Un interrogatorio lungo almeno due ore e mezza, in cui i parlamentari della destra sono andati a caccia delle fonti dei giornalisti di Domani. La lunga audizione del direttore Emiliano Fittipaldi, in commissione parlamentare Antimafia, è stata un fuoco di fila e ha mostrato le reali intenzioni della maggioranza: limitare la libertà del giornalismo d’inchiesta. «Molti commissari della maggioranza hanno mostrato la faccia minacciosa, facendo pressione per ottenere la rivelazione delle fonti di alcuni articoli pubblicati dal giornale che Fittipaldi dirige», ha annotato Elisabetta Piccolotti di Alleanza verdi-sinistra, componente della commissione.

Eppure, la presidente dell’Antimafia, la meloniana Chiara Colosimo, aveva puntualizzato a inizio seduta che non si trattava di un interrogatorio, ma di una semplice convocazione sul presunto dossieraggio, definizione contestata da Fittipaldi: «Nessun dossier, abbiamo semplicemente verificato e pubblicato le notizie, e non tenute nel cassetto per fare ricatti». La versione soft di Colosimo è stata però smentita dagli interventi degli esponenti della maggioranza.

Il deputato di Forza Italia, Maurizio D’Attis, ha addirittura ipotizzato un rapporto “organico”, modello redattore aggiunto, tra Pasquale Striano, il tenente indagato per presunti accessi abusivi ai database della Direzione nazionale antimafia, e la redazione, visto che nell’inchiesta di Perugia risultano indagati due giornalisti di Domani, Giovanni Tizian e Nello Trocchia, e il collaboratore Stefano Vergine.

«Striano non aveva rapporti con altri giornalisti al di fuori di quelli individuati», ha replicato il direttore di Domani. Che sul finanziere ha aggiunto: «Non lo conosco e non voglio fare il suo difensore». L’indagine, avviata dal procuratore Raffaele Cantone, è ancora in corso. Al momento, infatti, l’unico atto pubblico è un invito a comparire rivolto a Striano e al pm Antonio Laudati. I cronisti di Domani non hanno ancora ricevuto l’avviso di garanzia.

Fittipaldi sottolinea un elemento, ribadito più volte nel corso dell’audizione: «Il rapporto tra la fonte e il giornalista è sacro», e ha quindi ricordato: «Un mese fa il parlamento europeo a stragrande maggioranza ha votato il Media Freedom Act, che specifica come le istituzioni degli stati membri debbano proteggere le comunicazioni tra la fonte e il giornalista».

Alla richiesta di chiarimenti su un eventuale cambio di organizzazione interno a Domani a seguito dell’inchiesta, ha detto: «Noi continuiamo a fare inchieste su politici di ogni partito e poteri di ogni tipo: se troviamo una notizia, la pubblichiamo...Solo in Italia uno rischia nove anni di carcere e viene interrogato dalla Commissione antimafia per aver dato notizie sul potere. Se si scambia il giornalismo libero per dossieraggio, infangando chi lo fa e rischia, è molto complicato continuare a lavorare per il bene del lettore. E non solo per Domani, ma per tutte le testate».

Le accuse e i fatti

Sempre da Forza Italia, il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri, l’ha buttata sui toni da talk show: «L’editore Carlo De Benedetti era la tessera numero uno del Pd», aggiungendo che il fondatore di questo giornale possa voler «fare militanza politica» attraverso Domani. In pratica De benedetti sarebbe il burattinaio di un complotto antigovernativo che usava le informazioni ottenute da Striano contro la destra.

Una tesi adombrata già da leader come Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che si domandano da mesi chi possa essere il presunto “mandante” ventilato da Raffaele Cantone e Giovanni Melillo. «L’editore non sa nulla di quanto viene pubblicato sul giornale se non dopo la pubblicazione, e non sa nemmeno chi siano Striano e Laudati (ex pm anche lui tirato in ballo nelle indagini, ndr), così come non li conoscevo io. De Benedetti è un editore liberale, che non ha mai condizionato il nostro lavoro né a Domani né in Gedi». Quindi, la chiosa: «L’idea che la redazione possa essere stata in qualche modo condizionata dalle scelte dell’editore è offensivo sia per De Benedetti sia per i giornalisti di Domani».

La Lega, con il senatore Gianluca Cantalamessa, si è soffermata sulle inchieste giornalistiche che hanno riguardato il suo partito, chiedendo se non fossero sospette le ricerche di Striano sui personaggi politici. «Ci sono errori nell’accusa, che ci attribuisce verifiche mai fatte: alcuni nomi ricercati da Striano non sapevamo al tempo nemmeno chi fossero», ha spiegato Fittipaldi.

Per Fratelli d’Italia sono intervenuti Sergio Rastrelli e Giandonato La Salandra, cercando di fare domande specifiche su un’inchiesta giudiziaria tuttora in corso.

Nel corso dell’interrogatorio a Palazzo San Macuto, sede della commissione, il direttore di Domani ha poi ricostruito la genesi della vicenda, partita con un esposto di Guido Crosetto, dopo gli articoli sui compensi ricevuti per le consulenze a Leonardo, pochi giorni prima di essere nominato ministro della Difesa. Una condizione di evidente conflitto di interessi, che il dirigente di Fratelli d’Italia ha contestato, annunciando querela. Mai presentata.

Il ministro ha preferito sollecitare i magistrati per individuare le fonti dei cronisti. Da qui è scattata l’inchiesta che ha portato a Striano. Davanti alla commissione Fittipaldi ha riferito che si è trattata di un’inchiesta partita da informazioni raccolte direttamente da lui. E che solo in un secondo momento sono state sottoposte a verifiche da più fonti per confermare l’autenticità delle informazioni. La notizia era vera ed è stata pubblicata.

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