Le consulenze milionarie e il conflitto d’interessi del ministro della Difesa Guido Crosetto. La truffa ai danni dello Stato e le peripezie dei 49 milioni della Lega. Gli enormi patrimoni che finiscono nei paradisi fiscali al riparo dalla tassazione di vip e politici. I soldi dei mafiosi finiti a Malta e i segreti del mondo del calcio. Il sistema di rapporti e relazioni di primi ministri, sottosegretari, governatori, rappresentanti istituzionali.

Sono decine e decine gli scoop che non si sarebbero potuti conoscere senza fonti che si espongono personalmente, fornendo informazioni e documenti riservati per svelare i segreti del potere: relazioni insospettabili, soldi spariti, danni alle finanze pubbliche, tasse non pagate, raggiri, legami con le mafie e tanto altro.

Le fonti si espongono sapendo che il giornalista le proteggerà a ogni costo e che la loro identità non verrà scoperta. Ultimamente però non è più così. Il potere vuole silenziare l’informazione e si scaglia sempre più spesso contro i giornalisti e scatena la caccia alla fonte. Perché far capire alle fonti che il loro anonimato è a rischio è il modo migliore per silenziarle ed evitare che forniscano documenti e notizie. E così si mette a rischio la libertà di informazione di tutti i cittadini.

Come nel caso del ministro della Difesa Guido Crosetto che dopo le nostre inchieste - con notizie vere e verificate - sui compensi milionari ricevuti dalle industrie delle armi ha deciso non di querelare i nostri cronisti per diffamazione, ma di conoscere chi gli aveva fornito le informazioni. E i magistrati si sono messi alla ricerca della fonte, nonostante anche la Corte europea dei diritti dell’uomo chieda agli Stati di tutelare chi fornisce informazioni, anche se segrete e riservate, anche se potrebbe essere stata infranta qualche legge per ottenere carte e documenti.

Gli scoop nascono così. E molto spesso sono seguiti da indagini delle procure. Non sui giornalisti e le loro fonti, ma sui protagonisti dei loro scoop. La caccia alle fonti, come le querele temerarie, è un enorme rischio alla libertà di stampa e di informazione tutelata dall’articolo 21 della Costituzione repubblicana. Questi di seguito sono nove casi di notizie scaturite da documenti riservati ottenuti da fonti coraggiose: una piccola parte di tutto ciò che non avreste potuto sapere se non si fossero messe in gioco per informare l’opinione pubblica.

Il conflitto d’interessi del ministro della Difesa Crosetto

Con tre articoli pubblicati a fine ottobre del 2022, dopo il giuramento al Quirinale del governo di Giorgia Meloni, Domani ha raccontato che il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva percepito tra 2018 e 2021 consulenze e stipendi per circa 2,3 milioni di euro da società del settore degli armamenti. Tutte società che, dopo la nomina di Crosetto, diventano tutte dirette interlocutrici del ministero di cui è a capo. Società che erano tutte affiliate all’Aiad, l’associazione confindustriale del comparto difesa e aerospazio presieduta sempre da Crosetto (con un compenso di oltre 800mila euro all’anno) fino alla nomina nel governo Meloni, e che hanno interessi milionari con Palazzo Barachini. I legami economici del ministro della Difesa, che gestisce budget di miliardi di euro di soldi pubblici e accordi economici e militari che interessano fortemente un gran numero di società del settore oltre che le sorti del paese, con l’industria delle armi sono una notizia di enorme interesse pubblico di cui i cittadini non sarebbero venute a conoscenza se una fonte non avesse fornito delle informazioni riservate ai giornalisti.

I 49 milioni della Lega

Alle elezioni del marzo del 2018 la Lega di Matteo Salvini ha un incredibile exploit. Il segretario moltiplica i consensi, al Nord e al Sud, facendo diventare il Carroccio un partito nazionale e riportandolo al governo insieme al Movimento 5 Stelle. La Lega però attraversava un periodo non florido, economicamente parlando: viveva con la spada di Damocle dei 49 milioni di euro da restituire allo Stato. Come si finanziava il partito che stava dominando la politica nazionale? Associazioni, fondazioni, società anonime, conti correnti, commercialisti compiacenti: una rete segreta permetteva il sostentamento finanziario del Carroccio di Salvini, il sostentamento de “La bestia” sui social network, e le campagne elettorali. Senza fonti e documenti riservati, l’opinione pubblica non avrebbe potuto sapere come sono stati spesi i 49 milioni di euro che la Lega deve restituire allo Stato italiano.

I Panama Papers

Oltre 11 milioni di documenti confidenziali fuoriusciti da uno studio legale di Panama, Mossack Fonseca, al centro di una rete di oltre 200mila società offshore. 2,6 terabyte di dati che dagli anni ‘60 permettevano di ricostruire la storia di patrimoni sottratti alle tassazioni dei loro Stati di origine, impoverendo i loro bilanci che finanziano i servizi pubblici. Atti legali, certificati di incorporazione ed e-mail in cui non solo affiorano i nomi dei manager e degli azionisti, ma che hanno permesso di dare un nome a tutti quei funzionari pubblici, banchieri, ricchi industriali, esponenti della politica, del governo e delle istituzioni di mezzo mondo che avevano esportato i loro patrimoni. E tutto ciò è stato possibile grazie al coraggio di una fonte che ha fornito tutti questi arrivati nel 2015 alla Süddeutsche Zeitung e al lavoro di oltre 400 giornalisti sparsi in 80 paesi in giro per il mondo, che si sono riuniti nell’Icij, il consorzio internazionale dei giornalisti investigativi.

