Quando il Partito comunista cinese ha nominato Xi Jinping segretario generale dieci anni fa, la nuova traiettoria del paese era chiara. Nel suo primo discorso al Politburo, nel gennaio 2013, Xi ha dichiarato la sua ambizione a costruire «un socialismo superiore al capitalismo» e l’aspirazione per la Cina a ricoprire «una posizione dominante» sull’occidente. Da qui deriva il comunicato del 2011 del Sesto plenum del diciassettesimo comitato centrale del Pcc, che delineava i piani del partito per rafforzare il controllo sulla cultura, la religione, la letteratura, l’istruzione, i media, internet e la società.

Negli anni successivi il partito ha proseguito con la ridefinizione dell’agenda di Xi. Forse la dichiarazione di intenti più importante, il Documento numero 9 dell’aprile 2013, offre un attacco esplicito alla democrazia occidentale, ai «valori universali», alla società civile, al giornalismo indipendente e alle obiezioni verso le politiche passate del Pcc. Nel 2019 è emerso un ulteriore documento che delineava le intenzioni del Pcc di rafforzare il controllo sul curriculum scolastico così da garantire «sentimenti di amore per il partito». Qualunque critica si possa rivolgere a Xi, non si può negare che abbia fatto in modo che la sua agenda fosse chiara a tutti.

Il problema è che il resto del mondo non stava ascoltando.

Repressione e controllo

È sufficiente leggere i due rapporti della Commissione per i diritti umani del partito conservatore del Regno Unito, The Darkest Moment: The Crackdown on Human Rights in China 2013-2016 e The Darkness Deepens: The Crackdown on Human Rights in China 2016-2020. All’epoca, in particolare del primo rapporto, io e pochi altri coinvolti eravamo voci piuttosto solitarie e marginali, considerate dall’establishment politico della maggior parte delle democrazie occidentali una seccatura, per il fatto che facevamo notare le preoccupazioni sui diritti umani, sconvenienti per le loro relazioni bilaterali con la Cina.

Non possiamo più permetterci una simile cecità. Lo scorso 16 ottobre si è aperto il XX Congresso nazionale del Partito comunista cinese nella Grande sala del popolo di Pechino. Questo raduno della durata di una settimana si svolge ogni cinque anni (l’ultimo è stato nel 2017) e riunisce 2.296 delegati che rappresentano i circa novanta milioni di membri del Pcc. Mentre le decisioni quotidiane sono prese dai vertici del Pcc, il Congresso nazionale agisce invece come una piattaforma del partito per mettere in mostra il proprio programma. Stabilisce la direzione per i prossimi cinque anni, che non sarà buona. Questa volta il mondo deve prestare attenzione.

Per prima cosa: quanto è diventata repressiva la Cina negli ultimi anni? Nella Cina continentale c’è stata una severa repressione del dissenso tra le classi professionali, molti avvocati e difensori dei diritti umani sono stati radiati dai loro ordini o arrestati. Durante le prime settimane della pandemia di Covid-19, le voci di medici ed esperti che cercavano di mettere in guardia sul virus sono state soppresse. Alcuni, come l’ex avvocato Zhang Zhan che era andato a Wuhan per raccontare l’impatto del lockdown, sono ancora dietro le sbarre. Altri, come il dottor Li Wenliang (successivamente morto di Covid) sono stati ignorati, minacciati e detenuti perché «diffondevano voci» oppure «compromettevano la stabilità».

Un altro aspetto allarmante dell’intensificarsi della repressione in Cina è l’uso della tecnologia di sorveglianza. Telecamere per il riconoscimento facciale, intelligenza artificiale, droni e il monitoraggio e la censura di app come WeChat e Weibo, insieme all’uso diffuso di confessioni televisive forzate, hanno trasformato la Cina in uno stato orwelliano. Si è scritto molto su questo e un testo molto chiaro per farsi un’idea generale è il libro di Kai Strittmatter We Have Been Harmonised: Life in China’s Surveillance State.

