini, gli insegnanti e i colleghi di lavoro per mancanza di patriottismo.

Una paranoia che si sta diffondendo anche tra gli oligarchi, che temono di essere accusati di slealtà dai propri rivali, o di essere perseguiti dal governo se dicono qualcosa di sbagliato sulla “operazione militare speciale”.

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