Giada Zanola è la 18esima vittima di femminicidio in questo 2024, la terza a maggio. Secondo i pm sarebbe stato il suo compagno, Andrea Favero, a gettarla da un cavalcavia della A4, all’altezza di Vigonza. Il corpo della donna è stato successivamente travolto da un camion in transito. La coppia ha un figlio di 3 anni.

«Alla luce delle indagini svolte e delle parziali ammissioni dell'indagato è pienamente integrata quella grave base indiziaria richiesta come presupposto del provvedimento di fermo di indiziato di delitto», scrive il pm Giorgio Falcone nel decreto di fermo per Favero.

Secondo gli inquirenti, il movente del femminicidio sarebbe «l'annullamento delle nozze già fissate per il 21 settembre 2024, con tanto di vestiti, anelli e partecipazioni già pronte, come riferito dalla madre dell'indagato».

La storia

Favero lavora come camionista. Zanola, invece, stava per iniziare un lavoro in un impianto di distribuzione di carburanti, lasciando il suo posto in un negozio di cosmetici a Vigonovo.

L’ultima lite è avvenuta nella notte tra martedì e mercoledì, quando lei ha deciso di fuggire di casa prima di essere raggiunta in macchina all’altezza del cavalcavia in autostrada, distante circa un chilometro dall’abitazione.

Inizialmente gli inquirenti pensavano a un suicidio, ma le forze dell’ordine che si sono recate nell’abitazione della coppia hanno trovato Favero con lividi ed escoriazione sui polsi. Segnali che facevano presagire una lite tra i due. Anche per questo motivo l’uomo è stato subito interrogato. «Io non ho memoria precisa di come si siano svolti i fatti ieri notte, ho come un vuoto e non riesco a mentalizzare la scena», ha detto ai pm.

La messa in scena

Favero è stato sentito per diverse ore: ha fornito dichiarazioni contraddittorie che hanno insospettito gli investigatori. A incastrarlo sarebbero state le immagini delle telecamere puntate sul tratto della A4, in direzione Milano, e dello stesso sovrappasso autostradale di Vigonza. 

Secondo gli inquirenti l’uomo avrebbe messo in scena un depistaggio, inviando alcuni messaggi a un'amica di Zanola «dai quali si desume che l'indagato simulasse di non sapere nulla di cosa fosse successo alla compagna, riferendole che non era in casa in quanto era già uscita per recarsi al lavoro».

Dal verbale dell’interrogatorio pubblicato dalle agenzie stampa, Favero ha dichiarato: «Alle 7.30 ricordo di essermi svegliato e di essermi accorto che Giada non c'era, tanto è vero che le ho mandato un messaggio chiedendole se fosse già andata al lavoro e dicendole che non ci aveva nemmeno salutato come era solita fare». I pm hanno visionato i messaggi, ma sono convinti che si tratti di una messa in scena.

I testimoni

Secondo gli inquirenti, altre volte Favero ha picchiato la compagna, che non aveva mai sporto denuncia. Un’amica di Zanola ha detto alle forze dell’ordine di aver visto «le foto delle ecchimosi riportate dalla vittima a seguito del litigio del 27 maggio 2024 e che i due litigavano con cadenza quotidiana, anche per motivi economici».

I litigi «quasi all'ordine del giorno» sono stati confermati anche dalla madre di Favero. Un altro testimone ha raccontato «di avere ricevuto dalla vittima confidenze sulle condotte violente dell'indagato, culminate in almeno due episodi nei quali l'aveva afferrata per il collo», si legge nei verbali.

La manifestazione

«Giada Zanola, donna di 33 anni "precipitata" dal ponte di Vigonza il 29 maggio, è in realtà l'ennesima donna uccisa dalla violenza maschile e patriarcale. Non abbiamo parole per descrivere la rabbia che ci assale. Non è omicidio volontario, una fatalità o una disgrazia, vogliamo chiamarlo con il suo nome: femminicidio», si legge in un post pubblicato su Facebook da Non una di meno di Padova.

Sui social network il collettivo ha annunciato una passeggiata per venerdì 31 maggio alle 19 che parte da Piazza Portello.

«A sei mesi dalla morte di Giulia Cecchettin, che ha svelato l'ordinarietà della violenza patriarcale, le risposte delle istituzioni nazionali e locali sono state insufficienti, tra sciacallaggio e spot elettorali, inasprimenti penali e irrisori stanziamenti di fondi. L'educazione sessuo-affettiva e al consenso non è pervenuta. I Centri Antiviolenza rimangono definanziati, così come rimane insufficiente il "reddito di libertà" che dovrebbe aiutare le donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza ma che prevede soli 400 euro al mese per 12 mesi, contributo del tutto irrisorio. Vogliamo che la violenza patriarcale finisca, vogliamo contarci vive e libere, vogliamo non aver paura di essere ammazzate da chi dice di amarci, lo vogliamo per Giada, lo vogliamo per tutte e tutt3!», conclude il post. 

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