La disastrosa performance di Biden nel dibattito televisivo con Trump ha notevolmente aumentato le probabilità di vittoria di quest’ultimo alle prossime elezioni presidenziali.

La disastrosa performance di Macron alle elezioni europee ha messo in luce la profonda disaffezione dei francesi per la sua politica e, stando alla “forchetta” dei sondaggi alla vigilia del primo turno delle elezioni francesi, non è esclusa la possibilità che il Rassemblement National della Le Pen possa ottenere la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale; sarebbe comunque la prima forza politica in Francia anche perché la sinistra si presenta unita ma è frutto di un accordo elettorale tra tre partiti dalle differenze inconciliabili.

La nuova Commissione Europea uscita dalle elezioni europee appare debole visto che le forze politiche che hanno concordato le nomine, a cominciare dalla presidente Von der Leyen, devono corteggiare il sostegno esterno dei Verdi, forse della Meloni, perché temono una bocciatura da parte dei franchi tiratori al Parlamento Europeo.

Tre elezioni dalle implicazioni politiche enormi. Ma è il momento anche di prefigurare lo senario economico per i prossimi anni di fronte a un possibile cambiamento degli equilibri politici nel mondo occidentale.

Nel suo primo mandato Trump ha perseguito una politica fiscale fortemente espansiva, soprattutto col taglio delle imposte per le imprese che, sommato ai trasferimenti per il Covid, ha portato il debito federale dal 105 per cento del Pil al momento del suo insediamento, al 126 nel quarto trimestre del 2020.

Biden ha mantenuto la politica fiscale espansiva per finanziare i crediti di imposta a favore degli investimenti per la transizione ambientale e la re-industrializzazione del Paese. Così, a marzo il debito rimaneva elevato al 125 per cento del Pil (in Italia era al 138 nel primo trimestre), anche perché la politica dei tassi elevati ha fatto lievitare l’onere per interessi.

Due costanti nella campagna elettorale di Trump sono il taglio delle tasse e la spesa per bloccare l’immigrazione clandestina: entrambe con un forte impatto sul disavanzo federale, già elevato e gravato dalla spesa per interessi. Lo scenario è quindi di un debito pubblico alla lunga poco sostenibile.

Per ragioni diverse, ma con conseguenze simili sulle finanze pubbliche, sarebbe il risultato di una maggioranza del Rassemblement National che ha un programma economico basato su un aumento della spesa pubblica finanziata col debito, di fatto elargizioni a favore del proprio elettorato.

Anche la Francia ha oggi un debito elevato che ha superato il 110 per cento del Pil, con una spesa crescente per gli interessi. Si prospetterebbe quindi lo stesso scenario di un secondo mandato Trump: una crescita del debito pubblico alla lunga insostenibile. Senza contare che Trump taglierebbe i finanziamenti alla Nato costringendo i paesi europei ad addossarsi una quota maggiore dei costi per la difesa.

Non vedo come una Commissione politicamente debole, visto il risultato delle elezioni europee, e in aperto contrasto con il partito di Le Pen al potere, possa imporre alla Francia il riequilibrio dei conti pubblici come richiesto dal Patto di Stabilità.

Una convinzione diffusa tra gli investitori che hanno subito cominciato a vendere i titoli di stato francesi alla notizia delle elezioni, aumentando lo spread coi titoli tedeschi; spread destinato ad allargarsi nel caso di una maggioranza delle destre al secondo turno.

Pe noi sarebbe una brutta notizia: perché l’effetto contagio porterebbe all’allargamento anche del nostro spread, visto l’incapacità di crescere dell’Italia, la produttività stagnante e il debito elevato; e perché, ironicamente per un governo nazionalista come quello della Meloni, i nazionalisti di Francia sarebbero poco propensi a programmi comuni finanziati con la mutualizzazione del debito di cui l’Italia è stata la principale beneficiaria.

La differenza tra Stati Uniti e Francia sta dunque nella risposta dei mercati: per ora non c’è stata infatti alcuna reazione alla prospettiva di una vittoria di Trump, anche se molti ritengono sia solo una questione di tempo prima che si creino delle tensioni sul mercato dei Treasury Bonds.

