Manuela Petrangeli era fisioterapista ed è stata colpita con un fucile a canne mozze mentre stava uscendo dal lavoro. Poco dopo si è costituito in caserma l’ex compagno, Gianluca Molinaro, che ha consegnato ai carabinieri l’arma con cui avrebbe ucciso la donna. Il 46esimo femminicidio dall’inizio dell’anno è avvenuto a Roma, in zona Portuense, giovedì poco dopo le 14.

I due, separati da tre anni, hanno un figlio di 9. Molinaro ha anche una figlia, da un’altra donna, Debora Notari, che ha raccontato ad Adnkronos di aver denunciato l’uomo per maltrattamenti perché la picchiava e lo ha fatto arrestare. Notari ha poi spiegato di essere stata lei a convincere l’uomo a costituirsi.

La procura di Roma ha disposto l’autopsia del corpo della donna e ha aperto un fascicolo per omicidio. È la pm Antonella Pandolfi del pool antiviolenze, coordinato dal procuratore aggiunto Giuseppe Cascini, a occuparsi dell’indagine.

Femminicidi

Gli ultimi dati ufficiali sui femminicidi, del Servizio analisi criminale del ministero dell’Interno, sono aggiornati al 30 giugno e registrano, su un totale di 141 omicidi, 49 donne uccise. Tra queste, 44 in ambito familiare e affettivo e 24 uccise dal partner o dall’ex partner.

Segno che, nella quasi totalità dei casi, all’origine dell’omicidio ci sono controllo, possesso e sopraffazione: l’apice di una spirale di violenza, fatta di catcalling – molestie che le donne ricevono per strada – violenza psicologica, economica, stalking, lesioni o minacce, spesso non semplici da riconoscere perché parte dei modelli culturali imposti, basati su dominio e potere.

A questi nomi però bisogna aggiungere quello di Petrangeli e di un’altra donna, di cui non è ancora certa l’identità, trovata morta in provincia di Treviso. Numeri che sono in continuo aggiornamento, perché, sempre stando ai dati ufficiali, si registra un femminicidio ogni quattro giorni.

Ci sono poi i tentativi di femminicidio che, secondo lo studio dell’Osservatorio nazionale di Non una di meno, sono stati diciassette in sei mesi. Una linea costante, quella che conta ogni anno i femminicidi, che non accenna a calare, proprio perché sono un sintomo di una cultura patriarcale: non dipende dall’età né dalla classe sociale o dalla provenienza.

I dati di Non una di meno lo dimostrano: la donna più giovane aveva 17 anni e la più anziana ne aveva 89. Sui 40 casi registrati dall’Osservatorio, aggiornati all’8 giugno, quattro figli minori hanno assistito all’uccisione della madre e diciannove sono rimasti orfani dopo il femminicidio.

La narrazione

C’è poi una triste coincidenza: mentre Petrangeli veniva uccisa, dall’altra parte della città era in corso un’azione non violenta del movimento femminista “Bruciamo tutto” davanti alla sede Rai di viale Mazzini. Le attiviste hanno spalmato vernice rossa per denunciare la narrazione della violenza di genere, e della cultura dello stupro in cui questa viene esercitata. In mano un cartello, con il numero dei femminicidi, senza sapere però che nel frattempo quel dato era già cambiato.

«Perché il giornalismo spesso fallisce nell’identificare nel patriarcato l’origine dei femminicidi?», scrive il movimento, e denuncia che «non si raccontano le loro storie, non si cerca di umanizzare e di rendere conto del contesto». Ma «si giustifica», dicono le attiviste davanti alla sede Rai, e «si cerca di umanizzare il carnefice». Al sit-in pacifico, le forze dell’ordine hanno reagito fermando le cinque attiviste e portandole via.

Una questione politica

Negli ultimi anni, le istituzioni hanno risposto ai femminicidi e alle giornate internazionali contro la violenza maschile con misure repressive che, senza un cambio culturale, fondi e un approccio integrato, non riescono a contrastare un fenomeno radicato da millenni. Ancora una volta il femminicidio di Petrangeli lo dimostra: l’uomo era già stato segnalato alle forze dell’ordine per maltrattamenti. Si interviene a femminicidio e violenza già avvenuti, non si previene. A evidenziarlo il rapporto di Action Aid, “Black Freeday”, che nel 2023 ha registrato un taglio del 70 per cento dei fondi antiviolenza da parte del governo.

«Siamo immersi in una cultura maschile proprietaria che non sa elaborare una separazione, reagisce con violenza», ha dichiarato la senatrice del Pd Cecilia D’Elia, vicepresidente della commissione bicamerale sul Femminicidio. D’Elia ha poi ricordato che «è un fenomeno strutturale» e sottolineato l’importanza di insistere sull’educazione, sulle reti di sostegno per le donne e i loro figli. «È una questione politica centrale», ha concluso.

Così la Cgil di Roma e del Lazio ha chiesto «maggiori interventi normativi a supporto delle donne per metterle in condizione di uscire in sicurezza da relazioni e contesti violenti ma serve anche una svolta per superare la cultura patriarcale e misogina».

Gli inasprimenti penali non servono a nulla senza un’educazione sessuo-affettiva, finanziamenti strutturali per i centri antiviolenza, un reddito di libertà che garantisca la fuoriuscita dalla violenza.

E, nella totale inerzia delle istituzioni, scrive Non una di meno, «noi continuiamo a essere ammazzate».

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