Quando si guardano le prospettive economiche di lungo periodo della Russia, è utile anche iniziare da alcune supposizioni e considerare gli esempi storici. Possiamo fare due ipotesi. La prima è che l’attuale regime russo, in una forma o nell’altra, possa continuare per un’altra decina o ventina d’anni.

In secondo luogo, possiamo ipotizzare che le sanzioni americane e dell’occidente continueranno per una cinquantina d’anni. Le ragioni sono le seguenti. Le sanzioni degli Stati Uniti, una volta imposte, sono estremamente difficili da revocare. Ad oggi ci sono già 6.000 differenti sanzioni occidentali imposte alla Russia, che sono più del totale delle sanzioni in vigore contro l’Iran, la Siria e la Corea del Nord messe insieme.

La storia mostra che le sanzioni statunitensi possono quasi non avere limiti di durata: quelle a Cuba hanno più di sessant’anni, quelle all’Iran più di quaranta, persino le sanzioni all’Urss (come l’emendamento Jackson-Vanik) che sono state imposte per una ragione precisa, sono continuate ad esistere nei vent’anni successivi alla caduta dell’Urss, anche quando il motivo originale (la migrazione ebraica) era del tutto venuto meno.

Un lungo periodo

Quando il governo del dopo Putin cercherà di far revocare le sanzioni, si troverà di fronte un elenco di concessioni tale che sarà politicamente impossibile soddisfare. Di conseguenza, ci si può aspettare che le sanzioni, forse non esattamente nella stessa forma, possano andare avanti per l’intera durata di quello che chiamiamo lungo periodo (50 anni).

Sembra ovvio quindi che la politica economica di lungo periodo della Russia dovrà perseguire due obiettivi: la sostituzione delle importazioni e lo spostamento dell’attività economica dall’Europa all’Asia. Si tratta di obiettivi chiari, a mio avviso, ma la loro attuazione sarà estremamente complicata.

Importazioni sovietiche

Analizziamo i precedenti storici. L’industrializzazione sovietica può essere vista come un tentativo di sostituire le importazioni mediante la creazione di una solida base industriale interna. Questo processo si basava però su due elementi che non ci saranno nel futuro della Russia.

Innanzitutto, l’accesso sovietico alla tecnologia occidentale, che è stato all’origine della maggior parte dei più grandi complessi sovietici come Krivoy Rog e la più grande fabbrica di trattori nel mondo a Tsaritsyn (in seguito Stalingrado). Il surplus estratto attraverso la collettivizzazione, insieme con la fame e la morte di milioni di persone, e persino con l’oro sottratto alle chiese ortodosse, servì per acquistare la tecnologia occidentale.

Tra i bolscevichi, da Lenin a Trockij, da Stalin a Bucharin, non c’è mai stato alcun dubbio che per svilupparsi l’Urss avrebbe dovuto industrializzarsi e per farlo avrebbe dovuto importare la tecnologia dei paesi più sviluppati. (La consapevolezza del relativo sottosviluppo della Russia era estremamente chiara a tutti i marxisti russi, che erano modernizzatori). La capacità di importare una tecnologia occidentale avanzata, che possa offrire la base per la sostituzione delle importazioni per i passi successivi, non ci sarà in regime di sanzioni. Di conseguenza la tecnologia dovrà essere creata localmente.

Rimanere indietro

C’è, ad ogni modo, un’enorme interruzione temporale. Se qualcuno avesse proposto un approccio di sostituzione delle importazioni negli anni Novanta, sarebbe stato difficile da attuare, ma non impossibile: l’Urss (e la Russia) al tempo avevano un’ampia base industriale (produzione di aeroplani, automobili, elettrodomestici; la più grande produzione di acciaio, ecc.).

Il settore non era competitivo a livello internazionale, ma si poteva migliorare e lo si poteva rendere competitivo con i giusti investimenti. Ma la maggior parte di questi complessi industriali è stata nel frattempo privatizzata e liquidata, e quello che non lo è stato è tecnologicamente obsoleto. A trent’anni dall’inizio della “transizione”, la Russia non è stata in grado di sviluppare un settore industriale tecnologicamente avanzato tranne che nell’area militare.

Sostituire le importazioni

Prendiamo l’esempio degli aerei civili. Negli anni Settanta l’Urss era sicuramente davanti al Brasile, e persino all’Europa, che iniziò a sviluppare Airbus solo nel 1972. Durante la transizione però quel settore è stato distrutto e l’unico suo residuo è il Suchoj Superjet, attualmente utilizzato da diverse compagnie aeree russe, ma che non è stato venduto (quasi) in nessun’altra parte del mondo. Al contrario, il brasiliano Embraer opera in 60 paesi.

Fare sostituzioni delle importazioni in una situazione in cui la base di tali sostituzioni deve essere ricreata e poi creare nuove industrie senza tanti (o nessun) input attraverso investimenti dalle parti del mondo più avanzate è quasi impossibile. Questo è il problema che la Cina è riuscita a risolvere solo dopo un drammatico cambio di politica estera a metà degli anni Settanta. Ma questa opzione, per definizione, non sarà disponibile per la Russia.

