I soldi non fanno la fecondità. Il calo delle nascite nel 2023 a 379mila bambini e del numero di figli per coppia a 1,2 dovrebbe farci aprire gli occhi sul fatto che incentivi monetari come l’assegno unico non sono in grado di accendere il desiderio di procreare.

Del resto una ricerca della Cattolica già due anni fa aveva certificato che non c’è alcun legame tra reddito familiare e numero di figli. Persino i servizi all’infanzia sembrerebbero lasciare indifferenti i potenziali genitori, visto che territori con dotazioni di asili nido molto diverse come l’Emilia Romagna e la Calabria hanno indici di fecondità praticamente identici.

La crisi delle culle coinvolge due terzi del pianeta e i demografi che si aspettavano un rimbalzo dopo la pandemia in linea con eventi analoghi della storia sono stati smentiti dai fatti. E allora, se non è per ragioni economiche, perché le nascite calano?

L’equilibrio 

Potremmo anche non cercarla, la risposta, confidando nelle considerazioni di Innocenzo Cipolletta su queste pagine lo scorso 30 marzo: «Qual è il numero desiderabile di italiani? Possiamo sempre crescere di numero come fatto nel passato?». L’economista ha ragione su un punto: non c’è un livello ideale di italiani.

Tuttavia c’è un equilibrio demografico ideale che si raggiunge quando le generazioni che escono dall’età lavorativa sono rimpiazzate da quelle che entrano. In Italia la classe più numerosa, quella del 1964, compie quest’anno i sessant’anni ed è quindi ancora pienamente produttiva, forte di 977mila persone e ci dà l’illusione che l’Italia stia fronteggiando l’invecchiamento.

Ma quando di qui a poco lascerà il lavoro, alle sue spalle entrerà in gioco una generazione più piccola di 400mila unità, buco che crescerà oltre il mezzo milione all’anno in poco tempo. Giusto pensare ad anziani più attivi, ma la velocità dell’invecchiamento dell’Italia è troppo rapida è un problema e richiede un immediato cambio di rotta.

Gli stranieri non bastano 

Se ci sono meno italiani, si dirà, vuol dire che arriveranno più stranieri. Sta già accadendo, in effetti, ma ci siamo mai chiesti come mai gli stranieri fanno meno figli di quanto ci si aspetterebbe? La risposta culturale (si adattano al contesto nazionale) ha un suo fascino ma quella dei numeri appare più forte.

I 5,3 milioni di stranieri residenti sono in perfetto equilibrio di genere tuttavia delle prime 30 comunità estere, solo due (cinesi e serbi) hanno un equilibrio tra uomini e donne mentre le altre o sono con forte prevalenza femminile, oppure hanno una marcata dominanza maschile.

Il divario lo si riscontra anche nelle fasce di età, con i maschi decisamente più giovani rispetto alle femmine, molto oltre quello che è il livello naturale. Per esempio i venticinquenni con cittadinanza italiana hanno un rapporto uomini-donne di 51,6 a 48,4 mentre fra i venticinquenni stranieri la prevalenza maschile è fortissima: 61,1 a 38,9 e al Sud si arriva a 67,7 contro 32,3. In Italia nella fascia d’età 20-29 anni ci sono 120mila maschi stranieri in eccesso rispetto alla popolazione femminile.

In altre parole, l’Italia sta accogliendo persone dall’estero con l’obiettivo diretto di coprire posizioni lavorative (giovani maschi impegnati nei campi, donne mature che curano i nostri anziani) senza puntare né a un elevato livello culturale, visto che il tasso di laureati tra stranieri è il più basso tra le analoghe comunità in Europa, né avendo alcun riguardo per l’equilibrio di genere. In Italia sarebbe invece necessario un programma di borse di studio-lavoro per attrarre giovani di entrambi i sessi nelle nostre università, con accordi con specifici paesi.

Il divario 

Ma torniamo alla domanda chiave sul perché della denatalità. Negli Stati Uniti è in uscita un libro dal titolo Inconceivable, cioè Inconcepibile. L’autrice, la giornalista del New Yorker Anna Louie Sussman, fa una sorta di giro del mondo della denatalità (i dati peggiori sono in Corea del Sud) e anche se evidenzia i freni sociali, con le persone assorbite dalla carriera, mette in luce come sia difficile per donne sempre più convinte dei propri mezzi trovare un partner all’altezza.

Invece di chiedervi come mai ci sono poche coppie stabili, osserva la Sussman, chiedetevi com’è per una donna uscire con qualcuno. Nei siti di appuntamenti online, molto diffusi negli Usa, le donne tendono a sminuire dopo i primi tentativi il proprio profilo culturale, per non intimidire da subito il potenziale partner. Infatti negli Stati Uniti, come in tutti i paesi Ocse eccetto l’India, il numero di laureati donne ha superato negli ultimi decenni quello dei maschi.

Il caso sardo 

Nel saggio Vuoto a perdere. Il collasso demografico ho provato a verificare la situazione in Italia, osservando la regione con la natalità più bassa, che è la Sardegna (0,91 figli per coppia nel 2023). L’isola sessant’anni fa era la più feconda d’Italia, quindi non c’è una tradizione storica negativa, anzi. Mi sono detto: se il divario culturale, misurato dal tasso di laureati nella fascia d’età 25-34 anni, è superiore a quello medio italiano, che è di 12 punti, allora l’ipotesi ha un fondamento.

Ebbene: la Sardegna ha sia il peggiore indice di fecondità sia il maggiore divario di genere con il 15 per cento di giovani maschi con laurea e il 39 per cento delle donne. Ho allargato l’osservazione in Europa analizzando i sei paesi dell’Ue più popolosi: i tre con divario culturale elevato (Italia, Spagna e Polonia) hanno una fecondità di un quarto inferiore rispetto ai tre con divari culturali modesti (Germania, Francia e Romania).

In un campo delicato e complesso come la natalità non bisogna correre a conclusioni affrettate e probabilmente i divari di genere non spiegano da soli la crisi delle culle, tuttavia tre demografi (Francesco Billari, Gian Carlo Blangiardo e Alessandro Rosina) ritengono l’intuizione di Vuoto a perdere interessante e da approfondire.

Negli Stati Uniti, del resto, quando le donne iscritte all’università erano 13 punti meno degli uomini fu lanciato un programma di sostegno, mentre ora che sono i maschi in ritardo non di 13 ma di 20 punti si ignora il tema. Eppure i divari di genere hanno sempre un impatto negativo sulla società e se i ragazzi ottengono peggiori risultati scolastici e hanno maggiori difficoltà a completare gli studi ciò potrebbe avere una ricaduta sulla formazione di coppie forti e cooperative. I soldi non fanno la fecondità, la laurea (del maschio) sì.


Vuoto a perdere. Il collasso demografico (Rubbettino editore 2024, pp. 226, euro 16) è un saggio del giornalista Marco Esposito 

© Riproduzione riservata