Negli ultimi dieci anni, si sono susseguiti numerosi tentativi di sviluppare visori per la realtà aumentata: dispositivi capaci di sovrapporre elementi digitali al mondo fisico che ci circonda. Abbiamo visto nascere prima i Google Glass, poi gli Hololens di Microsoft, il Magic Leap One, gli Spectacles di Snap e, più recentemente, il Vision Pro di Apple.

Cos’hanno in comune tutti questi dispositivi? Che si sono sempre rivelati dei flop. La ragione non è così difficile da intuire ed è visibile anche negli avveniristici Vision Pro di Apple, usciti al costo di 3.500 dollari lo scorso febbraio. Per quanto siano dotati della più raffinata tecnologia in realtà aumentata vista fino a oggi – che permette di proiettare davanti agli occhi uno schermo virtuale o di visualizzare informazioni relative ai monumenti che si stanno osservando – il loro utilizzo quotidiano e in mobilità è di fatto impossibile: troppo grossi, troppo scomodi, dotati di una batteria dalla durata troppo breve e che ancora suscitano nausea in chi li usa per periodi prolungati.

The next big thing

È per tutte queste ragioni che anche il Vision Pro è stato un insuccesso, portando il colosso di Cupertino a dimezzare le stime di vendita nel primo anno: da 800mila esemplari (cifra comunque modesta, visto che gli iPhone nel loro primo anno ne vendettero 6 milioni) a 400mila, quota che difficilmente sarà raggiunta.

Apple Vision Pro

Eppure, le difficoltà affrontate da chiunque abbia provato a cimentarsi con la realtà aumentata (da non confondere con la realtà virtuale, che invece immerge gli utenti in un mondo interamente digitale) non hanno mai scoraggiato i colossi della Silicon Valley, convinti di aver individuato la “next big thing” del mondo dei dispositivi tecnologici: «Tra pochi anni ci chiederemo come abbiamo potuto vivere senza la realtà aumentata», aveva per esempio affermato qualche tempo fa Tim Cook, ceo di Apple.

E adesso è infatti la volta del fondatore di Meta Mark Zuckerberg, che il 25 settembre, durante l’annuale conferenza Connect dedicata agli sviluppatori, ha finalmente mostrato il prototipo Orion di cui si parla ormai da almeno cinque anni. È un paio di occhiali dotato di realtà aumentata (anche se Meta preferisce il termine “display olografici”), in grado di proiettare molteplici schermi virtuali davanti ai nostri occhi, permettendoci di rispondere rapidamente ai messaggi, di partecipare a chat video e di giocare, navigando l’interfaccia software tramite comandi vocali, con alcuni gesti delle dita o semplicemente spostando lo sguardo.

Soprattutto, il prototipo Orion – nonostante Zuckerberg sia apparso un po’ goffo quando lo ha indossato – assomiglia a un normale paio di occhiali: caratteristiche che potrebbero permettere a questi dispositivi di vincere le resistenze dei consumatori verso gli ingombranti visori finora commercializzati.

Per quanto si tratti di dispositivi per ora destinati soltanto agli sviluppatori, e di cui non è ancora nota né la data di commercializzazione (comunque lontana) né il costo, la comparsa dei visori Orion rappresenta un passo avanti importante: il momento in cui la visione di Apple (commercializzare un dispositivo ricco di funzionalità, ma destinato soltanto agli appassionati) e quella seguita da Meta con i suoi Ray-Ban Stories (simili a normali occhiali da sole, ma dotati soltanto di auricolari, microfono e videocamere) convergono, dando vita a un dispositivo che unisce funzionalità avanzate e un design sufficientemente discreto.

Sempre connessi

Nonostante venga sperimentata già da almeno dieci anni, la realtà aumentata è una tecnologia che sta ancora muovendo i primi passi: potrebbero volerci altri dieci anni prima che i visori AR (augmented reality) diventino un successo di massa. Eppure, a oggi, sembrano essere il dispositivo che ha le maggiori probabilità di sostituire, o integrare, gli smartphone.

Per molti versi, infatti, i visori in realtà aumentata rappresentano la naturale evoluzione del rapporto tra essere umano e tecnologia. Se lo smartphone, nel bene o nel male, ci ha reso perennemente online, ancora ci costringe, per fare solo un esempio, ad alternare lo sguardo dalla strada al telefono mentre seguiamo le indicazioni di Google Maps. I visori AR ci permetteranno invece di proiettare le indicazioni direttamente sull’asfalto, integrando così il mondo digitale in quello fisico, e portando per molti versi a compimento il processo iniziato con gli smartphone e prima ancora dai computer portatili (per avere un’idea di come sarà questo mondo, cercate il video Hyper-reality di Keiichi Matsuda su YouTube).

Ci sono però ancora parecchie criticità da risolvere. Prima di tutto, la privacy: se davvero in futuro gireremo indossando dei visori in grado di riprendere, registrare e pubblicare istantaneamente tutto ciò che vedremo, che fine farà il nostro diritto alla riservatezza (problema presente già oggi con i Ray-Ban Stories e gli altri smart glass dotati di videocamera)?

Non solo: considerando quanto già oggi gli smartphone e i social network ci sommergano di notifiche e altri stimoli, quale sovraccarico cognitivo dovremo affrontare quando (e se) la nostra condizione di base sarà di essere sempre connessi, e per scollegarci dovremo toglierci gli occhiali?

Al di là di queste cruciali problematiche, una cosa è certa: dopo aver fallito il suo obiettivo di farci trasferire tutti – tramite il metaverso – in un mondo virtuale, Mark Zuckerberg punta oggi a fondere definitivamente il mondo fisico e digitale attraverso la realtà aumentata. Questa volta, la strategia potrebbe rivelarsi indovinata.

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