Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra


La circostanza che i Salvo abbiano instaurato negli anni ‘70 stretti rapporti con il Bontate e il Badalamenti, e si siano successivamente avvicinati allo schieramento mafioso “vincente”, trova puntuale riscontro nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, esaminato all’udienza del 30 ottobre 1996.

Il Di Carlo ha riferito che i cugini Antonino e Ignazio Salvo gli furono presentati come appartenenti a “Cosa Nostra” intorno al 1974 da Gaetano Badalamenti, in un appartamento acquistato o condotto in locazione da quest’ultimo, sito a Palermo in Via Campolo, dove il Di Carlo si era recato in compagnia di Antonino Badalamenti.

In questa occasione erano presenti anche Angelo Noto (appartenente alla “famiglia” di Gaetano Badalamenti) e Salvatore Scaglione (“rappresentante” della “famiglia” della Noce). Secondo il ricordo del collaboratore di giustizia, fino a quel momento i cugini Salvo non rivestivano cariche all’interno dell’associazione mafiosa.

Tra il 1974 e l’inizio del 1982, il Di Carlo incontrò Antonino Salvo parecchie volte (circa 20, a suo ricordo).

Il collaborante ha, in particolare, menzionato:

- un incontro realizzatosi nel 1975 a Solunto con Antonino Salvo e con il principe Alessandro Vanni Calvello di San Vincenzo, il quale fu interpellato per risolvere i problemi relativi al passaggio, sulla sua proprietà, di tubature occorrenti per l’Hotel Zagarella;

- alcuni incontri casuali con Antonino Salvo in presenza di Stefano Bontate o Gaetano Badalamenti;

- un incontro con Antonino Salvo e Gaetano Badalamenti presso l’ufficio di Alberto Salvo (fratello di Antonino), dove il Di Carlo si era recato allo scopo di chiedere aiuto per la realizzazione di un suo progetto di esportazione di vino in Inghilterra;

- un incontro verificatosi intorno al settembre del 1979, in occasione di un appuntamento fissato dal Di Carlo presso il Fondo “Favarella” con Michele e Salvatore Greco, insieme ai quali egli doveva recarsi a conferire con Giuseppe Madonia (esponente mafioso di Vallelunga); all’appuntamento giunsero anche i cugini Salvo in compagnia di un'altra persona; tutti i soggetti in questione, quindi, si misero in viaggio a bordo di due autovetture; durante il percorso, Salvatore Greco riferì al Di Carlo che il Presidente della Regione Mattarella era “finito”, aggiungendo: “in tutti i sensi”; il Di Carlo comprese quindi che il Mattarella sarebbe stato ucciso;

al riguardo, il collaboratore di giustizia ha specificato che sul predetto esponente politico circolavano lagnanze sia nell’ambiente politico siciliano, sia all’interno di “Cosa Nostra”, per l’azione di contrasto da lui svolta nei confronti dell’on. Lima, dei Salvo e di Vito Ciancimino, ha esplicitato che gli attacchi condotti contro i Salvo ed il Ciancimino avevano determinato la decisione di uccidere il Mattarella (“quando tocchi i Salvo che è un impero finanziario politico e tocca Ciancimino che ci portava tanti affari ai corleonesi, allora si incomincia a scavare la fossa”), ha evidenziato che i Salvo avevano parlato del Mattarella con Michele Greco (con il quale in quel periodo avevano stabilito stretti rapporti), ed ha aggiunto che Antonino Salvo aveva comunicato di avere appreso da fonte sicura quali fossero le iniziative che il Mattarella intendeva adottare;

- un incontro casuale con Antonino Salvo, avvenuto alla fine del 1979, mentre il Di Carlo si recava presso un caseggiato di pertinenza di Michele e Salvatore Greco; in questa circostanza, Antonino Salvo, che usciva dallo stesso luogo a bordo di un’autovettura sulla quale si trovava anche Mario D’Acquisto (esponente politico vicino ai Salvo), salutò il Di Carlo stringendogli la mano attraverso i finestrini.

Il collaboratore di giustizia ha precisato di avere incontrato per l’ultima volta Antonino Salvo all’inizio del 1982.

Dalla deposizione del Di Carlo si desume che intorno agli anni 1975-76 soltanto gli esponenti mafiosi di livello elevato erano a conoscenza dell’affiliazione dei Salvo a “Cosa Nostra”, e per rivolgersi ai Salvo occorreva avvalersi dell’intermediazione di Stefano Bontate e di Gaetano Badalamenti, anche perché «i Salvo in Sicilia rappresentavano una forza politica, una forza finanziaria e non tutti (...) potevano conoscere i Salvo».

I Salvo erano stati molto vicini a Gaetano Badalamenti finchè quest’ultimo faceva parte della “commissione” di “Cosa Nostra”. Dopo l’espulsione di Gaetano Badalamenti dal sodalizio criminoso, avvenuta nel 1978, l’unico “punto di appoggio” rimasto ai cugini Salvo all’interno di “Cosa Nostra” era costituito dal Bontate, il quale aveva però visto ridursi la sua posizione di potere.

