Ha fatto bene a commuoversi la scorsa estate il ministro dell’Ambiente Gilberto Picchetto Frattin quando ha sentito nominare per la prima volta il termine ecoansia da Giorgia Valsperna, al Giffoni Film Festival.

Ha fatto bene perché l’ecoansia non era il solito hashtag del momento, ma piuttosto una paura razionale, e sottolineo razionale, con la quale migliaia di italiani devono quotidianamente fare i conti. Un sentimento che nasce innanzitutto dal vedere il luogo dove si vive irrimediabilmente danneggiato dagli effetti del cambiamento climatico.

L’Italia si trova al centro del Mediterraneo, indicato dal Intergovernmental Panel on Climate Change nel 2022 come uno dei territori più vulnerabili rispetto agli effetti del cambiamento climatico. Il nostro mare, infatti, non molto esteso e semichiuso, subisce risposte biologiche più rapide rispetto ad altri territori in conseguenza dei cambiamenti indotti dal riscaldamento globale.

Da parte sua, la comunità degli psicologi ha ormai ampiamente riconosciuto gli effetti del cambiamento climatico sul benessere della popolazione certificando quindi che la ricerca sull’ecoansia in Italia è importante e necessaria per sviluppare strategie di prevenzione, intervento e promozione della salute collettiva della popolazione.

La scala

Alle manifestazioni dell’ecoansia in Italia è dedicato lo studio che ho condotto nell’ultimo anno insieme ad altri colleghi del dipartimento di Psicologia dinamica, clinica e salute dell’università Sapienza di Roma, ora pubblicato sul Journal of Environmental Psychology, una delle più importanti riviste scientifiche del settore.

La ricerca, che ha coinvolto 335 cittadini italiani, ha fornito una fotografia del fenomeno e uno strumento con il quale clinici e ricercatori potranno, d’ora in poi anche in Italia, misurare più facilmente i sintomi dell’ecoansia: la Hogg Eco-Anxiety Scale.

Si tratta di un questionario autocompilato composto da 13 domande. I quesiti hanno come obiettivo la stima di quattro diverse manifestazioni dell’ecoansia: i sintomi emotivi (ad esempio, la  «sensazione di nervosismo, ansia o apprensione»), la ruminazione (ad esempio,  il «sentirsi incapaci di smettere di pensare alle perdite per l’ambiente»), i sintomi comportamentali (tra i quali la «difficoltà a lavorare e/o studiare») e l’ansia rispetto all’impatto delle proprie azioni sul pianeta, ovvero a quello che si può fare personalmente per migliorare la situazione ambientale.

Ad ogni domanda il soggetto deve rispondere riportando la frequenza con la quale, nelle ultime due settimane, si sono verificati in lui i sintomi elencati, in una scala che va da “per niente” a “quasi ogni giorno”.

Un simile strumento non era sino ad ora mai stato testato in Italia. Nel nostro paese prima di oggi erano infatti disponibili solo strumenti per la misurazione dell’ansia climatica. Quest’ultima è però un’esperienza diversa rispetto all’ecoansia e comporta un’immediata presa in carico clinica.

I risultati 

A ogni modo, le risposte della popolazione alla Hogg Eco-Anxiety Scale ci hanno permesso di comprendere molte cose, ad esempio che le donne italiane sperimentano più di frequente rispetto agli uomini sintomi emotivi e di ansia riguardo all’ impatto delle proprie azioni sulla salute del pianeta.

Questo si verifica perché le donne, di fronte alla minaccia di un disastro naturale o ai suoi effetti, mostrano un maggiore senso di vulnerabilità, causato da una maggior percezione del rischio che quell’evento climatico estremo possa erodere i legami familiari e causare un aumento di separazioni e addirittura di episodi di violenza domestica. Gli uomini invece soffrono più frequentemente di sintomi legati al comportamento, cioè di difficoltà a lavorare o studiare.

Se poi si divide il campione per età, tra under e over 30, si scopre che anche in Italia l’ecoansia è qualcosa che riguarda i giovani soprattutto per i sintomi emotivi e per l’ansia rispetto all’impatto delle proprie abitudini di vita sul cambiamento climatico.

Questi dati sono coerenti con quelli di una recente indagine di YouGov in sette paesi europei (Gran Bretagna, Germania, Italia, Spagna e Svezia) da cui emerge che i giovani del nostro continente sono talmente preoccupati per l’ambiente da essere disposti a cambiare il proprio stile di vita, ad esempio eliminando la carne e i latticini dalla propria dieta, riducendo gli spostamenti in auto, mostrandosi disposti a pagare un sovrapprezzo per i voli aerei e acquistando articoli di seconda mano.

Le comparazioni

Il nostro studio ha anche dimostrato che i soggetti con i maggiori livelli di sintomi comportamentali e di ansia per il proprio impatto personale sono anche quelli che adottano comportamenti considerati più sostenibili e pro ambientali.

Tale tendenza è spiegata anche dal forte ruolo che le emozioni negative giocano nel motivare il comportamento umano e dalle teorie che descrivono l’ecoansia come una risposta emotiva funzionale che spinge le persone a cercare informazioni e a sviluppare strategie di adattamento e mitigazione degli effetti del cambiamento climatico attraverso comportamenti più rispettosi dell’ambiente naturale.

Da ultimo, la Hogg Eco-Anxiety Scale consente anche di effettuare fruttuose comparazioni. Ad esempio, mettendo a confronto la popolazione Italiana con quelle australiana e neozelandese, emerge il dato sorprendente che sono gli italiani a manifestare una maggiore ecoansia in tutte e quattro le dimensioni.

In conclusione, questo studio non ambiva a risolvere tutti i dubbi sul tema, ma a offrire un solido punto di partenza per le ricerche future, per far sì insomma che l’attenzione verso l’ecoansia in Italia non si fermi ad un hashtag clickbait o allo spunto per un omaggio solo rituale al dramma dei cambiamenti ambientali che incombono sulle nostre teste.

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