Manodopera sprecata

Il secondo fattore alla base dell’industrializzazione sovietica è stato l’aumento della forza lavoro. Veniva dal lavoro agricolo in eccesso, dall’aumento della popolazione complessiva e, cosa molto importante, dal miglioramento del livello di istruzione. Negli anni Trenta l’Urss produceva ogni anno centinaia di migliaia di diversi tipi di ingegneri, scienziati, medici, ecc. Nessuno di questi elementi reggerà nei prossimi cinquant’anni. La popolazione russa è urbanizzata, si sta riducendo nelle dimensioni ed è ben istruita. Quindi la crescita non può venire da nessuna delle tre risorse utilizzate negli anni Trenta.

Ovviamente la forza lavoro altamente istruita è un vantaggio. Ma per produrre il massimo, quella forza lavoro avrà bisogno anche di avere a disposizione la migliore tecnologia. Se non sarà disponibile (per i motivi spiegati sopra), la manodopera altamente qualificata sarà sprecata. A causa della diminuzione della popolazione, anche il bacino complessivo di tale manodopera sarà ogni anno più piccolo.

Poiché non sarà impiegata né retribuita adeguatamente in Russia, tenderà a emigrare, riducendo ulteriormente il numero disponibile di lavoratori altamente qualificati. Non è impossibile che la Russia possa tornare alla politica sovietica di non permettere la libera migrazione, ora sotto la pressione di fattori economici. Fu proprio il deflusso di lavoratori altamente qualificati che portò la Germania dell’est a costruire il muro di Berlino.

Possiamo quindi concludere che i fattori che hanno reso fattibile la sostituzione delle importazioni negli anni Trenta e Cinquanta nell’Unione Sovietica non funzioneranno nella Russia di domani.

Verso l’Asia

Quali sono le prospettive di uno spostamento del centro di gravità della vita economica da occidente verso est? Tecnicamente si potrebbe immaginare un nuovo tipo di mossa alla Pietro il Grande, in cui la Russia non apre una finestra sull’Europa (quello che doveva essere San Pietroburgo), ma una finestra sull’Asia orientale, ad esempio spostando la sua capitale a Vladivostok e cercando di spostare la vita economica e burocratica, insieme alla popolazione, il più possibile a est.

Se le cose potessero essere trasferite per decreto, un cambiamento simile potrebbe anche essere considerato abbastanza ragionevole. L’Asia orientale è, e rimarrà, la parte del mondo che sta crescendo più rapidamente. Lasciare l’Europa, che per molti versi è anche un continente in declino, potrebbe essere vista come una mossa giusta.

Insieme agli Stati Uniti, la Russia è l’unico paese al mondo che può prendere una decisione così radicale; per altri paesi, invece, la geografia è un destino. Anche politicamente, è improbabile che la Russia sia esposta a sanzioni e pressioni politiche da parte di Cina, India, Vietnam o Indonesia pari a quelle di Regno Unito, Francia e Germania. Infine, una vocazione verso il Pacifico potrebbe essere vista come una replica della spinta americana di un secolo e mezzo fa ad aprire una nuova frontiera. I cambiamenti climatici potrebbero persino contribuire a rendere più abitabili i territori della Russia settentrionale.

La necessità di investimenti

Quanto è praticabile un cambiamento del genere? Necessiterebbe di massicci investimenti in infrastrutture, compreso un sistema di comunicazione molto migliore tra gli estremi della Russia: un volo da Mosca a Vladivostok impiega quasi dieci ore e la tratta ferroviaria più di una settimana.

Lo sviluppo di città lungo la via, l’espansione di quelle attuali, ecc., non richiede soltanto investimenti che l’economia russa in contrazione non può offrire. Richiederebbe poi la creazione di nuovi posti di lavoro in quelle città, l’unica cosa che potrebbe attrarre la popolazione a trasferirsi dalla Russia europea a quella asiatica.

L’Unione sovietica tentò di fare questo aprendo diversi avamposti verso nord, in Siberia, pagando salari più alti ai lavoratori per trasferirsi lì, e il successo dell’operazione fu limitato. Peraltro queste città e insediamenti negli ultimi trent’anni sono quasi tutti scomparsi. È difficile pensare a come possa verificarsi un così massiccio spostamento di attività senza enormi investimenti e senza una pianificazione urbanistica e produttiva globale.

Nuovi e vecchi squilibri

Entrambe le politiche, ovvero la sostituzione delle importazioni e lo spostamento verso est, incontreranno dunque ostacoli quasi insormontabili. Non significa che non possano essere implementate; qualcuna sarà attuata per per necessità: i software russi dovranno essere prodotti per sostituire il 95 per cento dei software di origine occidentale attualmente utilizzato nelle aziende russe automatizzate.

Anche i legami economici più stretti con la Cina richiederanno un certo spostamento di aziende e persone verso est. Una città siberiana o del Pacifico può diventare la seconda capitale (come ha fatto Ankara in Turchia). Ma un successo significativo in uno di questi due ambiti, per quanto possiamo vedere dalla prospettiva odierna, sembra semplicemente irraggiungibile.

Cosa succederà dunque? Come ho accennato diversi anni fa nell’introduzione alla traduzione russa del mio libro Disuguaglianza globale, il futuro del continente eurasiatico assomiglia molto al suo passato: le aree marittime lungo le coste dell’Atlantico e del Pacifico saranno piuttosto ricche, molto più di significative vaste aree continentali nel mezzo. Poi si porrà il problema di come sarà politicamente praticabile una distribuzione così diseguale dell’attività economica: le migrazioni o le riconfigurazioni politiche “risolveranno” tali squilibri?

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