A questo punto, il Bontate aveva indotto i Salvo ad avvicinarsi a Michele e Salvatore Greco, che considerava suoi amici, e che, a suo avviso, avevano assunto una posizione neutrale in relazione allo scontro tra lo schieramento “moderato” ed i “corleonesi”.

Queste relazioni tra i Salvo ed i Greco, iniziate nel 1978, erano divenute gradualmente più intense. Di conseguenza, i Salvo avevano stabilito rapporti più amichevoli anche con i “corleonesi”. Una volta esplosa la “guerra di mafia”, i Salvo si erano definitivamente avvicinati ai “corleonesi”.

Il Di Carlo ha esplicitato anche che Antonino Salvo intratteneva stretti rapporti sia con esponenti della corrente dorotea (come l’on. Ruffini e Salvatore Grillo), sia con esponenti della corrente andreottiana. I Salvo erano collegati principalmente – anche se non esclusivamente – alla corrente andreottiana, perché si trattava della corrente più forte, e perché essi erano uniti da un rapporto di amicizia all’on. Lima.

In una occasione, il Di Carlo chiese ad Antonino Salvo quali fossero le ragioni della sua vicinanza ad esponenti politici di correnti diverse. Antonino Salvo rispose “che uno deve tenere tutte le redini per manovrare”. […].

Il Di Carlo ha altresì affermato di avere appreso in diverse occasioni, sia nell’ambito di “Cosa Nostra” sia dai cugini Salvo, che questi ultimi conoscevano il sen. Andreotti.

Prescindendo dalle sue propalazioni riguardanti vicende (come il processo a carico dei Rimi) che vengono approfonditamente trattate in altri capitoli, deve rilevarsi che il Di Carlo ha riferito di essere venuto a conoscenza dei rapporti tra i cugini Salvo e l’imputato in occasione di due incontri verificatisi a Roma, e precisamente:

- un pranzo tenutosi in una grande sala (diversa dalla sala-ristorante) sita nel piano terreno dell’Hotel Excelsior, in Via Veneto, intorno alla fine del 1980 o all’inizio del 1981 (in particolare, mentre era in corso il montaggio di un film girato dal figlio di Michele Greco, Giuseppe Greco), con la presenza del Di Carlo (allora latitante), di Giuseppe Greco, di Michele Greco, di Antonino Salvo, del sen. Giuseppe Cerami, di Franco Franchi, di Pietro Lo Iacono, di Michele Zaza e di Nunzio Barbarossa;

- un successivo pranzo con Antonino Salvo e l’on. Lima svoltosi nel febbraio o nel marzo del 1981 in un “ristorante toscano” sito in una traversa di Via Veneto.

Con riguardo al pranzo tenutosi in una sala dell’Hotel Excelsior, il collaboratore di giustizia ha esplicitato di essersi seduto accanto ad Antonino Salvo e di avergli chiesto “dove doveva andare così estremamente elegante”. Antonino Salvo rispose che nel pomeriggio avrebbe dovuto recarsi dal sen. Andreotti insieme all’on. Lima, con il quale aveva preso appuntamento.

Relativamente al pranzo svoltosi nel “ristorante toscano”, il collaborante ha precisato che Antonino Salvo aveva preso appuntamento con lui in questo luogo in quanto doveva dargli una risposta in ordine ad una richiesta di aiuto rivoltagli dal Di Carlo con riferimento ad un processo in cui quest’ultimo era stato rinviato a giudizio.

Il Di Carlo, giunto presso il ristorante, notò che Antonino Salvo era seduto in compagnia dell’on. Lima, e si unì a loro. Nel corso del pranzo, Antonino Salvo disse al Di Carlo che nel pomeriggio avrebbe dovuto recarsi, insieme all’on. Lima, presso l’ufficio del Presidente Andreotti.

Rispondendo alle domande formulate dal P.M., il collaboratore di giustizia ha affermato di essersi offerto, dopo il pranzo, di accompagnare Antonino Salvo e l’on. Lima a Piazza Colonna a bordo della propria autovettura, ritenendo che l’incontro con l'on. Andreotti avrebbe dovuto svolgersi in tale luogo. Tuttavia Antonino Salvo non accettò la sua offerta, spiegando che lui e l’on. Lima dovevano recarsi “a San Lorenzo” prima dell’appuntamento fissato a Piazza Colonna.

Il Di Carlo pertanto si limitò ad accompagnare Antonino Salvo e l’on. Lima a Piazza Barberini, dove essi salirono a bordo di un taxi.

Nel corso del controesame condotto dalla difesa dell’imputato, il Di Carlo ha precisato che Antonino Salvo e l’on. Lima dovevano recarsi in un primo tempo “a San Lorenzo” e ad incontrare il Presidente Andreotti, e successivamente a Montecitorio (“mi hanno detto dovevano andare a San Lorenzo, poi dice dobbiamo andare a Montecitorio. A Montecitorio o là, al Parlamento, come viene chiamato, al Governo, andavano a vedere altri non lo so. Ma la prima cosa dovevano andare a vedere il presidente Andreotti”).

