«Sono manipolati per poter avere le quote di CO2, sono finti, apposta». Lucia Morselli, amministratrice delegata dell'ex Ilva fino a qualche mese fa, aveva le idee chiare su come si gestivano i dati da consegnare all’Ets, il sistema europeo di scambio di emissione che costituisce il principale strumento adottato dall’Unione europea per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra nei settori energivori a seguito della sottoscrizione del protocollo di Kyoto.

E così - Morselli - intercettata dalla Guardia di finanza di Bari, spiegava il meccanismo di presunta frode a una consulente dell’azienda che le contestava di aver trovato «metà dei consumi».

Allo stesso modo, quando la consulente contabile di Acciaierie d’Italia, Sabina Zani, le faceva notare che «dopo aver fatto l’inventario del magazzino, ho trovato discrepanze tra giacenze e consumi tecnici, rispetto ai consumi risulterebbero giacenze che ancora non ci sono», la “lady di ferro” della siderurgia italiana le rispondeva «di conoscere esattamente la questione dell’assenza delle 260.000 tonnellate», riferendosi verosimilmente, annotano gli investigatori, al carajas, un minerale di ferro che dal Brasile arriva al porto di Taranto, materia prima essenziale per l’intero processo di produzione dell’acciaio. Non soltanto.

Vecchie conoscenze 

Tra i dialoghi intercettati dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Bari, c’è ancora Lucia Morselli che chiede ad una “vecchia conoscenza” della procura di Taranto, Adolfo Buffo (condannato in primo grado a quattro anni perchè giudicato colpevole di due morti sul lavoro, già direttore di Ilva e poi direttore generale di Acciaierie d’Italia al 40 per cento partecipata dallo Stato) di delucidarlo sui consumi delle materie prime, che, dice Morselli, «sembrano un’enormità».

E Buffo, che è di nuovo indagato in questa inchiesta, risponde che si informerà con Loris Pascucci, che invece non è tra gli indagati (ma è stato perquisito pure lui) ed è un’altra “vecchia conoscenza” della procura pugliese, che il 4 luglio dello scorso anno ne ha stabilito la citazione diretta a giudizio, accusandolo di getto pericoloso di cose per l’emissione oltre le soglie consentite di biossido di zolfo, come ha raccontato la Gazzetta del Mezzogiorno.

Nomi e cognomi che ritornano, nella fabbrica di Taranto. Come quello di Salvatore De Felice, vecchio manager che oggi è consulente della gestione commissariale nonostante una condanna in primo grado riportata nel maxi processo Ambiente Svenduto a 17 anni per avvelenamento di acque e sostanze alimentari. De Felice non compare tra gli indagati, ma ha ricevuto anche lui il decreto di perquisizione. Nel mirino dei detective è finita la sua posta elettronica.

L’accusa

In tutti i casi, Lucia Morselli, oggi presidente del consiglio di amministrazione di Pininfarina, risulta indagata per il reato di truffa allo Stato, perché, in concorso con altri dirigenti e collaboratori, avrebbe - secondo la procura di Taranto guidata da Eugenia Pentassuglia - «con artifizi e raggiri, falsamente attestato nel piano di rendicontazione e monitoraggio inviato ad Ets, e nel bilancio di esercizio di Acciaierie, falsi quantitativi di consumi e giacenze di materie prime, fossili, gas, di prodotti finiti e semilavorati, così alterando i parametri livelli di emissione e livelli di attività».

In tal modo, si legge ancora nel capo di imputazione, «si dichiarava al registro Ets un numero di quote CO2 effettivamente inferiore rispetto a quelle emesse, inducendo in errore il Comitato che si determinava ad assegnare allo stabilimento un numero di quote di CO2 superiore a quelle spettanti, così procurandosi un ingiusto profitto, consistente in risparmi di spesa e maggiori ricavi».

Le intercettazioni 

E, tuttavia, a convincere il sostituto procuratore della repubblica di Taranto, Francesco Ciardo, a firmare il decreto di perquisizione e i contestuali avvisi di garanzia nei confronti di dieci indagati, sono state le intercettazioni telefoniche. In particolare, oltre alle captazioni nei confronti di Morselli, diversi dialoghi tra Alessandro Labile, all’epoca dei fatti direttore dello stabilimento, e Antonio Mura, direttore delle Finanze, Tesoreria e Dogane, si riferiscono alla necessità di calibrare l’utilizzo delle materie prime ai fattori emissivi di riferimento in modo tale da non subire decurtazioni.

Così, Labile dice che «sono passati a 26 ore per ridurre il consumo di fossile, facendo una ritaratura delle celle, stanno lavorando sui fattori di emissioni, aggiustare il tiro sui fattori di emissione». E Mura lo avverte: «L’azienda ci mette troppo fossile per fare una tonnellata di coke, non è che può cambiare i numeri». E ancora, Labile, parlando con altri interlocutori in fabbrica, prima si mostra preoccupato che «il verificatore del piano di monitoraggio possa accorgersi delle discrepanze e non convalidi i dati inseriti nel sistema, pregiudicando così l’assegnazione di quote gratuite», ma poi in un’altra conversazione, dice: «Abbiamo risolto il problema della CO2».

«Vorremmo si facesse chiarezza definitivamente sulla quantificazione delle quote CO2 e dei certificati verdi detenuti attualmente o che deteneva l’azienda e se questi siano legati alla mancata risalita produttiva e della richiesta di cassa integrazione per tremila lavoratori», si leggeva così in una lettera spedita il 20 giugno del 2023 alla presidente del consiglio, Giorgia Meloni, ai ministri Urso, Giorgetti, e Calderone e alla stessa Morselli, dal segretario generale della Uilm, Rocco Palombella.

Mercoledì 3 luglio è arrivata una prima risposta da parte della procura di Taranto.

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