Almeno 42 persone sono state uccise sabato negli attacchi israeliani contro i distretti di Gaza City, nel nord dell’enclave palestinese, ha detto l’ufficio stampa governativo gestito da Hamas. Un attacco israeliano contro le case di al Shati, uno degli otto storici campi profughi della Striscia di Gaza, ha ucciso 24 persone, ha detto a Reuters Ismail Al-Thawabta. Altri 18 palestinesi sono stati uccisi in uno raid contro le case nel quartiere di al Tuffah.

L’esercito israeliano ha rilasciato una breve dichiarazione in cui afferma: «Poco tempo fa, aerei da combattimento dell’Idf hanno colpito due siti di infrastrutture militari di Hamas nell’area di Gaza City». Poi ha aggiunto che maggiori dettagli sarebbero stati rilasciati presto. Alcuni media hanno scritto che l’obiettivo era Raad Saad, capo delle operazioni di Hamas. 

L’offensiva

L’offensiva israeliana ha lasciato Gaza, una dei territori più densamente popolati al mondo, in rovina, uccidendo più di 37.400 persone, di cui 101 nelle ultime 24 ore, secondo le autorità sanitarie palestinesi, e lasciando quasi l’intera popolazione senza una casa e indigente. A più di otto mesi dall’inizio della guerra, l’avanzata di Israele è ora concentrata sulle due ultime aree che le sue forze dovevano ancora conquistare: il confine meridionale di Rafah a Gaza e l’area circostante il centro di Deir al-Balahin. In realtà la tattica dell’esercito israeliano, non è sempre stata lineare: è tornato a colpire, a distanza di mesi, aree che riteneva aver messo sotto controllo.

Tel Aviv non ha chiarito quale sia l’obiettivo finale che si prefigge per il dopo guerra nella Striscia al di là degli slogan difficilmente realizzabili del governo come ha ammesso lo stesso esercito nella persona del suo portavoce Daniel Hagari, quando ha ammesso che «Hamas non può essere eliminato perché è un’ideologia».

Sono intanto aumentate anche le tensioni in Cisgiordania, con truppe israeliane che sono entrate nella città di Qalqilya, dove ieri un cittadino israeliano è stato ucciso da un colpo di arma da fuoco.

Sempre ieri, media arabi hanno diffuso un video che mostrava un uomo palestinese ferito legato al cofano di un veicolo militare dell’Idf: le immagini sono state girate nell’area di Wadi Burqin, non lontano da Jenin. Secondo la ricostruzione dell’esercito, che ha definito la condotta dei soldati «contraria agli ordini e alle procedure» e che ha annunciato un indagine interna, l’uomo sarebbe rimasto ferito dopo aver aperto il fuoco contro i militari. È poi stato arrestato e trasportato legato al cofano fino alla Mezzaluna Rossa. 

Il supporto Usa 

Ma a rimanere caldo è anche il fronte nord. Nonostante le pesanti accuse lanciate dal sempre più isolato premier israeliano, Benjamin Netanyahu contro i ritardi nelle forniture di armi americane a Tel Aviv, gli Stati Uniti hanno assicurato che offriranno a Israele pieno sostegno nel caso in cui scoppiasse una guerra su vasta scala con Hezbollah, il gruppo sciita libanese alleato dell’Iran. Lo ha riferito la Cnn citando un alto funzionario dell’amministrazione Biden.

L’impegno a favore di Israele, ha detto la fonte alla Cnn, sarebbe stato preso durante gli incontri a Washington tra il consigliere per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi, il ministro per gli affari strategici Ron Dermer, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan e il segretario di Stato Antony Blinken.

Sempre secondo quanto ha riferito il funzionario alla Cnn, che l’amministrazione Biden sarebbe pronta a offrire a Israele «l’assistenza in materia di sicurezza di cui ha bisogno» sebbene in precedenza il presidente Joe Biden avesse detto che non avrebbe fornito più bombe pesanti all’Idf se Israele non avesse rinunciato all’invasione di Rafah.

L’incontro tra i due alleati era saltato in un primo momento come ritorsione per le accuse pubbliche rivolte da Netanyahu all’amministrazione Biden. Poi le incomprensioni tra alleati si sono risolte di fronte alle minacce di Hezbollah di estendere il conflitto e dopo le minacce del suo leader Nasrallah rivolte a Cipro  – paese membro dell’Ue con l’esclusione della parte ancora occupata dalla Turchia dal 1974 – nel caso avesse dato assistenza militare a Tel Aviv. Tuttavia, in uno scenario del genere, gli Stati Uniti non schiererebbero truppe americane sul terreno. 

Raid in Libano 

Intanto, mentre sembra che Netanyahu abbia dato il via libera all’uccisione di Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah in Libano, l’esercito israeliano ha annunciato di aver eliminato «in un raid mirato» nella Valle della Beqaa in Libano «Ayman Ratma, un operativo importante, responsabile del rifornimento di armi per le organizzazioni di Hamas e Jamaa Islamiya».

«Ayman Ratma», ha proseguito il portavoce militare, «è stato eliminato a causa del suo coinvolgimento nella promozione ed esecuzione di attività contro Israele».

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