Negli Stati Uniti è stato approvato al Senato il Respect for Marriage Act, il disegno di legge a protezione del matrimonio omosessuale che sostituirà il Defense of Marriage Act del 1996, il quale garantiva la validità sul suolo americano delle sole nozze tra uomo e donna. Il voto finale è stato 61-36, con una storica collaborazione bipartisan. Il testo passa ora alla Camera, che dovrebbe approvarlo entro la fine dell'anno, forse già la prossima settimana, prima della firma del presidente Joe Biden.

Dopo il voto su tre emendamenti repubblicani, uno dei quali a firma del senatore Mike Lee dello Utah su un’espansione della libertà religiosa sui cui però non ci si aspetta una maggioranza, c’è stato il voto finale.

Le modifiche proposte dai repubblicani avrebbero bloccato l’eventuale introduzione della poligamia ed avrebbero allungato la lista dei soggetti privati che potrebbero non riconoscere il matrimonio egualitario per ragioni di carattere religioso. 

Sostegno repubblicano

Lo scorso 16 novembre con un voto di 62 senatori favorevoli e 37 contrari si era superato lo scoglio procedurale del possibile ostruzionismo, mentre lunedì si è chiuso il dibattito sull’argomento con un voto simile: 61 favorevoli e 35 contari. Tra i repubblicani era atteso il consenso degli esponenti moderati come la stessa Susan Collins e Lisa Murkowski, ma anche quello di Mitt Romney che nel 2012, quando era lo sfidante di Barack Obama alle elezioni presidenziali, proclamava la sua aperta ostilità al matrimonio egualitario.

L’adesione più sorprendente è quella di Cynthia Lummis del Wyoming, esponente conservatrice in genere ostile al compromesso con i democratici. Si nota però che tre senatori favorevoli, Rob Portman dell’Ohio, Roy Blunt del Missouri e Richard Burr del North Carolina, non sono stati rieletti, sostituiti da nuovi colleghi molto più a destra di loro.

Secondo le regole della Camera Alta del Congresso americano, serve una maggioranza qualificata di 60 senatori: siccome i dem sono soltanto cinquanta su cento (con l’aggiunta del voto della vicepresidente Kamala Harris in caso di impasse) occorre un aiuto da parte repubblicana. E date le premesse, con i repubblicani sul piede di guerra contro un presidente molto impopolare, era tutt’altro che scontato che arrivassero ben dodici voti.

Come mai si è tornati sulla questione delle nozze egualitarie, dopo che nel 2015 la Corte Suprema aveva reso costituzionale questo diritto in tutto il territorio federale con la sentenza Obergefell v. Hodges? Torniamo allo scorso giugno, quando è stata emessa la sentenza della Corte Suprema Dobbs v. Jackson che cancellava la protezione federale sul diritto all’aborto negli Stati Uniti, demandandolo ai singoli stati.

Scorrendo le considerazioni a margine nel parere concomitante del giudice Clarence Thomas, si leggeva che non solo l’aborto era costituzionalmente dubbio, ma anche altri diritti basati sul principio della privacy personale, assente in costituzione. Quindi andavano ridiscussi sia il diritto alla contraccezione che il matrimonio egualitario, dove peraltro Thomas già nel 2015 aveva espresso parere contrario.  

Così i dem al Congresso hanno annunciato provvedimenti per proteggere i diritti in modo più solido, senza temere le oscillazioni conservatrici della Corte Suprema, rispolverando un disegno di legge federale a difesa del matrimonio tra persone dello stesso sesso, il Respect of Marriage Act, che già era stato presentato varie volte a partire dal 2009 senza mai arrivare mai a un voto finale.

Il provvedimento, ripartito il 18 luglio alla Camera, prevede una protezione legale federale per i matrimoni omosessuali e interrazziali, fornendo uno scudo antidiscriminazioni in modo simile a quanto avviene riguardo ai diritti civili degli afroamericani, esplicitamente tutelati dal Civil Rights Act del 1965.