I Football Leaks

Sempre nel 2015, un’altra fonte coraggiosa permette di raccontare le trame offshore, i contratti segreti, l’evasione fiscale che coinvolgono calciatori, manager e società del calcio mondiale ed europeo. Non solo, ci sono anche gli accordi tra club e organi di controllo. Tutte notizie che mettono a soqquadro il mondo del pallone e che è stato possibile raccontare grazie a Rui Pinto, il whistleblower di Football Leaks. Pinto, coinvolto poi in un’innumerevole sequela di procedimenti giudiziari, condividendo migliaia di documenti riservati con un gruppo di giornalisti ha permesso di svelare numerosi illeciti commessi da istituzioni pubbliche, istituti bancari, aziende private. Tantissimi i fenomeni coinvolti, del campo (come Cristiano Ronaldo) e della panchina (José Mourinho), che hanno poi dovuto vedersela con il fisco dei paesi in cui lavoravano dopo gli scoop dei giornalisti associati nell’Eic (European Investigative Collaboration).

Malta, paradiso fiscale dei mafiosi

Un altro enorme scandalo finanziario che è stato possibile raccontare grazie a un leak è scaturito dai Malta Files. Allora, a maggio 2017, centinaia di migliaia di documenti ufficiali riservati hanno permesso di raccontare i meccanismi di evasione fiscale e riciclaggio all’interno dell’Unione europea con al centro Malta. Questa storia, ricostruita dai giornalisti associati nell’Eic e raccontata in Italia da L’Espresso, ha avuto un importante risvolto per il nostro paese: a Malta finivano infatti i soldi dei più potenti clan di camorra e ‘ndrangheta, riciclati attraverso varie attività. È così che milioni di euro non sono finiti nei bilanci dello Stato italiano. Denaro che sarebbe stato ad esempio utile per la sanità, la scuola, la manutenzione delle opere pubbliche e tante altre cose di cui l'Italia – Paesi in cui l'evasione fiscale è stimata in 84,4 miliardi di euro, secondo gli ultimi dati del Ministero dell'Economia e delle Finanze – avrebbe disperatamente bisogno.

I conti svizzeri del governatore Fontana

Tra i tanti vip che hanno conti nei paradisi fiscali non mancano i politici. Come il governatore della Lombardia, il leghista Attilio Fontana. La vicenda risale al 2020. Allora il nostro giornale racconta di come Fontana abbia accesso a un conto in Svizzera fin dall'inizio della sua carriera politica, nel 1997: lo ha aperto la madre, all’epoca 74enne, ma lui aveva la procura per fare operazioni. Otto anni dopo, nel 2005, Fontana si prepara a lasciare la presidenza regionale per diventare sindaco di Varese l’anno successivo, i soldi sul conto svizzero vengono spostati in un trust alle Bahamas: la madre di Fontana viene indicata come beneficiaria, lui eredita tutto alla morte della signora nel 2015 e poi regolarizza le somme con uno scudo fiscale. Inizia anche un’indagine della procura di Milano, poi archiviata, per la mancata collaborazione delle autorità svizzere che tengono molto alla riservatezza dei propri correntisti.

Il Sistema De Luca

Clientele, fondi regionali, progetti faraonici che hanno cambiato il volto di Salerno, costruttori di successo, appalti, cooperative infiltrate dai clan. E poi le tecniche di creazione del consenso per convogliare preferenze alle elezioni. Parliamo del “Sistema”, rivelato da un’inchiesta di Domani, con cui il governatore della Campania Vincenzo De Luca, principale volto del Pd sul territorio, ha accumulato e consolidato il proprio potere, prima come sindaco di Salerno, poi come numero uno della regione. Un sistema alimentato dalla gestione di amministrazione e risorse pubbliche e che è stato possibile raccontare solo grazie a fonti che hanno permesso di ricostruite tutto questo nel dettaglio con documenti inediti per lungo tempo snobbati dalla magistratura.

La casa di Renzi

Una storia di prestiti a sei cifre, e di finanziatori di fondazioni che sostengono la politica e che poi vengono piazzati in società pubbliche. Una storia raccontata da L’Espresso nel 2019 e che riguarda l’ex presidente del Consiglio, ex segretario del Pd e ora (e allora) leader di Italia Viva Matteo Renzi. Al centro dell’inchiesta giornalistica 700mila euro di prestito ricevuti dalla madre di un imprenditore che ha finanziato la fondazione Open, tra l’altro nominato in una società pubblica durante il governo di cui Matteo Renzi era premier. La somma è stata poi in parte utilizzata per comprare la nuova villa (dal costo totale di 1,3 milioni di euro) immersa tra le colline fiorentine nell’estate del 2018. Dopo lo scoop con cui il settimanale aveva svelato il prestito dietro l’acquisto della casa, Renzi annunciò denuncia per «violazione del segreto bancario».

Le consulenze di Sgarbi

Faceva parte del cerchio di Vittorio Sgarbi, ma poi a fine ottobre 2023 Dario Di Caterino scrive una lettera anonima a decine di indirizzi istituzionali di governo e ministeri. In allegato, tutta la documentazione sulle attività professionali dell'allora sottosegretario: prestazioni che erano in contrasto con l’attività al ministero della Cultura di Sgarbi. Così il ministro Sangiuliano trasmette tutto all’antitrust, che apre un'inchiesta: per l'authority l'attività di conferenziere a pagamento svolta da Sgarbi è incompatibile con l'incarico di governo. Da qui, le dimissioni di Sgarbi. Una storia raccontata da Report e da Il Fatto Quotidiano che, senza una fonte che decidesse di svelare gli affari del sottosegretario, non sarebbe stata raccontata così nel dettaglio e non avrebbe portato alle dimissioni di Sgarbi.

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