Nell’interrogatorio reso davanti al P.M. in data 31 luglio 1996, il collaborante aveva dichiarato: «Lima e Nino Salvo, dovevano andare là. Quando... quando abbiamo finito ho detto: io ho... avete la macchina? Dice: “No, no, dice, prendiamo un taxi”. Ho detto: posso accompagnare sul taxi. Io, pensando che dovevano andare a, chiamiamola Piazza Colonna, come si chiama? Là dove c'è il Parlamento? (...) Montecitorio. Pensavo là. Gli ho detto: in caso vi lascio a corso Vittorio Emanuele. Lasciò là. “No no, perché, dice, l'ufficio di... di Andreotti lontano è di qua”, a San Lorenzo, non so... zona San Lorenzo, la chiamano, non lo so dov’è. Mentre io li ho lasciati a piazza Barberini che c'era il tassista».

Aveva, poi, aggiunto: «Questo pranzo, si è stati fino alle 16,30; quando sento il discorso di dove dovevano andare, mi offro di volerli accompagnare, ma in principio, io avevo capito che dovevano andare a... là, dove c'è il Governo. Va bene? Mentre poi, mi dicono che dovevano andare in un ufficio, che io non so, in un ufficio, che era molto più distante di questo Presidente e cose. Là ci dovevano andare, ma più tardi, per altri appuntamenti che avevano per i fatti loro».

Dalla deposizione dibattimentale del collaborante si desume anche che il Di Carlo ed Antonino Salvo avevano stabilito che si sarebbero incontrati a Roma (impegno, questo, che si concretizzò – dopo qualche mese – nell’appuntamento presso il “ristorante toscano”) in occasione di un pranzo di esponenti mafiosi organizzato da Michele Greco, e svoltosi nella tenuta di “Favarella” verso il 22 o 23 dicembre del 1980 ovvero del 1979 (secondo due diverse indicazioni fornite, nel corso dell’esame, dal Di Carlo, il quale ha infine mostrato di ritenere che si trattasse del 1979), con la partecipazione anche dei capi dei “mandamenti”, dei loro accompagnatori, dei capi delle altre “province”, e di alcuni frequentatori abituali della tenuta.

In questa riunione tenutasi nel periodo natalizio, Antonino Salvo, in presenza di Stefano Bontate, manifestò al Di Carlo il convincimento che sarebbe stato opportuna un’iniziativa di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano diretta a limitare l’influenza di Vito Ciancimino, evidenziò che i rapporti tra quest’ultimo e Salvo Lima erano spesso assai problematici, ed aggiunse: «Ciancimino è una palla al piede per noi, è mal visto sia in politica, nell'ambiente politico, non ha più un elettorato. Noi siamo all'altezza con strade dirette a Roma con qualsiasi corrente», e specificò: «abbiamo le strade di arrivare a Roma di manipolare anche la politica a Roma e ancora (...) ci andiamo a tenere un piccolo assessore, un piccolo consigliere comunale, che poi era ex, e che poi è mal visto sia pubblicamente (...) come opinione pubblica e sia dentro la politica palermitana».

Il Di Carlo suggerì ad Antonino Salvo di desistere da simili propositi. In altre occasioni il Bontate, parlando con il Di Carlo, si espresse nei seguenti termini: “quando si arriva ad avere uno di Cosa Nostra, che non l'avevamo avuto mai, che può parlare a livello politico nazionale (...), ancora tengono a un Ciancimino”, evidenziò che Antonino Salvo poteva rivolgersi all’on. Lima ed all’on. Andreotti, e precisò che il Presidente Andreotti “aveva dato modo a Nino Salvo e a Lima di farci vedere che era a disposizione in qualche cosa che l'avevano disturbato”.

Nella stessa occasione in cui chiese di fare pressione sul Riina per indurlo ad escludere il Ciancimino dalla vita politica, Antonino Salvo riferì al Di Carlo che in precedenza (ad avviso del collaborante, nel 1979) i “corleonesi” tramite i Greco gli avevano chiesto di adoperarsi perché il Ciancimino fosse ricevuto dall’on. Andreotti così da recuperare la propria immagine e da inserirsi nella corrente andreottiana. Antonino Salvo aveva promesso che si sarebbe recato, insieme all’on. Lima, dall’on. Andreotti per cercare di conseguire il risultato richiesto.

In seguito il Di Carlo apprese da Stefano Bontate, da Salvatore Greco e da Antonino Salvo che l'on. Andreotti aveva rifiutato di ricevere il Ciancimino ed aveva sconsigliato un avvicinamento di quest’ultimo alla sua corrente.

Il Di Carlo ha aggiunto che dopo il 2 febbraio 1980 si recò, insieme ad Antonio Ferro e a Carmelo Colletti, presso l’abitazione di Antonino Salvo, sita a Palermo in Via Ariosto n. 12. In questa circostanza Antonino Salvo chiese nuovamente al Di Carlo di esercitare pressioni sul Provenzano e sul Riina per indurli a convincere il Ciancimino a non provocare le situazioni che venivano a crearsi costantemente nella politica palermitana. […].

© Riproduzione riservata