La Bce potrebbe intervenire a stabilizzare gli spread nell’Eurozona ma penso lo farebbe solo se fosse a rischio la stabilità dell’euro, con tassi a livelli capaci di innescare una crisi sistemica che metterebbe a repentaglio il sistema bancario.

C’è quindi il rischio che il Rassemblement National al governo causi una maggiore volatilità dei mercati, come dimostrano le vendite massicce di titoli azionari francesi, e dell’eurozona in generale, con l’indice EuroStoxx che in poco tempo ha perso il 9 per cento rispetto a quello americano.

Protezionismo

Un aumento del protezionismo accomunerebbe l’America di Trump ai governi nazionalisti in Europa. Ma con ripercussioni molto diverse.

Il protezionismo di Trump non colpirebbe solo la Cina ma anche l’Europa, un serio rischio economico visto che gli Stati Uniti costituiscono il primo mercato per le esportazioni nette europee.

L’Europa inoltre è molto più integrata degli Stati Uniti con l’economia cinese poiché la Cina è un grande mercato per molte industrie europee, dalle auto al lusso, dai liquori ai prodotti di bellezza: il protezionismo ci esporrebbe quindi a una guerra commerciale che non ci possiamo permettere. È pertanto probabile che in Europa aumentino gli investimenti diretti cinesi per produrre da noi i beni che altrimenti sarebbero soggetti alle barriere tariffarie.

Un aumento della competizione in Europa da parte dei produttori cinesi, appare dunque come un prezzo da pagare per mantenere l’accesso delle imprese europee alla Cina. L’economia americana, a differenza dell’Europa, dipende molto meno dalle esportazioni, con una crescita trainata dai consumi interni: il costo per l’economia del protezionismo di Trump sarebbe quindi inferiore a quello dei nazionalisti europei.

Corollario del protezionismo è la transizione ambientale. Sia Trump che le destre europee osteggiano la regolamentazione e gli investimenti pubblici per la riduzione delle emissioni nocive.

Negli Stati Uniti, tuttavia, sono già in vigore i massicci crediti di imposta dell’amministrazione Biden per lo sviluppo di un’industria nazionale per la produzione di quanto necessario alla transizione ambientale, al fine di rendersi indipendenti dai produttori cinesi; ci sarà comunque un impatto nel tempo anche se Trump rallenterà il processo.

I nazionalismi in Europa rendono invece utopistico un programma comune capace di mobilitare le risorse necessarie per il finanziamento della transizione ambientale: e in mancanza di aiuti pubblici anche i privati taglieranno gli investimenti per l’ambiente e sarà impossibile sviluppare un’industria europea nel settore capace di intaccare il dominio cinese.

Gap di produttività

Una politica industriale improntata al nazionalismo sarebbe un altro tratto comune tra l’America di Trump e la Francia di Le Pen.

Negli Stati Uniti il nazionalismo avrebbe un costo limitato i termini di produttività perché si tradurrebbe nel protezionismo a favore del settore industriale americano, che contribuisce però in modo minore alla crescita, mentre non avrebbe alcun impatto sul settore tecnologico e dei servizi, che sono invece quelli trainanti per la produttività.

In Francia, come in altri paesi europei, il nazionalismo accentuerebbe invece la difesa dei “campioni” nazionali, aumentando le barriere, già elevate, per contrastare le fusioni transfrontaliere, impedendo così alle imprese e alle istituzioni finanziarie europee di raggiungere le dimensioni necessarie per competere efficacemente con i grandi gruppi americani e cinesi.

Debiti pubblici alla lunga insostenibili, maggiori rischi di crisi finanziarie, protezionismo e politiche industriali improntate al nazionalismo, caratterizzano lo scenario economico di una seconda presidenza Trump e di un governo francese a guida Le Pen. Ma a farne le spese sarebbe soprattutto l’Europa che vedrebbe aumentare il suo gap di produttività col resto del mondo.

© Riproduzione riservata