In meno di ventiquattro ore Israele ha spostato il conflitto contro Hamas fuori dalla Striscia di Gaza, colpendo il cuore dell’Iran e i suoi alleati. La leadership militare e politica israeliana ha compiuto un’accelerazione inaspettata: prima l’operazione con un drone militare a Beirut con cui è stato ucciso Fuad Shukr, vertice di Hezbollah e consigliere militare del leader del Partito di Dio Nasrallah, poi l’uccisione del capo del Politburo di Hamas, Ismail Haniyeh in Iran.

L’ayatollah Khamenei, le guardie rivoluzionarie, gli Houthi, Hamas e Hezbollah hanno promesso una risposta militare per l’uccisione dell’uomo che finora aveva seguito in prima persona i negoziati per Gaza e per la liberazione dei 115 ostaggi israeliani.

Nella moschea Jamkaran di Qom, città cuore della rivoluzione iraniana, è stata issata una bandiera rossa: quella della vendetta. Se la risposta sarà seria o un semplice bluff, come l’attacco del 13 aprile scorso in risposta al raid di Tel Aviv contro gli uffici diplomatici iraniani a Damasco, è ancora presto per dirlo.

Quel che sappiamo è che intorno alle 2 di notte di ieri, con un’operazione militare chirurgica, è stata colpita una residenza per veterani di guerra a nord della capitale iraniana. Nel blitz sono stati uccisi Ismail Haniyeh e una guardia rivoluzionaria. Al momento non si sa molto di più. Le autorità iraniane si sono limitate a dire che l’attacco aereo è partito da un paese straniero.

Ma quello avvenuto a Teheran non è un semplice attacco. È una dimostrazione di forza di Israele nei confronti della nuova leadership iraniana subentrata a Ebrahim Raisi. Haniyeh, infatti, si trovava a Teheran per assistere alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente Masoud Pezeshkian.

In attesa della risposta di Teheran e dei suoi alleati, i funerali di Haniyeh si terranno oggi all’università di Teheran. Il corpo, invece, sarà seppellito a Doha, in Qatar, domani.

Le parole di Netanyahu

A Tel Aviv ci sono state 24 ore di silenzio iniziate con l’attacco a Beirut di martedì. L’ufficio di Benjamin Netanyahu aveva chiesto ai suoi ministri di non commentare gli attacchi in Libano e Iran. «Abbiamo inferto colpi devastanti a tutti i nostri nemici», ha detto in serata il premier israeliano. Che poi ha assicurato che continuerà la caccia contro i leader di Hamas perché l’obiettivo è sconfiggere l’organizzazione terroristica e combattere contro «l’asse del male iraniano».

Netanyahu sa che le prossime giornate saranno «molto difficili» ma, ha aggiunto, «siamo pronti a tutti gli scenari». Quindi ha detto che in questi mesi ha ricevuto enormi pressioni sia interne sia esterne, facendo intendere che le operazioni degli ultimi due giorni sono state decise liberamente.

Poche ore prima il Segretario di stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, aveva ammesso che Washington non era stata avvertita del raid in Iran: «Si tratta di qualcosa di cui non eravamo a conoscenza o in cui non eravamo coinvolti».

Turchia, Russia e Cina

L’uccisione di Haniyeh ha scatenato dure proteste tra i leader internazionali che in questi mesi hanno intrattenuto rapporti diplomatici con Hamas. Tra questi Giordania, Qatar, Turchia, Russia, Cina ed Egitto. Recep Tayyip Erdoğan, che qualche giorno fa millantava un intervento militare turco a Gaza, ha parlato di «perfido assassinio» e ha avuto un colloquio telefonico con la moglie e i figli di Haniyeh.

Uno di loro, Abdul Salam, ha detto che Hamas non si arrenderà. «Mio padre è sopravvissuto a quattro tentativi di assassinio durante il suo viaggio patriottico, e oggi Allah gli ha concesso il martirio che ha sempre desiderato», ha aggiunto.

«Ci opponiamo fermamente e condanniamo qualsiasi assassinio e atto violento e siamo profondamente preoccupati per il potenziale aumento dell’instabilità regionale dovuto a questo incidente», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lin Jian. Qualche giorno fa la Cina era riuscita a far sedere intorno a un tavolo tutte le fazioni palestinese per portarle a una riconciliazione.

Anche Mosca ha condannato l’uccisione di Haniyeh definendola «inaccettabile». Lato europeo, invece, il portavoce Ue per la politica estera, Peter Stano, ha detto che Bruxelles rifiuta «le esecuzioni extragiudiziali», ricordando che «il procuratore della Corte penale internazionale ha chiesto un mandato di arresto contro Ismail Haniyeh con varie accuse di crimini di guerra».

Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha presieduto una riunione con gli ambasciatori della regione per fare un punto sulla sicurezza dei connazionali che vivono lì. La sua omologa tedesca Annalena Baerbock teme «conseguenze catastrofiche». Silenzio invece dalla Francia dove l’Eliseo ha fatto sapere di seguire con apprensione la situazione. L’impressione è che nessuno voglia esporsi politicamente.

Negoziati fermi

Al momento è impossibile parlare di negoziati, Netanyahu ha mandato all’aria i progressi annunciati nelle ultime settimane dal presidente Usa Joe Biden. Ci vorrà tempo prima di ritrovare un dialogo, anche perché Haniyeh era considerato uno degli uomini più moderati di Hamas e ora c’è il rischio che venga scelta una figura più radicale.

Ma l’attacco ha stancato anche chi in questi mesi ha impiegato forze nelle mediazioni, primo fra tutti il premier e ministro degli Esteri del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani. «Gli assassini politici e i continui attacchi ai civili a Gaza mentre proseguono i colloqui ci portano a chiederci: come può avere successo la mediazione quando una parte uccide il negoziatore dall’altra parte? La pace ha bisogno di partner seri e di una presa di posizione globale contro il disprezzo per la vita umana».

A Gaza, nel frattempo sono stati uccisi il giornalista Ismail al Ghoul e il cameraman Rami al Refee. Lavoravano per Al Jazeera e l’emittente ha riferito che sono stati uccisi dalle forze armate israeliane mentre erano a bordo della loro auto a Gaza City. Dal 7 ottobre sono stati uccisi nella Striscia di Gaza più di 165 giornalisti palestinesi.

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