Teste calde. Che pensano, volano, parano. Non sarà l’Europeo dei bomber (pochi gol memorabili), ma è il torneo dei portieri. Mai più tristi y solitari come da letteratura che fu. Oggi sono figure assai solide e concentrate, dei veri numeri uno. A duello in questo primo ottavo di finale all’ora del tramonto eccone due tra i più acclamati: Gigio Donnarumma e Yann Sommer.

Italia-Svizzera si gioca soprattutto sulla linea bianca del loro coraggio. E sul modo di far fluire i pensieri e i movimenti. Mentre il mondo si domanda se è o non è proprio Gigio il migliore portiere al mondo, lui se ne frega e pensa ad altro. Prima della sfida alla Croazia diceva: «Sono emozionato, ma si deve avere la mente lucida, pensare al campo e alla partita». Lucidità is the new colpo di reni. Contano i riflessi da gatto con i guantoni, ma l’elaborazione mentale della partita è decisamente più utile, ti premia.

La mental coach di Jacobs

Donnarumma è uscito allo scoperto: si è fatto seguire da una mental coach. Si chiama Nicoletta Romanazzi, la più ambita del settore mente-sport. Ha già seguito (e segue, tra gli altri) il campione di karate Luigi Busà e il velocista Marcell Jacobs. Quando lo sprinter azzurro ha conquistato l’oro nei 100 metri a Tokyo 2021 sempre più atleti l’hanno cercata.

Al Corriere della Sera, pochi giorni fa, ha detto che «piano piano si comincia a sdoganare il nostro ruolo, anche se ci sono allenatori che ancora hanno pregiudizi e i ragazzi hanno paura che si scopra: non vogliono far credere di avere dei problemi». Anche Gigio fa parte della sua scuderia, e il suo salto (mentale) è stato evidente. Di problemi parlò lui a Canal+: «Chiedere aiuto è una forza, non una debolezza».

Oggi Donnarumma non para più, visualizza. Perché, come ha detto ancora Romanazzi, «se la mente è bloccata o in uno stato d’ansia, il corpo si irrigidisce». Bisogna riconoscere l’emozione, non si può avere paura della paura. Difficile dire quando il timore di Gigio sia sparito, nel 2021 durante un’intervista a Red Bull già si presentava così: «Sono Gigio Donnarumma e il mio sogno è sempre stato diventare il numero uno dei numeri uno». Forte lo è stato sempre, adesso ne è anche consapevole. Del resto, lunga è la strada verso il successo. Ma immaginarsela da un punto preciso è pur sempre un modo per partire.

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La psicologia

Negli anni Trenta la psicologia teorizzava bastassero diecimila ore di esercizio per diventare un campione. Tutti tennisti, violinisti, fenomeni. Seee, come no. Ne sono nati libri, ricerche scientifiche, modelli. Finché qualcuno (studio pubblicato da Psychological Science nel 2014) ha detto: ma figurati, quel che conta è il talento, e quello innato, quello vero. Solo che il talento è una cosa difficile, va saputo gestire trovando un compromesso tra l’esercizio e la parte mentale. Per nessun atleta di alto livello il fisico fa davvero la differenza. Tutti dicono: «Nel mio sport conta di più la testa».

Ci sono momenti nella partita e nella vita che richiedono attimi di consapevolezza estrema. La nebbia offusca, ti fa sbagliare. Anche Donnarumma si innervosiva, lo ha raccontato lui. La mental coach gli ha spostato il baricentro. Si entra in uno stato di trance agonistica e «essere consapevoli di come entrare in quello stato ti può cambiare la vita: se sei in una finale olimpica e c’è una falsa partenza o se si va ai rigori, resti lucido qualsiasi cosa succeda, non ti fai spaventare da nulla. E se sbagli, resetti. E torni nel momento presente».

Ruolo infame, quello del portiere. Lo scrittore Albert Camus nel calcio ci sentiva l'esistenza, la terra, la polvere, le strade di Algeri, i cortili del liceo. E il portiere, per lui, era tutto. Quel ruolo così solitario, lunare. I portieri dolorosi di Umberto Saba. Le fascinazioni di Stefano Tacconi, portiere per davvero, che disse: «Ho parato anche la luna». Ma quell’immagine un po’ naïf del portiere stralunato, arreso, oggi è fuori corso, fuori luogo.

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L’evoluzione del ruolo

Adesso sono precisi, pragmatici, pratici. Tengono in pugno le squadre. A Euro 2024 il portiere ha trovato lustro in più realtà. Giorgi Mamardashvili, il numero uno della Georgia, ha fermato Cristiano Ronaldo e per tutti ora è una star (e l'occasione di mercato). Kasper Schmeichel (Danimarca) è sempre una garanzia, da anni bravo come il suo papà. E anche Lukasz Skorupski (Polonia), che di solito si accontenta di fare il numero dodici, contro la Francia ha giocato un partitone meritando il premio di miglior giocatore.

Ma questi sono portieri volanti, gettano il cuore oltre l’ostacolo. Fermo in quella staticità sulla linea di porta, il portiere non ha margini di errore. Una distrazione è fatale, un calo di concentrazione è la fine. Chi usa la testa ha fatto il salto di qualità. Ne ha parlato anche Sommer, numero uno dell’Inter e della nazionale svizzera.

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«Prima della partita cerco di rilassarmi e calmarmi. Faccio un brief della situazione, riguardo le immagini, mi concentro su quello che devo fare», ha raccontato a Men’s Health. Beve té matcha, investe in aziende vegan, suona la chitarra, mette occhiali da sole speciali in allenamento. E medita, pensa, fa yoga. «La meditazione per me significa tornare all’essenza di me stesso per qualche minuto, senza rumori di fondo. Sono da solo coi miei pensieri: è una cosa fondamentale».

A 35 anni Sommer è molto zen. Ma il mental coach lo aveva già sdoganato anni fa, agli inizi della sua carriera. «Da giovane devi imparare a convivere con gli errori e con i successi - ha raccontato -, si lavora molto sulla preparazione delle partite e si parla anche di quello che conta nella vita per rendere al meglio come atleta». La testa, e un po' il cuore.

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