Chi si ricorda del metaverso? Sono passati due anni e mezzo da quando, nell’ottobre 2021, Mark Zuckerberg rispolverò dagli archivi del cyberpunk questo termine, coniato nel 1992 dallo scrittore Neal Stephenson per indicare una sorta di gemello digitale del mondo fisico.

Nella visione del fondatore di Meta, il metaverso avrebbe dovuto rappresentare un grande ambiente immersivo, di cui fare esperienza in realtà virtuale e nel quale trasferire una parte crescente della nostra quotidianità: dal lavoro allo sport, dalla socialità allo shopping.

L’annuncio dell’ambizioso progetto di Zuckerberg generò una colossale attenzione mediatica, costringendo innumerevoli concorrenti – Microsoft, Disney, Tencent, Nvidia, Tinder e tanti altri – a salire in fretta e furia sul treno del metaverso, mentre le varie agenzie di consulenza pubblicavano svariati report in cui magnificavano le potenzialità economiche di questo mondo immersivo e virtuale.

Il clamore iniziale ebbe – prevedibilmente – durata breve: in un periodo in cui la lunga fase pandemica si stava avvicinando alla conclusione, le persone dimostrarono di essere ben poco interessate a calarsi nell’embrionale mondo virtuale di Meta, preferendo invece tornare a vivere, finalmente, all’aria aperta.

Tutto ciò anche perché il metaverso per come veniva raccontato non esisteva allora e non esiste ancora oggi: al posto di un unico grande ambiente digitale all’interno del quale muoversi liberamente – una sorta di web immersivo – ci sono tante piattaforme differenti e isolate le une dalle altre. Tanti piccoli metaversi, alcuni in realtà virtuale (come Horizon Worlds di Meta), altri più simili al vecchio Second Life (di cui quindi fare esperienza attraverso lo schermo del computer o dello smartphone) e altri ancora basati su criptovalute ed NFT (come Decentraland).

Ultima spiaggia

Passata la prima grande ondata di attenzione, la maggior parte delle piattaforme costruite in fretta e furia è stata abbandonata dagli utenti e alcuni dei colossi che su questo progetto più avevano puntato sono usciti dal settore (tra cui Microsoft e Disney). L’ultima speranza per il metaverso è rappresentata dalla visione di lungo termine, che prevede la collaborazione tra tutte le aziende ancora attive nel settore (Meta, Google, Sony, Samsung e altre) al fine di creare davvero un unico grande metaverso: un ecosistema interoperabile, all’interno del quale gli utenti possano spostarsi liberamente, indipendentemente dalla marca del visore o dal sistema operativo utilizzato.

Come sta andando questo progetto? A quanto pare, non troppo bene: in un post pubblicato a marzo su Threads, il responsabile tecnologico di Meta, Andrew Bosworth ha risposto a un recente articolo di The Information secondo il quale l’azienda avrebbe rifiutato di collaborare con Google nel campo della realtà virtuale.

Scrive Bosworth: “Dopo anni trascorsi senza prestare attenzione alla VR o senza fare nulla per sostenere il nostro lavoro in questo settore, Google sta promuovendo AndroidXR (il sistema operativo di Google per la realtà virtuale e aumentata, ndr) ad alcuni partner, insinuando, incredibilmente, che saremmo noi a causare la frammentazione di questo ecosistema, quando invece è proprio ciò che stanno pianificando di fare loro”.

In poche parole, l’accusa reciproca è di essersi focalizzati esclusivamente sugli interessi di parte, ostacolando la collaborazione necessaria a creare un mondo virtuale aperto. È uno scontro a prima vista poco comprensibile visto che sia Meta sia Google fanno parte del Metaverse Standards Forum, il cui obiettivo è proprio quello di codificare dei protocolli comuni affinché questa tecnologia diventi interoperabile.

