Negli ultimi giorni, vicende di cronaca hanno indotto a parlare di violenza sessuale. La disposizione nazionale ne dà una definizione che esclude diverse fattispecie, mentre la giurisprudenza ne amplia la portata. Intanto, novità normative arrivano dall’Unione europea.

La proposta di direttiva Ue

L'8 marzo 2022 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, per la quale qualche giorno fa sono iniziati i colloqui tra le istituzioni dell’Ue ai fini dell’approvazione.

Nessuno strumento giuridico dell'Unione si era occupato prima in modo specifico di questo tema, nonostante norme europee riguardino profili ad esso collegati. Ad esempio, la “direttiva sui diritti delle vittime” (2012/29/UE), la “direttiva contro gli abusi sessuali sui minori” (2011/93/UE) o la “direttiva sull'indennizzo” (2004/80/CE).

Sempre in materia di violenza di genere, va segnalato che il 1° giugno 2023 si è concluso il processo di adesione dell’Ue alla Convenzione di Istanbul, trattato internazionale che, tra l’altro, stabilisce gli standard minimi nella prevenzione, protezione e condanna della violenza contro le donne e della violenza domestica.

La proposta di direttiva Ue va nel senso di attuarne le disposizioni. Innanzitutto, nell’ambito applicativo della proposta vengono ricompresi tutti gli atti di violenza di genere che provocano o potrebbero provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche o economiche, compresa la minaccia di metterli in pratica.

Sono inclusi reati quali la violenza sessuale, tra cui lo stupro, le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni forzati, gli aborti o la sterilizzazione forzati, la tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale, lo stalking, il femminicidio, oltre a molteplici forme di violenza via internet, come la condivisione non consensuale di materiale intimo o lo stalking online.

La violenza domestica, pure oggetto del testo, è quella che avviene all'interno del nucleo familiare, indipendentemente dai legami di famiglia, biologici o giuridici, tra partner o tra altri familiari, anche tra genitori e figli. Essa può colpire qualsiasi persona: uomini, persone giovani o anziane, minori e persone LGBTQ+.

Il consenso

La proposta di direttiva introduce un elemento innovativo rispetto alla regolamentazione di diversi Paesi europei: una definizione di stupro basata sull’assenza di consenso. Per il Parlamento UE si tratta di «un elemento centrale e costitutivo (...), dato che spesso non c’è violenza fisica o uso della forza quando l'atto è commesso.

Il consenso dovrebbe essere ritirabile in qualsiasi momento durante l'atto, in linea con l'autonomia sessuale della vittima, e non dovrebbe implicare automaticamente il consenso per gli atti futuri». Ciò in conformità alla Convenzione di Istanbul, che fa della mancanza del consenso il cardine della definizione di reato sessuale: «il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto» (art. 36).

Il fine della proposta di direttiva è quello di colmare le lacune degli ordinamenti di diversi Stati membri. Infatti, nonostante la ratifica di tale Convenzione del Consiglio d’Europa, alcuni Paesi Ue non hanno modificato la normativa interna in conformità ad essa, nel senso di rendere l’assenza di consenso un elemento costitutivo della definizione di stupro. Tra questi c’è l’Italia.

Il codice penale continua a qualificare questo reato in relazione all’uso della forza, della minaccia di forza o della coercizione o dell’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto (art. 609-bis), escludendo così ipotesi di violenza nelle quali non ricorrono questi elementi, ma comunque manca il consenso della vittima.

L’8 luglio 2020 la delegazione italiana di Amnesty International ha lanciato una campagna per chiedere al Ministro della Giustizia l’adeguamento dell’ordinamento interno alla Convenzione di Istanbul, affinché sia considerato stupro qualsiasi atto sessuale privo di consenso.

Solo così può essere garantita la piena protezione dell'integrità sessuale e dimostrata in via normativa una cultura improntata a condivisione e rispetto. Cultura da promuovere comunque nella collettività con azioni adeguate.

Nella giurisprudenza

Nonostante l’attuale formulazione del codice penale, la giurisprudenza ha conferito all’elemento del consenso espresso una valenza essenziale. Da ultimo, nel maggio scorso, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio basilare: «Nei reati contro la libertà sessuale, il dissenso è sempre presunto, salva prova contraria» (n. 19599/2023). In altre parole, il reato di cui all’art. 609-bis c.p. si configura non solo in presenza di una manifestazione esplicita di dissenso, ma anche quando l’atto sessuale è posto in essere in mancanza di consenso, non manifestato neanche tacitamente. Il presunto autore dell’atto dovrebbe, quindi, fornire prove che sussistevano «indici chiari ed univoci volti a dimostrare l’esistenza di un, sia pur tacito ma in ogni caso inequivoco, consenso» (Cass. n. 42118/2019).

Secondo la Cassazione, il pianto di una ragazza dimostra dissenso (n. 42118/2019), come pure il fatto che non abbia reagito perché prima è stata minacciata o picchiata (n. 10384/2020). Il dissenso è presunto se la vittima era dormiente (n. 22127/2016), ubriaca o sotto l’effetto di stupefacenti, e dunque in condizioni di inferiorità psichica che le impediscono una scelta consapevole (n. 16046/2018).

Nonostante l’elaborazione giurisprudenziale maturata negli anni, la norma penale non è stata modificata. Dovrà esserlo dopo l’emanazione della direttiva Ue, in sede di recepimento. I governi pro tempore introducono sempre nuovi reati che si sovrappongono ad altri, contribuendo ad accrescere la mole di norme esistenti, ma non intervengono su una definizione legislativa che necessita di essere aggiornata.

L’atteggiamento del legislatore dice molto dell’atteggiamento del Paese stesso. Non ci si meravigli, pertanto, del modo in cui media e opinione pubblica trattano certi casi di cronaca.

I commenti sul caso La Russa

Sulla base di quanto spiegato, possono essere meglio valutati alcuni commenti formulati in talk show, dichiarazioni pubbliche o altrove sul caso che vedrebbe coinvolto Leonardo Apache La Russa. Ad esempio, il fatto che la ragazza avesse assunto volontariamente alcolici e sostanze stupefacenti, cioè non fosse stata “drogata” dal presunto autore dell’atto, escluderebbe soltanto l’aggravante per quest’ultimo (Cass. n. 10596/2020).

Infatti, integra il reato di violenza sessuale la condotta di chi induca la persona offesa a subire atti sessuali in uno stato di inferiorità psichica determinato da bevande alcoliche, «essendo l'aggressione all'altrui sfera sessuale connotata da modalità insidiose e subdole» (Cass. n. 40565/2012).

Alcuni hanno osservato che la ragazza, nonostante avesse bevuto, potesse comunque essere lucida, lasciando intendere che non si sarebbe opposta al rapporto. Questo commento, in contrasto con la giurisprudenza sopra esposta, pone in capo alla donna «l’onere di resistere all’atto sessuale che le viene imposto, quasi gravasse sulla vittima una “presunzione di consenso” (…) da dover di volta in volta smentire». Ciò manifesterebbe «una supina accettazione di stereotipi culturali ampiamente superati» (Cass. n. 19599/2023).

Infine, il fatto che il presunto autore dell’atto potesse essere ubriaco non costituisce un’esimente: «L’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l’imputabilità» (art. 92 c.p.). Peccato che in occasione di vicende di cronaca, come quella citata, i media preferiscano evidenziare ciò che solletica certi istinti, anziché gli elementi che consentono di inquadrarle giuridicamente. Il diritto regola il vivere civile.

Ignorarlo non giova a quella cultura che si invoca come strumento per contrastare la violenza di genere.


 

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