«Sono nata con la tv perché la tv è il mio mezzo giusto». Raffaella Carrà esordisce nel 1969 con il programma Io, Agata e tu condotto da Nino Ferrer: chiede alla produzione tre minuti solo per lei ed è un successo immediato. Buca lo schermo, sicura di sé e con uno stile nuovo; circondata dai suoi boys, è scattante e moderna con le gambe in aria e il colpo di testa all’indietro.

O sarebbe meglio dire che Raffaella Pelloni – nata a Bologna nel 1943 e vissuta nella piccola cittadina romagnola di Bellaria – diventa Raffaella Carrà, la nuova stella dello spettacolo italiano, il mito che arriva a quattro generazioni di telespettatori.

Il nome d’arte

Il suo segreto, forse, è racchiuso nel nome d’arte: unisce il cognome del pittore metafisico Carlo Carrà e il nome del maestro del Rinascimento Raffaello Sanzio. Raffaella Carrà è un’opera d’arte classica e metafisica, fuori dal tempo e dallo spazio, che rimane perfetta e immutabile con il passare degli anni.

Per questo il 5 luglio del 2021, il giorno della sua morte, segna un vero e proprio trauma collettivo: Raffaella Carrà è un’icona sacra, incompatibile con la caducità del corpo, con il decadimento della malattia, con l’inesorabilità della morte.

Raffaella Pelloni era diventata immortale costruendo Raffaella Carrà: una figura intramontabile che aveva assunto ruoli sempre diversi nell’immaginario internazionale, a seconda delle esigenze collettive e delle trasformazioni sociali.

Rivoluzione “ombelicale”

Nel 1970 a Canzonissima incarna una vera e propria rivoluzione “ombelicale”: quando per prima scopre l’ombelico in televisione, riesce a smuovere i desideri dell’ombelico del paese, dell’Italia nazional-popolare che guarda la tv, ma non capisce le mode provocatorie delle nuove generazioni.

Quando canta «mi piaci, ti voglio» con l’aggiunta di versi di palese allusione sessuale, riesce a scandalizzare la televisione pubblica profondamente clericale e perbenista, ma riesce anche a trasportare i temi della rivoluzione sessuale dalle piazze alle case di tutti, attraverso l’innocuo medium domestico.

Il suo tuca-tuca è molto più di un gioco linguistico inventato da Gianni Boncompagni, è un elogio del tatto come senso del desiderio carnale, senza riferimento all’immaterialità incorporea dei sentimenti. Come ricorda il filosofo Jean-Luc Nancy, nel saggio Il tocco del toccare curato da Francesca Romana Recchia Luciani, il raddoppiamento del toccare è sempre erotico, evoca il desiderio di toccare ed essere toccati.

In Tuca-Tuca come in Pata-Pata, la canzone altrettanto famosa di Miriam Makeba del 1967. Anche pata-pata vuol dire “tocca tocca”, e indica un ballo tradizionale sudafricano in cui si scuote liberamente il corpo come nella coreografia tattile ideata da Don Lurio. Anche se nel Sudafrica dell’apartheid il brano ha suscitato molto più di qualche articolo indignato dell’Osservatore romano, a Makeba sono toccati trent’anni di esilio.

Gli anni Ottanta

Invece la Carrà degli anni Ottanta cambia strada: con il programma Pronto Raffaella instaura con i telespettatori un rapporto personale, diventa una presenza quotidiana e domestica, e il suo volto sorridente accompagna, rassicurante, ogni mezzogiorno in famiglia. Lo studio televisivo è una prosecuzione virtuale del salotto di casa.

Raffaella Carrà è cambiata rimanendo sé stessa, capace di incarnare la “compresenza degli opposti”: è stata un’icona sessuale e una fata madrina, allo stesso tempo provocante e familiare, sensuale e giocosa.

Con le sue trasgressioni equilibrate, alla fine, ha messo d’accordo tutti. È riuscita a indebolire il carattere melodrammatico delle relazioni e dei problemi personali, aggiungendo una spensieratezza e una leggerezza che oggi rimangono ancora un miraggio. «Com’è bello far l’amore con chi hai voglia tu» continua a rassicurarci.

Insomma, conosciamo tanto, forse tutto, del personaggio Carrà: «Raffaella è mia», potremmo dire rubandola a Tiziano Ferro. E abbiamo creduto di possedere anche la persona che stava dietro alla maschera, ma ci siamo illusi.

L’illusione di conoscerla

Quello che abbiamo conosciuto è stato un perfetto prodotto, nato da e con la televisione, una meravigliosa costruzione di pixel: Raffaella Carrà è esistita, ed esisterà sempre, ma solo dietro lo schermo, solo dentro le nostre memorie catodiche.

In quella «fantastica fiesta» non c’è il tempo reale della vita, ma solo il tempo infinito dello show. Tutto è artificio e illusione, come il caschetto biondo, creato dal famoso parrucchiere Cele Vergottini, molto diverso dai suoi capelli naturali, ricci e neri: «Voglio qualcosa che mi permetta di ballare in libertà e alla fine torni perfetto come all’inizio».

Un personaggio camp, come Susan Sontag definiva la cultura omosessuale che ancora oggi la idolatra: Raffaella è truccata da Carrà, vestita da Carrà, travestita da Carrà, e gioca a costruire la versione patinata di sé stessa.

La sua vita privata

Proprio per questo, la sua vita privata, il piano reale della sua vita intima non sono mai stati accessibili al pubblico. La fatica e la sofferenza del vivere non sono mai state percepite, sono state sublimate dallo sfavillio dello spettacolo. «Nessuno lo sa», aveva confessato in un’intervista, «ma io sono andata in onda anche in momenti difficilissimi, mi aiuta la luce rossa che si accende, chiedo l’aiuto del pubblico e parto».

Non c’è mai stata visibilità dell’o-sceno: ciò che era fuori dalla scena è rimasto fuori dall’inquadratura della telecamera. Da un lato, Raffaella ha avuto la fortuna di vivere prima del Truman show a cui ci ha abituato la fotocamera sempre accesa dello smartphone; dall’altro, ha consapevolmente tenuto inaccessibile una quotidianità che l’avrebbe resa “umana, troppo umana” agli occhi del pubblico.

Il suo pudore e la sua riservatezza le hanno permesso di conservare una grandezza intoccabile, ormai sconosciuta alle popstar che vivono in tempi di sovraesposizione mediatica. Nell’èra dell’autofiction – in cui ogni microtrauma personale diventa occasione di narcisistica narrazione – Raffaella Carrà ha fatto rumore con la sua carriera, ma non con la sua sofferenza. Ha saputo fare spettacolo, senza dare spettacolo.

Tenendo lontano dai riflettori ciò che aveva di più prezioso, è riuscita a rendere immortale il personaggio mantenendo libera la persona: la Raffaella Carrà che appartiene a tutti non morirà mai, ma il 5 luglio 2021 è morta Raffaella Pelloni, che non apparteneva a nessuno se non a sé stessa.


Il 22 giugno è andato in scena ad Ancona, durante il festival Popsophia, lo spettacolo dedicato alla Filosofia di Raffaella Carrà. Accanto alla narrazione di Lucrezia Ercoli e alle esecuzioni della band Factory, la partecipazione della filosofa e scrittrice Ilaria Gaspari.

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