Dagli uiguri a Hong Kong

Nel frattempo, nella regione occidentale dello Xinjiang, sono stati costruiti centinaia di campi di prigionia e centri di detenzione, in cui sono stati spazzati via almeno un milione di uiguri e altre minoranze etniche musulmane che hanno sopportato orribili torture, violenze sessuali e lavoro in schiavitù. Le atrocità patite dagli uiguri sono state a mano a mano riconosciute come genocidi e crimini contro l’umanità. L’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo lo ha legalmente affermato nel suo ultimo giorno in carica nel 2021, una decisione che il suo successore Antony Blinken ha immediatamente approvato. Diversi parlamenti, nonché il tribunale indipendente istituito per indagare sulle accuse, sono giunti alla stessa conclusione.

Infine, c’è la repressione di Hong Kong. Negli ultimi cinque anni Pechino ha smantellato del tutto le libertà, la democrazia, lo stato di diritto e l’autonomia di Hong Kong, demolendo la libertà di stampa, la società civile e tutto ciò che restava della rappresentanza democratica. Nel 2020 il Pcc ha imposto alla regione una draconiana legge sulla sicurezza nazionale, con una formulazione così vaga e ampia che l’effetto è stato quello di mettere a tacere ogni dissenso. La maggior parte degli attivisti a favore della democrazia, inclusi molti dei miei amici, sono adesso in prigione o in esilio, e lo stesso vale per chi non tiene la testa bassa. Con una velocità allarmante Hong Kong è stata trasformata da una delle città più aperte dell’Asia a uno degli stati di polizia più repressivi. 

In proporzioni ridotte, ho avuto anch’io un’esperienza personale del governo di Xi. Sono stato il primo straniero a essere bandito da Hong Kong quando, nel 2017, mi è stato negato l’ingresso all’aeroporto per ordine di Pechino. Ho ricevuto a casa numerose lettere minatorie, e così i miei vicini. Sono stato minacciato di arresto dalla polizia hongkonghese per aver violato la repressiva legge sulla sicurezza nazionale, anche se vivo a Londra. Le mie esperienze non sono lontanamente paragonabili alle sofferenze delle persone a Hong Kong o in Cina; ma sono sufficienti per rendermi ancora più determinato a prendere molto sul serio la sfida che la Cina rappresenta.

Come possiamo agire

Fortunatamente, rispetto a dieci o anche cinque anni fa, ora abbiamo un’idea molto più chiara di quanto sia repressivo il Pcc internamente. Questo si traduce sempre più in pericoli all’estero. Elizabeth Economy ha scritto: «L’ambizione di Xi, come suggeriscono le sue parole e le sue azioni negli ultimi dieci anni, è quella di riordinare l’ordine mondiale». Con questo in mente, dobbiamo prepararci per il prossimo capitolo della missione ideologica di Xi.

Durante il Congresso Xi Jinping è stato confermato per un terzo mandato Segretario generale del Pcc e presidente della Commissione militare centrale. Secondo l’esperto di Cina Charles Parton, «il pensiero di Xi Jinping» sarà probabilmente confermato come il «marxismo del Ventunesimo secolo» e messo allo stesso livello del «pensiero di Mao Zedong».

Il mondo deve seguire attentamente. Sia i governi che i cittadini comuni devono prendere sul serio le dichiarazioni, i discorsi e i documenti politici che verranno fuori da questo Congresso. Ci daranno un assaggio della continua repressione della società civile, dei media e della religione, nonché delle atrocità contro gli uiguri e i tibetani, della repressione a Hong Kong e delle crescenti minacce a Taiwan, che possiamo aspettarci in Cina nei prossimi cinque anni.

E non dobbiamo semplicemente guardare, dobbiamo agire. I cittadini devono esortare i loro rappresentanti eletti affinché sanzionino coloro che commettono crimini contro l’umanità e violano i trattati internazionali. Dobbiamo esortare i nostri governi a diversificare le nostre catene di approvvigionamento e ridurre la dipendenza strategica dalla Cina. Dobbiamo spargere la voce sui social media. Dobbiamo fare pressione sui responsabili politici affinché mettano i diritti umani al di sopra dell’opportunismo commerciale. Solo allora avremo qualche possibilità di contrastare la crescente minaccia che il regime di Pechino rappresenta per tutti noi.


Il testo è apparso sulla testata online Persuasion. Traduzione di Monica Fava. 

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