Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del “Processo alla Sicilia”, il libro che raccoglie trentacinque inchieste di Pippo Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania


Lontana da Palermo, da Catania, lontana dal mare, dai grandi scali marittimi, dalle spiagge alla moda, lontana dagli aeroporti, dai massicci concentramenti industriali, dai centri essenziali del commercio, isolata su un altopiano giallo e grigio, Caltanisetta ci è apparsa la città esemplare del Sud, cioè una città in cui tutti i dolori del Sud, le virtù ed i difetti, gli errori fondamentali della nostra società sono esposti quasi in bell’ordine, senza esasperazione.

A Caltanisetta persino il folklore del vecchio Sud è coreografico, e il dramma assume la nitidezza, la semplicità di uno spettacolo con personaggi precisi, ognuno nella sua inconfondibile parte.

Come ogni piccolo capoluogo siciliano, Caltanisetta ha il trenta per cento di popolazione borghese che vive dignitosamente nella coscienza tranquilla dei difetti collettivi ed anche nella pacifica, mite convinzione che non tocca a loro correggerli. Aspettano lo stipendio o l’onorario.

Se sono giovani sperano di poter partire verso una città più grande per far carriera, e se sono vecchi siedono in ordinata fila dinnanzi ai circoli, corretti, guardinghi, decorosi. Stanno seduti, proprio ognuno con il vestito e l’atteggiamento che la coreografia del vecchio Sud assegna ai borghesi, una specie di coro in fondo alla ribalta.

Caltanisetta ha nel suo territorio le miniere di zolfo, cioè la miseria sul piano dell’ epopea. Molti poveri uomini sono morti dentro le miniere, innumerevoli altri vi hanno logorato la vita. E le miniere non funzionano.

Tutto corrisponde a quella parte che ogni cosa o essere umano viene chiamata a recitare da cento anni nel Sud. Non c’è un elemento di questo tragico copione che a Caltanisetta non trovi una rappresentazione esemplare.

Paesi letteralmente spopolati dall’emigrazione e nei quali trovi solo vecchi e donne, solo nugoli di bambini, cani, asini macilenti. Non ci sono più nemmeno bestie da soma poiché non servirebbero a niente, né ad arare le campagne, né a trainare i carri.

Gli uomini sono infatti dispersi sulla faccia dell’Europa e non è rimasto nessuno a lavorare la terra. Del resto perché si dovrebbe lavorare la terra? A chi conviene?

La terra è divisa, sbriciolata in migliaia, decine di migliaia di piccoli proprietari, molti dei quali sono borghesi: sono avvocati, bottegai, insegnanti, medici i quali sanno che per produrre un quintale di grano debbono spendere diecimila lire di mano d’opera, concime, trebbiatura, trasporto. Per ricavarne poi appena ottomila lire.

Così hanno abbandonato le campagne al loro destino. Potrebbero unirsi in fattorie collettive per ridurre i costi, per modificare le colture, per iniziare degli allevamenti. Ma lo immaginate il notaio che fa cooperative di terra e servizi con il massaro, il pizzicagnolo o il professore? Già il sospetto di essere depredati l’uno dall’altro li fa rabbrividire di sdegno. Al diavolo la terra!

E d’altro canto, anche se volessero, non riuscirebbero a trovare un bracciante disposto a lavorare quindici o venti giorni. I più vigorosi se ne sono andati all’estero, quelli che sono rimasti hanno cambiato mestiere, o coltivano un fondo per conto loro, o preferiscono vivere con l’assegno di disoccupazione. Oltretutto sono rimasti i più vecchi e macilenti.

A sessant’anni un contadino è vecchio, quasi sempre inabile al lavoro, tutta la pioggia che ha preso addosso, tutto il sole, la polvere, il sudore, le infinite volte che è stato chino a zappare, mietere, caricare, tutta la miserabile fatica della sua vita gli piomba addosso tutta d’un tratto, gli piega le ossa e lo rattrappisce.

In uno dei territori più poveri e sovrappopolati d’Europa il fallimento dell’organizzazione sociale ha così un aspetto quasi grottesco: ci sono migliaia di disoccupati, ma la terra, l’antica risorsa, è deserta ormai. Anche questo è un elemento esemplare dello spettacolo.

Ma se tu guardi ancora più addentro a questa società, oltre lo spettacolo delle miniere desolate, della terra arida, della borghesia rassegnata, scopri altre cose ancora più impercettibili ma significative.

Cioè in una società che non riesce a stare unita ed a risolvere i problemi collettivi, e che perciò si sgretola continuamente, che non riesce ad edificare niente di definitivo, esiste di converso un continuo processo di esaltazione dell’individuo, cioè una continua, affannosa ricerca individuale di altri valori umani, qualsiasi valore umano: la potenza, la forza, l’arte, la violenza, il denaro, persino il sacrificio, che giustifichi la vita stessa dell’individuo in quel posto. Personaggi terribili o patetici. Questa è la provincia di Genco Russo.

Ponete mente all’uomo: quasi un contadino, triste, senza erudizione, senza forza legale; è stato più potente lui che lo Stato su un territorio di diecimila chilometri quadrati.

In questa provincia c’è l’unico editore della Sicilia Orientale, Salvatore Sciascia, un’azienda minuscola, mirabile, stampa poesie, saggi, ricerche; un’autentica espressione di arte libraria. È un individuo: ha scelto questa maniera per lottare come singolo, per essere sempre ed orgogliosamente se stesso dinanzi alla società.

A Caltanisetta ha il suo studio il senatore Alessi che viene considerato uno dei più fascinosi oratori d’Italia. Ed un altro Alessi, l’avv. Rosario, ha organizzato l’Automobile club più funzionale d’Italia per il quale si sta costruendo un edificio che farebbe invidia all’ACI della capitale.

Qui vive Leonardo Sciascia forse lo scrittore più vivo, più istintivo dell’ultima generazione letteraria. A Milano sarebbe diventato un clamoroso personaggio culturale, ma è rimasto qui, su questo altipiano giallo, in una vecchia casa, fra gli uomini disperati, disorganizzati, segreti, sprezzanti: dice che questo è il suo posto nella vita. Ecco la perfezione del dramma meridionale. La rappresentazione orgogliosa dell’individuo nel fallimento di tutto ciò che è di interesse collettivo.

La terra che è il fatto collettivo per eccellenza è deserta, arida, devastata. Non ci sono strade che l’avvicinino ai paesi, né acquedotti che la abbeverino. Da sette anni esiste una zona industriale che è costata cinquecento milioni di pubblico denaro e sulla quale non è sorto ancora un solo stabilimento. Mancano tutte le infrastrutture sociali, le grandi strade per il trasporto dei prodotti, gli acquedotti, le dighe, le scuole di specializzazione.

In questa provincia troviamo uomini capaci di rischiare ogni giorno la vita in fondo alle miniere, altri uomini che con la loro sensibilità culturale ed il loro sapere giuridico incantano la nazione, altri magari capaci di uccidere per accrescere la loro potenza, oppure che dedicano la loro vita a scoprire una ragione di poesia, ma tutti messi insieme non fanno una società, non sono niente e non hanno niente, nessuna delle cose fondamentali che la società civile esige per progredire, né acque, né strade, forse neppure la coscienza del comune destino.

La responsabilità non è certo solo di coloro che abitano qui. Anche coloro che stanno a Palermo, Catania, Agrigento partecipano, e con più triste caparbietà, al medesimo inganno. Ma il fatto è che Caltanisetta rassomiglia alla Sicilia più di qualsiasi altra città e qui troviamo il dramma ed i personaggi nella loro esemplificazione quasi teatrale

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