Sliding-doors di influenze politico-militari in Niger, escono gli americani, entrano i russi. La giunta militare salita al potere grazie a un golpe che ha defenestrato il presidente Mohamed Bazoum (tuttora detenuto) alla fine del luglio scorso, ha revocato l’intesa sulla sicurezza con Washington che accordava alle forze americane di presidiare il territorio nella lotta al terrorismo jihadista.

Gli Stati Uniti, storici alleati di Niamey, sono rientrati a pieno diritto in quella operazione di pulizia dall’occidente che sta prendendo piede in molti paesi dell’Africa a vari livelli: politico, militare, diplomatico, commerciale.

Fino a poco tempo fa, Washington considerava il Niger un partner chiave nella regione per tutta una serie di motivi strategici. Innanzitutto perché il grandi paese saheliano è ricchissimo di uranio (il 7 percento delle riserve mondiali) e di varie altre risorse, poi perché rappresentava un’isola di relativa stabilità in un’area attraversata da terrorismo, instabilità e gravi problemi ambientali e si proponeva quale partner economico ideale, al centro di accordi di contenimento dei flussi migratori subsahariani.

Infine perché resisteva alla penetrazione russa che sta piantando bandierine nell’area a ritmo incalzante. Per tutte queste ragioni, l’amministrazione americana ha profuso molti sforzi nel tentativo di riattivare un dialogo e scongiurare la cacciata definitiva.

Il tutto, però, è stato vanificato lo scorso 15 marzo quando un portavoce della giunta ha dichiarato pubblicamente «illegale» il mantenimento della presenza militare statunitense.

La exit strategy

Sul Niger le varie amministrazioni Usa avevano investito molto in termini di installazione di basi militari, addestramento e attrezzatura bellica. L’accordo, siglato 12 anni fa, tra i vari punti prevedeva una struttura per droni ad Agadez in pieno deserto del Sahara.

La base, uno dei principali centri di droni statunitensi in Africa, fu inaugurata nel 2018 al costo di 110 milioni di dollari ed è stata utilizzata nelle operazioni contro i gruppi jihadisti in tutto il Sahel così come per attacchi contro i combattenti dello Stato islamico in Libia.

Gli Stati Uniti hanno anche investito molto nell’addestramento delle forze nigerine per sconfiggere le insurrezioni dei gruppi legati ad Al-Qaeda e alle milizie affiliate all’Isis molto attivi nell’area. Alcuni membri dei corpi speciali nigerini formati da consiglieri militari americani, però, hanno preso parte al golpe che ha spodestato Bazoum in luglio e da quel momento le relazioni tra i nuovi leader del paese e Washington si sono gravemente raffreddate.

Secondo la exit strategy, usciranno dal Niger oltre 1.000 militari statunitensi. E dovranno farlo in fretta incalzati come sono da una parte da manifestazioni massive in varie città, molto probabilmente aizzate dalla giunta, che chiedono l’immediata evacuazione di «forze straniere», dall’altra dall’ingresso di truppe russe cominciato da un paio di settimane.

Gli effettivi del nuovo alleato fanno parte dell’Africa Corps, un gruppo paramilitare russo istituito per sostituire la milizia Wagner, all’indomani della morte dello storico fondatore Evgenij Prigožin.

Fuori dal Ciad 

Ma le pessime notizie per la presenza americana in Africa, tanto ricercata e rilanciata dal presidente Joe Biden, non sono finite. La scorsa settimana, infatti, il Ciad, altro paese che, pur guidato da una giunta militare al potere dal 2021, intratteneva con Washington buoni rapporti, ha deciso di espellere dal proprio territorio le truppe Usa. Anche in questo caso, si attende il rimpiazzo a opera di Mosca.

Alcune fonti, riportate dal New York Times, sostengono che il Pentagono sia stato costretto a ritirare le truppe perché inadempiente rispetto alle richieste di rimodulazione di regole di ingaggio e condizioni in cui il personale militare avrebbe dovuto operare. Secondo queste fonti, il Ciad così come il Niger prima, chiedeva condizioni che favorissero maggiormente i propri interessi.

Il possibile approdo di truppe russe a N’Djamena preoccupa molto Washington che nel 2023 aveva lanciato un allarme alla giunta presieduta da Idriss Déby di un presunto complotto ai suoi danni ordito da mercenari russi oltre all’appoggio di Mosca ai ribelli ciadiani sistematisi nella vicina Repubblica Centrafricana. L’allarme, come appare, è caduto tuo nel vuoto e sembra che il corteggiamento russo stia portando i primi risultati.

È giallo, però, sulle modalità della richiesta di espulsione. La cacciata dei Berretti verdi del 20° Gruppo Forze Speciali, infatti, è stata innescata da una lettera spedita all’addetto alla difesa americano che presentava una serie di anomalie. Intanto perché è stata inviata dal capo del dipartimento aereonautico Idriss Amine con carta intestata a suo nome, non del governo.

Poi perché non è stata spedita attraverso i canali diplomatici ufficiali. Ciò farebbe pensare più che a un diktat definivo, a una possibile tattica di negoziazione per fare pressione su Washington e ottenere un accordo più favorevole prima delle elezioni che si terranno in Ciad il 6 maggio.

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