A intralciare la collaborazione tra i due colossi è però l’accesa concorrenza tra Google e Meta in questo settore: il software di Google alimenterà infatti il visore per la realtà virtuale di Samsung (previsto nel corso del 2024), entrando quindi in diretta concorrenza con Meta e il suo Quest 3. «È una competizione per determinare chi dominerà i sistemi operativi per la realtà mista (virtuale e aumentata), ovvero chi sarà in questo campo ciò che Android è per gli smartphone», ha spiegato a Politico l’esperto del settore Yonatan Raz-Fridman. «Meta vuole essere per la realtà mista ciò che Google è stato per i sistemi operativi mobile. Non vedo alcuna ragione per cui Meta dovrebbe collaborare con loro a meno che non si trovi in svantaggio. E per il momento ciò non sta avvenendo».

Un mercato piccolo piccolo

I numeri confermano le parole di Raz-Fridman: secondo i dati di Counterpoint Research, nell’ultimo trimestre 2023 Meta ha conquistato una quota del mercato dei visori per la realtà virtuale pari al 72 per cento, seguita da Sony (15 per cento) e Pico (5 per cento).

Il mercato di questo tipo di visori è inoltre ancora di dimensioni ridotte e alle prese con un’inattesa diminuzione delle vendite: nel 2023 sono stati venduti 8 milioni di dispositivi, in calo dell’8,3 per cento rispetto all’anno precedente.

Una contrazione probabilmente legata al ridotto interesse nei confronti del metaverso rispetto al boom del 2022 e allo scarso entusiasmo ricevuto dalla piattaforma di Meta che più si avvicina a una forma immersiva e in realtà virtuale della nostra quotidianità: Horizon Worlds, che sarebbe oggi utilizzato da meno di 200mila utenti al mese (numeri microscopici rispetto ai social o a piattaforme di gaming online come Fortnite, che ha circa 230 milioni di utenti mensili).

Le mira di Meta

Ma è forse anche per le ridotte dimensioni che Meta sembra voler conquistare tutto il mercato invece di spartirsi una torta che sembra destinata – almeno per il tempo a venire – a essere molto più piccola del previsto (tre anni fa, la società di consulenza IDC aveva previsto per il 2023 vendite triple rispetto a quelle che si sono verificate).

C’è un altro aspetto che, fin dall’inizio, sta ostacolando la creazione di un unico metaverso aperto e al quale possono partecipare tutti i player del settore.

A differenza del web – progettato fin dall'inizio per essere interoperabile e consentire agli utenti di accedere a qualsiasi sito indipendentemente dal browser o dal sistema operativo utilizzato – nel metaverso si parte da una situazione opposta: tutte le aziende del settore si sono create la loro piattaforma chiusa e dovrebbero renderla interoperabile a posteriori, andando, come nel caso di Meta, anche contro i loro interessi e ambizioni. Che tutto ciò avvenga è davvero poco probabile.

Effetto Apple

La situazione si complica ulteriormente a causa dell’avvento di Apple, che con il Vision Pro ha fatto ingresso nel mondo della realtà virtuale e aumentata (vendendo, secondo le stime, circa 200mila esemplari del suo costosissimo visore da 3.500 dollari).

Il colosso di Cupertino è da sempre poco propenso, per usare un eufemismo, a collaborare con altre realtà e a costruire sistemi aperti, preferendo invece creare ambienti chiusi, rigidamente controllati e ottimizzati esclusivamente per i prodotti Apple (che è proprio la ragione per cui gli Stati Uniti hanno fatto causa alla società guidata da Tim Cook).

“Se Meta e Google collaborassero per creare un sistema operativo comune sarebbero una potenza con cui fare i conti ed eviterebbero di frammentare l’ecosistema e avvantaggiare così Apple”, ha scritto su X l’ex project manager di Google Bilawal Sidhu. “Ma il desiderio di conquistare la maggior porzione possibile di questo mercato emergente è troppo forte. Zuckerberg si è già lasciato sfuggire il mercato degli smartphone e non permetterà che qualcosa di simile avvenga di nuovo”.

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