L’esperienza storica ci dice che le crisi politiche o sono assorbite dal sistema o finiscono per distruggere il sistema. Da un decennio ad oggi ci troviamo immersi nella crisi dell’Unione europea, che non riesce a sbocciare come unica grande realtà politica e istituzionale.

Le forze conservatrici hanno una sola posizione: mantenere in piedi l’attuale equilibrio fragile, frenare e impedire qualsiasi modifica della struttura istituzionale dell’Europa, per trattenerla in questo limbo limaccioso, che è uno stallo in cui versa da almeno un decennio. Gli innovatori sono invece coloro storicamente interessati all’evoluzione e all'integrazione politica e istituzionale, a creare le condizioni per superare lo stallo. Sono stati, questi ultimi, anni di un lento esaurirsi della spinta creativa delle grandi forze politiche che reggevano gli Stati fondatori. Oggi però lo stallo europeo può diventare paralisi, sotto le spinte degli esaltatori del ritorno al passato. Eppure una reazione di forte vitalità si intravede.

Usa, uno scontro di civiltà

Il dibattito attuale negli Stati Uniti ha davanti a sé, in questo ultimo mese prima del voto per il prossimo presidente, una via incerta e tormentata. Però i Democratici, prima con Joe Biden e poi con Kamala Harris, hanno scelto un terreno di scontro di qualità contro Donald Trump. Un terreno alto, che investe non solo gli Stati uniti a ma tutti i paesi che sono oggi coinvolti nella crisi della globalizzazione. Uno scontro, potremmo dire, di civiltà. Trump è un golpista, dice Harris. Vuole la distruzione delle istituzioni democratiche. E sono golpisti e distruttori della vita democratica coloro che sul piano internazionale lo sostengono o ne diffondono le idee, dentro e fuori gli Stati Uniti. Questo terreno di scontro ha già una ricaduta immediata nel dibattito politico in Europa. Da noi in questi giorni non è solo in discussione la composizione della Commissione, la scelta degli incarichi, ma l’orientamento politico generale dell’Unione e la costruzione di una forza integrata politica europea.

Su questo vi sono tendenze opposte: soffiano venti strani, rigurgiti di nostalgie del passato che vivono e si sviluppano nel cuore di due paesi che furono il centro del nazifascismo, la Germania e l’Italia.

Vi sono anche venti meno nazionalisti, che però sostengono il rafforzamento della collaborazione fra potenze dell'Europa e ma senza costruire un’entità politico-istituzionale europea.

Vi è poi un vento sottile, ma tagliente, potenzialmente distruttore: l’interferenza di un sovranismo nei singoli paesi. Il suo vero nome è il “Partito russo”. Che c’è anche nelle istituzioni italiane. Anzi, l’Italia è il paese più debole e fragile ed esposto a questo vento. Da noi al governo vi è un partito dei rigurgiti nostalgici che ha la maggioranza relativa ed esprime la presidente del consiglio. C’è un partito filorusso che è la Lega. E c’è un terzo partito, che è Forza Italia, che agita temi liberali in maniera del tutto inefficace, perché in realtà la sua funzione è puntellare i nazionalisti.

Intese sulla decadenza

Dall’altra parte, di fronte ad un governo che esprime ad altissimo livello, cioè il presidente del consiglio e i suoi vicepresidenti, i mali presenti e i rischi futuri, l’opposizione è divisa su un terreno che ci riporta a vecchi argomentari, vecchi linguaggi, vecchie storie: si arrovella su come staccare un pezzo della maggioranza di destra per farci un governo insieme. Senza capire che questo governo è l’unità della destra, è l’insieme dei mali che oggi si agitano in Europa: insieme sono nati, insieme stanno, solo insieme possono cadere. Nel nostro paese il virus delle larghe intese è vecchio, è un dato permanente della sua storia recente. In passato veniva bloccato dalle grandi forze politiche. Nel recente passato, invece, le larghe intese sono diventate grandi operazioni di trasformismo, persino più individuale che collettivo.

L’opposizione deve impostare con coraggio un altro discorso: deve rovesciare questo governo che è un blocco unico. Con il voto popolare. E con un grande movimento per la Costituente europea, che nel giro di pochi mesi costruisca ed elabori la nuova Costituzione come sviluppo e proseguo della Carta italiana che però non è solo frutto della storia nazionale, si fondò sui sacrifici di decine di milioni di europei, militari e civili, deportati.

La riserva della riserva

Invece vedo agitarsi proposte minimali. La più suggestiva è quella di trovare delle soluzioni all'interno di un sistema, con un ricorso alla storica grande riserva di eccezione del paese, Mario Draghi.

Draghi fu già invocato come riserva di eccezione a più riprese, tre, quando ha ricoperto le tre cariche istituzionali importanti, governatore della Banca d'Italia, governatore della Banca centrale europea, presidente del Consiglio dei ministri. In ognuna di queste circostanze lui fece di tutto per dimostrare che era rispettoso della politica che lo aveva nominato, certamente, ma che lui non era solo un tecnico, ma appunto una riserva delle istituzioni, dunque poteva svolgere un ruolo politico senza essere un politico.

Oggi si scopre che c'è una riserva a Draghi. Ed è Draghi che è riserva di sé stesso. Il nuovo Draghi, l’autore del rapporto sulla competitività, un documento che testimonia di un nuovo Draghi eccezionale, persino spericolato, ma inconsistente: presenta un documento che per un verso è un programma socialdemocratico ma senza la socialdemocrazia, anzi osteggiandola, chiedendone la fine di ogni residuo. Il suo rapporto invoca una forte mobilitazione del capitale pubblico e privato, sorvolando sul fatto che il capitale pubblico non ha né le strutture né le disponibilità per fronteggiare la cifra mitica, abbagliante, di 800 miliardi all’anno di investimento.

Chi dovrebbe metterli? Un capitalismo pubblico che non c’è, e uno privato che ha sempre dimostrato grande capacità di saper scegliere ciò che è più profittevole, e facilmente smobilitabile, e figuriamoci se oggi può, e vuole, affrontare investimenti incerti di medio e lungo periodo.

Il Partito russo a casa nostra

E allora la via è una sola, l’opposizione a questo governo deve essere intransigente, sul modello della linea scelta da Harris nei confronti di Trump. Deve tenere una barra solida contro la destra: siete un pericolo per la democrazia, siete forze di ispirazione golpista. Sia data voce al popolo europeo con la Costituente europea: serve una battaglia che mobiliti le forze dell’Europa contro ogni focolaio di interferenze nelle realtà politiche dei singoli paesi da parte di potenze straniere e in particolare che tolga ogni spazio alle infiltrazioni del Partito russo.

È questa la battaglia che oggi deve fare l’opposizione se non vuole essere trascinata in una stanca e affannosa ricerca di alleanze e di larghe intese che mai furono proficue nella storia italiana e mai potrebbero produrre altro che il proseguire della decadenza. Il ruolo della Commissione europea deve essere investito dalla nuova carta costituzionale europea.

Senza un’autonomia europea le maggioranze sono solo un’illusione ottica.

La vittoria di Harris ci porterà ad avere negli Stati uniti degli amici democratici. Ma non basterà, dovremmo difenderci da soli dalle interferenze di casa nostra. E la costruzione di una difesa unica e integrata deve essere uno degli atti solenni del passaggio dalle sovranità nazionali a quella sovranazionale.

Ma deve fondarsi sui valori della nuova Costituzione, sulla necessità di essere armati perché abbiamo i russi alle porte, in casa, e anche al governo.

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