Qualcuno avverta la premier Giorgia Meloni che non sta “facendo la storia”, ma precipitandoci giù per una ripida china. Siamo in procedura d’infrazione Ue; il governo nasconde la traiettoria dei conti pubblici inviataci dalla Commissione. Più di questa, però, ci sorveglia il mercato; se non ci compra ogni anno 400 miliardi di titoli, servono supporti come il Meccanismo europeo di stabilità che, stolidi, rifiutiamo. Bene fa il presidente Sergio Mattarella a citare la fila dei nostri avanzi primari, ma il leader della Lega Matteo Salvini lacera quella paziente tela, «ragionando» a Cernobbio sull’aumento da 85 a 100mila euro del tetto alla flat tax per gli autonomi.

Al ministero dell’Economia, poi, confermano, ma solo per un anno, il taglio del cuneo fiscale e gli sgravi Irpef, e ragionano se spendere il surplus delle entrate nel 2024 per alleggerire il 2025. Non si parla più di tesoretto, ma è lo stesso; è meglio se la ragione divaga.

Riequilibrare i pesi

La destra berlusconiana, pur amica degli evasori, mai puntò decisa sulla tassa piatta, che discrimina tra autonomi e dipendenti a pari reddito, tassando i primi il 20-30 per cento in meno; il loro vantaggio è molto maggiore, perché dichiarano in media il 30 per cento del reale. La flat tax li spinge poi a stare sotto il tetto, incentivando ancora il nero.

Fu il Caf negli anni Ottanta a far esplodere il debito, non Meloni. Il centro-sinistra di Prodi, con Ciampi e Visco, ridusse il rapporto debito/Pil sotto il 100 per cento ma Berlusconi lo fece ripartire nel 2001. Chi volesse «fare la storia» dovrebbe mettere la questione del bilancio al centro del tavolo, ma il diffuso analfabetismo economico fa comodo. Non abbiamo un “sistema” fiscale, ma un coacervo di norme contraddittorie, figlie di tante “emergenze” e di conseguenti mance, anche costose come la flat tax. Meloni lo sa, continuare così riduce molto la nostra forza negoziale a Bruxelles. Gli strumenti attuali potrebbero riequilibrare i pesi, gravanti quasi solo su dipendenti e pensionati, ma il governo non vuole.

Sentiero stretto

Il rapporto di Mario Draghi presentato ieri a Bruxelles stima in circa 1.000 miliardi annui (5 per cento del Pil Ue) i maggiori investimenti per la transizione ecologica e digitale; gli stati desiderosi di muoversi più in fretta, scrive, devono poterlo fare. È questa la Ue del futuro, ma servono fisici asciutti e ben allenati; si farà senza di noi se rifiutiamo la necessaria disciplina.

Come ha qui scritto Giuseppe Pisauro, è però sbagliato trasformare in mantra la riduzione del rapporto debito/Pil; ciò comprime gli investimenti che possono rilanciare la crescita, così la spesa è solo rinviata. Servono anche strumenti per frenare la fuga all’estero dei nostri migliori studenti che le imprese, troppo piccole, non pagano il giusto. Fra investimenti da fare e spese da potare, è un sentiero stretto; se Roma fallisce il bersaglio, affonda tutta la Ue.

Il Pd è il solo partito strutturato e con persone in grado di percorrerlo a partire da una organica riforma fiscale. A questo enorme tema tutto è appeso; dai diritti civili e sociali al riequilibrio di economia e finanza. Servono affidabili alleati, con scelte anche radicali ma senza sensazionalismo, e mostrare ingiustizie e squilibri, con i pericoli che ne derivano.

È tardi perché l’opposizione presenti una legge di Bilancio alternativa; non è tardi, ma resta urgente avviare questa riflessione partendo dalle fondamenta. Non si può cominciare dal tetto, non basta una bella conferenza stampa.

Se aggiustiamo il nostro sentiero di crescita permettiamo alla Ue di affrontare gli sviluppi istituzionali e di rafforzare il suo ruolo nel mondo, uscendo dalla balbuzie strategica ed economica, che ne fa una balena spiaggiata. Della balbuzie gioiscono i suoi nemici, anche interni.

Abbiamo del tempo, usiamolo per salvare con la Repubblica italiana – nome da Meloni mai detto – l’Unione europea; altrimenti questa s’inabisserà sotto gli occhi dei molti che, anche al governo, ne sarebbero lieti e nell’attesa si industriano ad avvicinare quel momento.

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