Dopo l’approvazione, la legge cancellerebbe un provvedimento di segno opposto, il Defense of Marriage Act, varato nel 1996 da un Congresso a maggioranza repubblicana con il contributo di molti esponenti democratici, tra cui quello dello stesso Biden, allora senatore, che stabiliva che il matrimonio fosse solo quello tra un uomo e una donna. La scelta dei dem di rimettere in campo la questione del matrimonio egualitario sembrava una mossa disperata, un ulteriore allontanamento dalle preoccupazioni economiche degli elettori.

Il provvedimento partiva con numeri risicati e un destino incerto, anche a causa delle elezioni di metà mandato, in cui i dem sembravano andare verso una netta sconfitta. Nonostante queste premesse, alla Camera il disegno di legge ha raccolto ben 47 voti repubblicani, non soltanto tra le fila dei moderati, ma anche tra quelle dei trumpiani come i deputati Jeff Van Drew del New Jersey insieme con Elise Stefanik e Lee Zeldin di New York.

Sul provvedimento, arrivato in Senato lo scorso settembre, incombeva la questione del voto qualificato di 60 senatori: senza questi numeri, l’ostruzionismo dei repubblicani non lo facesse finire su un binario morto. Un dato registrato nei sondaggi indicava un potenziale esito positivo: secondo un’indagine Gallup del 2021 per la prima volta c’era una maggioranza di favorevoli nell’elettorato repubblicano: 55 per cento contro il 70 per cento registrato tra l’elettorato generale. Il leader dem al Senato Chuck Schumer decise di sospendere l’iter della provvedimento, rimandandolo a dopo le elezioni di midterm.

La clausola determinante

Nel frattempo, il lavoro di compromesso tra le due relatrici al Senato, la dem Tammy Baldwin e la repubblicana Susan Collins, ha portato all’inserimento di una clausola sulla libertà religiosa per convincere eventuali senatori indecisi.

L’emendamento prevede che le congregazioni che vorranno continuare a rifiutare di celebrare il matrimonio omosessuale saranno libere di farlo, senza timore di contestazioni legali da parte delle agenzie federali. Insomma, non sarebbe cambiato nulla per quelle congregazioni conservatrici.

Una scelta particolarmente apprezzata dalla chiesa episcopale, già molto aperta in tema di diritti Lgbt, ma anche da parte della Chiesa di Gesù Cristo e dei Santi degli Ultimi Giorni, meglio nota come chiesa mormona, fino a qualche anno fa totalmente chiusa sull’argomento.

Baldwin e Collins hanno ricevuto anche una lettera di apprezzamento scritta da parte di Walter Kim, presidente della National Association of Evangelicals, in cui si evidenzia la parte sulla libertà religiosa, che ci consente di vivere «pur non essendo d’accordo». Diverso l’atteggiamento della Chiesa Cattolica e della Southern Baptist Convention, che hanno mantenuto la loro posizione contraria al provvedimento anche dopo l’inserimento della postilla.

I dem hanno quindi chiuso una questione che per la presidenza Obama sembrava insormontabile ed eccessivamente divisiva anche tra le loro stesse fila. In meno di vent’anni è cambiato il pensiero dello stesso presidente Biden.

Nell’ottobre 2008, durante il dibattito tra i candidati vicepresidente Joe Biden concordava con la sfidante Sarah Palin proprio sull’opposizione al matrimonio omosessuale, che all’epoca non viene ancora definito egualitario.

Quattro anni più tardi, il 6 maggio 2012, durante un’intervista a Meet The Press sulla rete televisiva Nbc News, Biden cambiò punto di vista, sostenendo che non c’era alcuna differenza tra un matrimonio tra uomo e donna e quello tra due persone dello stesso sesso. Una posizione che venne ribadita, quello stesso anno, nella piattaforma programmatica dei democratici, ma senza comportare avanzamenti al Congresso. Fino all’approvazione finale del Senato di martedì.

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