Tra le infinite esperienze che la vita può riservare, finito è il numero di quelle che possiamo sperimentare e unico il modo in cui le viviamo. Fine giugno, tempo di esami di maturità, di agitazioni e sogni. Per alcuni degli oltre cinquecentomila studenti e studentesse è la prima grande responsabilità e l’ultimo atto del lungo percorso scolastico.

Per molti altri no, e tra loro c’è anche un ristretto numero di studenti-atleti, che all’appuntamento ci arriva con già tante sfide vissute in quella scuola particolare chiamata sport.

Tuttavia, la principale differenza tra i primi e i secondi prenderà forma a partire da quel momento: a forgiarla sarà il tempo che avranno davanti a sé per far fruttare quell’esame per la costruzione del proprio percorso professionale. Dopo il diploma, i primi continueranno a dedicarsi alle abilità e competenze per cercare di essere competitivi nel mercato del lavoro; i secondi, invece, per cercare di essere competitivi nel loro sport pur sapendo che, anche nella migliore delle ipotesi, avranno una carriera breve.

All’età in cui i primi inizieranno ad affermarsi nel mondo del lavoro, i secondi dovranno appendere le scarpette al chiodo.

Al chiodo si dovrà appendere anche il passato: bisognerà staccarsene per riuscire a riciclarsi in un altro modo, a profilarsi un’altra identità. Per un atleta di alto livello è un passaggio delicato. Meglio pensarci prima, meglio vivere la brevità e la precarietà della carriera agonistica con lo sguardo proiettato nel futuro.

Il domani post agonistico di Simone Giannelli, capitano della nazionale azzurra di volley, è ancora lontano ma è iniziato tanto tempo fa. Quando ai Giochi olimpici di Parigi prenderà il via il torneo di pallavolo, saranno passati esattamente nove anni da quel luglio in cui il capitano della squadra azzurra fece il suo esame di maturità. Era il 2015, 19 anni ancora da compiere ma aveva già vinto tutto il vincibile a livello giovanile e appena conquistato il primo scudetto tricolore nella massima categoria, impreziosito dal premio come Mvp (most valuable player).

I traguardi

A quel punto il suo palmarès aveva già di che rendere soddisfatto un grande campione a fine carriera, invece, per lui, era solo l’inizio e fu chiaro a tutti che stava esplodendo un fenomeno. La foto che lo ritrae alle prese con il tema di italiano, ricurvo sul banco troppo piccolo per i suoi due metri di altezza, fece rapidamente il giro dei media. In quell’anno giocò da titolare anche con la squadra nazionale assoluta, vincendo il bronzo ai Campionati europei e l’argento in Coppa del Mondo.

Durante i cinque anni al liceo scientifico Simone ha sostenuto, come spesso accade a chi brucia le tappe, l’attività di due categorie (quella della sua età e quella superiore) sia a livello di club che con la squadra azzurra: allenamenti quotidiani a 100 km da casa, trasferte nazionali e internazionali.

Di Giannelli ce n’è uno, ma questo è l’iter di tutti i talenti in qualsiasi disciplina. Lo sport moderno è sempre più precoce e ipercalendarizzato e dunque ancora meno compatibile con un qualsiasi altro impegno organizzato, primo fra tutti quello per l’istruzione. Nel 2000, la commissione di studio Olimpia condusse un’indagine sul profilo psico-sociologico degli atleti Po (probabili olimpici) ed evidenziò che il problema inizia a manifestarsi già intorno ai 14 anni. Da allora le cose non sono migliorate, e l’introduzione dei Giochi olimpici giovanili non ha aiutato.

La multilateralità

Anche Simone, come Sinner, da piccolo ha fatto tanti sport; molto tennis, grazie al papà maestro, l’immancabile calcio, ma è nello sci che se la cavava particolarmente bene. A 12 anni però andò a una partita di pallavolo di Martina, sua sorella, e fu amore a prima vista. Nel suo gioco di oggi ha trasferito competenze apprese attraverso quelle esperienze giovanili, arricchite con le abilità maturate ricoprendo, con successo, tutti i diversi ruoli che il volley prevede.

Un perfetto percorso prima di multidisciplinarietà, poi di multilateralità all’interno di un’unica disciplina. A un certo punto ha voluto diventare palleggiatore, il cosiddetto regista della squadra. Un ruolo che dice di amare perché può scegliere di fare qualsiasi cosa: alzare, sorprendere con pallonetti, murare e, perché no, anche schiacciare. In effetti lui può scegliere perché sa fare tutto, anche alzare perfettamente con una sola mano e all’indietro.

L’atipicità

È l’unico palleggiatore al mondo che ha vinto il premio di Mvp in più occasioni, un riconoscimento che solitamente hanno gli schiacciatori, perché sono loro che concludono l’azione. Invece con Simone il ruolo di regista gregario è diventato di fantasista protagonista. È uno specialista come nessuno mai prima di lui, avendo inventato un nuovo modo di esserlo.

Quando racconta dei suoi studi universitari in scienze dell’alimentazione, parla di un’apertura verso il futuro ma pure di un allargamento del presente in cui si fa spazio ogni impulso nuovo, scaturito anche leggendo e studiando: e i libri sul suo comodino non mancano mai.

Ha capito bene che sono gli stimoli diversi, sia motori che cognitivi, a cui il pensiero divergente attinge per dare vita alla creatività e trovare soluzioni nuove a problemi vecchi, aggiornare le proprie motivazioni, gestire il cambiamento con responsabilità e consapevolezza.

La creatività sta diventando sempre più una qualità fondamentale per l’adattamento a un mercato del lavoro in continua trasformazione.

Viviamo un’epoca in cui la correlazione tra ciò che si studia e ciò che si fa non è più così netta, e perciò imparare a leggere la realtà su cui inserirsi professionalmente è importante e difficile, soprattutto per ex atleti che, pur portando con sé un grande bagaglio di life skills, mancano di esperienza e talvolta anche di competenze.

Perciò dal 2004 esiste il network Eas (European Athlete as Student) per mettere in rete organizzazioni che vogliono sviluppare e condividere buone pratiche a supporto della doppia carriera (agonismo e istruzione) di studenti-atleti.

Il network

Il principio è che l’esperienza agonistica di alto livello, se pur arricchente, può rappresentare un’officina di disadattati se non la si vive preparandosi al “dopo”, tanto più che il mondo dello sport tende a non coinvolgere i suoi ex atleti in ruoli tecnici o dirigenziali, se non in percentuali minime. L’obiettivo non è la riduzione degli obiettivi formativi, ma semplicemente la flessibilità didattica, ovvero la conciliazione tra programmi accademici e agonistici: un’estensione del diritto allo studio già pensato e attuato per gli studenti lavoratori. Oggi esistono istituti superiori a indirizzo sportivo, e quasi ogni ateneo ha un programma di doppia carriera.

Obiettivo Parigi

L’oro olimpico è l’unico risultato che ancora manca al volley italiano. Possiamo sperarci sia con la squadra maschile, capitanata da Giannelli, che femminile, trascinata da Paola Egonu. Lui studia alimentazione e vede nella pallavolo un nutriente essenziale per salvare il mondo, come nel libro a fumetti che ha scritto durante la pandemia.

Lei studia giurisprudenza, perché attraverso la pallavolo ha conosciuto il desiderio di difendere i diritti umani. Sarebbe bello vederli tornare da Parigi con la medaglia al collo. Tifiamo per loro non solo come atleti.

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