Com’era prevedibile, i risultati delle elezioni nel Regno Unito hanno innescato la discussione sulle lezioni da trarne per il riformismo in Italia. I riformisti moderati sono incoraggiati dalla valanga del Labour guidato da Keir Starmer. E ne traggono argomenti a favore di un più netto impegno della sinistra italiana in tale direzione, negando la possibilità di un riformismo più radicale, tacciato di massimalismo. In realtà, le cose sono più complicate di come appaiono.

Un vecchio dilemma

Le elezioni britanniche ripropongono un vecchio dilemma della sinistra nelle democrazie avanzate. Rendere l’offerta politica più attraente per i ceti medi, più abbienti e istruiti, in modo da poter arrivare al governo, ma perdere così la capacità di rappresentanza dei gruppi sociali più deboli? Oppure mantenere tale capacità ma condannarsi all’isolamento, e quindi perdere nel tempo lo stesso sostegno di tali classi?

Se si mettono a confronto le esperienze della sinistra nei vari paesi occidentali, emerge chiaramente come quelle di maggior successo (nel senso di mantenere un equilibrio tra radicamento nell’elettorato popolare e capacità di attrarre il consenso dei ceti medi) siano state le socialdemocrazie consolidate del centro-nord Europa.

Esse sono potute andare al governo e rappresentare le istanze dei gruppi più deboli. Lo hanno fatto con relazioni industriali e sistemi di welfare estesi e incisivi, ma sostenibili. Non hanno compromesso le finanze pubbliche e hanno costituito uno stimolo e una risorsa per la crescita economica. Sappiamo bene che anche le socialdemocrazie nordiche hanno oggi i loro problemi, ma restano un punto di riferimento essenziale per una sinistra che voglia promuovere uno sviluppo sostenibile e contrastare le disuguaglianze.

Connotazione moderata

Letta in questa chiave, la vittoria del Labour sembra fondata su una soluzione al dilemma della sinistra nel senso di una maggiore omologazione alle ricette liberal-democratiche che guardano ai ceti medi istruiti, più che a quelle socialdemocratiche. Senza peraltro avere l’ambizione e la capacità innovativa che ebbe, specie all’inizio, l’esperienza della Terza Via di Blair.

Questa connotazione moderata ma anche modesta e concreta emerge chiaramente dai discorsi di Starmer e dal programma. Ne segnalo solo quattro. Anzitutto, lo spazio molto rilevante dato alla difesa dei confini e al controllo e alla restrizione dell’immigrazione, insieme alla lotta alla criminalità, con il potenziamento del personale pubblico preposto.

In secondo luogo, l’assenza di riferimenti espliciti alle disuguaglianze sociali in un paese con la più alta disuguaglianza di reddito tra le democrazie europee, cresciuta peraltro fortemente durante il lungo periodo al governo dei conservatori. Si è così determinato anche un incremento significativo della povertà, e soprattutto di quella minorile, provocato da tagli rilevanti al welfare. in particolare agli assegni sociali alle famiglie con figli (la parola disuguaglianze compare solo 4 volte nel Manifesto, contro 54 di sicurezza e 47 di crescita).

Ancora, l’assenza o la forte carenza di politiche redistributive esplicite, volte a ridurre le disuguaglianze si accompagna a grande prudenza in campo fiscale, con la sostanziale conferma del quadro di riduzione della pressione fiscale ereditato dai conservatori. Tutto ciò si accompagna infine a una concezione ottimistica d’impronta neo-liberista della crescita. La convinzione che funzioni il principio che “l’alta marea solleva tutte le barche” e che quindi abbassando le tasse, favorendo gli investimenti e lasciando più libere le imprese cresca l’occupazione e si riducano le disuguaglianze. In realtà non è così, come mostra lo stesso caso britannico.

Sguardo a Nord

Naturalmente ci sono molte altre cose buone nel programma del Labour: investimenti nelle infrastrutture disastrate, nell’istruzione, nel servizio sanitario nazionale in grave crisi. Interventi efficaci in questi campi possono influenzare anche le disuguaglianze e la povertà.

È poi possibile che la prudenza esibita finora sia stata motivata da ragioni di tattica elettorale (le stesse che hanno suggerito di non parlare dei legami con la Terza Via, della Brexit e dei rapporti con la Ue). E che dopo la valanga si affermi maggiore audacia. In ogni caso, è giusto che la vittoria del Labour sia valutata positivamente dal punto di vista della sinistra. A patto che non se ne faccia l’unico modello di riformismo. Un altro riformismo più legato alla ragione sociale della sinistra – il contrasto delle disuguaglianze – è possibile ma bisogna cercarne obiettivi e strumenti più a Nord di Londra.

© Riproduzione riservata