«Robert Fico lo ha confidato. Visto che le indagini su corruzione e criminalità erano arrivate a toccare le persone a lui vicine, teneva in casa la valigia pronta: era in uno stato d’ansia, convinto che prima o poi la polizia lo avrebbe buttato giù dal letto per sbatterlo in galera».

L’intellettuale Péter Hunčík è stato consigliere di Václav Havel, ha fondato il partito liberale “Ponte”; conosce da vicino le vicissitudini del potere in Slovacchia. E ricorda bene di quando Fico quel potere se l’era visto scivolare via. Nel 2018 aveva dovuto dimettersi per l’assassinio di un giornalista, Ján Kuciak, e per le proteste che ne erano seguite.

Non è solo la smania di potere, ma è aver capito che lo si può perdere, a fare da innesco a una deriva illiberale: non limitarsi a governare un paese, ma pretendere di ridisegnarlo, intervenendo sui media, la magistratura, la cultura, l’economia, la politica. Così è successo con Viktor Orbán, che nel 2010 – tornato al governo dopo una fase di sconfitte elettorali – ha ridisegnato il paese a sua immagine. E così sta succedendo con «quel giovane ambizioso membro del partito comunista» che domenica compirà 60 anni ma «è rimasto ambizioso».

Orbán si era preparato al proprio ritorno, e alla presa del paese, per anni; Fico «si è affidato a lui per imparare a preparare un sistema autocratico, e in pochi mesi già realizza una copia del modello ungherese», dice Hunčík, che sa di cosa parla: fa parte della minoranza ungherese e di Orbán (in versione giovane liberale) era amico. Tra i punti di contatto – o di contagio – con l’Ungheria, c’è pure il fatto che la Slovacchia potrebbe essere il prossimo paese al quale l’Ue congela i fondi per attacchi allo stato di diritto.

«Vogliono farla franca»

Proprio ieri la maggioranza Fico ha portato in Parlamento la destituzione del vicepresidente d’aula Michal Šimečka, che è il principale leader di opposizione (guida il partito liberale Slovacchia Progressista). Il tentato assassinio subìto dal premier la scorsa primavera ha solo esacerbato i suoi tentativi di ostracizzare e di reprimere il dissenso. Dopo la presa della tv pubblica, c’è stata quella delle istituzioni culturali: perciò giovedì prossimo ci saranno proteste in tutto il paese.

Ma per comprendere la svolta in corso bisogna partire dagli attacchi alla sfera giudiziaria: come spiega il politologo Jozef Bátora, «le tendenze illiberali in corso nascono dal tentativo di Fico e dei suoi compagni di governo di farla franca, di non finire indagati o in galera. Il resto ne consegue».

Questo non è il primo governo Fico, ma è unico nel suo genere (illiberale). Lukáš Diko dirige il centro investigativo Ján Kuciak, dal nome del giornalista che indagava sui rapporti tra la cerchia del premier e la criminalità organizzata, ‘ndrangheta compresa. «Nel 2018, dopo l’uccisione di Kuciak, fiumi di slovacchi si sono riversati nelle strade e l’onda anti corruzione ha costretto Fico a dimettersi. Due anni dopo, alle elezioni è stato premiato Igor Matovič perché aveva un programma anti corruzione; ciò ha consentito di portare avanti le indagini sui crimini della cerchia di Fico», spiega il direttore.

Come è possibile che la stessa Slovacchia che si era rivoltata per Kuciak abbia rieletto Fico, che ora attacca i giornalisti? «Nel 2021 è stata svelata una registrazione in cui il premier diceva: “Riservo sempre il dieci per cento delle mie energie per la vendetta”. Ecco: è stato abile a tornare al potere. Tanto Matovič si è rivelato inadeguato, quanto Fico è stato arguto nel cavalcare i movimenti anti sistema durante la pandemia. Poi ha fatto tutta una campagna contro l’aiuto a Kiev. Ma soprattutto: ha sfruttato social e portali di disinformazione, con il supporto di Mosca, per diffondere propaganda».

Appena tornato al potere, nell’ottobre 2023, «ha subito preparato una riforma del codice penale la cui portata è imponente», dice il direttore del centro Kuciak. «Consente di schivare pene per i reati finanziari e accorcia la detenzione per svariati crimini. Ma soprattutto: può cambiare gli esiti di svariati casi che coinvolgono la cerchia del premier».

Un’altra mina in Ue

Lukáš Diko ha una regola e la ripete: lui è un giornalista, si attiene ai fatti. Constata che «le modifiche introdotte aiutano gli oligarchi e i politici vicini al premier: su molti di loro pendono processi proprio per i crimini sui quali la riforma interviene».

A luglio il timore che Bruxelles potesse bloccare i fondi Ue verso la Slovacchia ha spinto il governo a emendare in parte la riforma, ma la sua gravità resta. «Negli scorsi mesi la Commissione ha espresso al governo slovacco le sue preoccupazioni sia sulla riforma che sullo smantellamento della procura speciale anti corruzione», spiegano da palazzo Berlaymont. «Stiamo ora analizzando le implicazioni dell’emendamento di luglio». L’ipotesi di congelare i fondi resta.

Una volta c’era la Polonia a guida Pis, per spalleggiare Orbán in Consiglio europeo, da traditrice dello stato di diritto; con Tusk, il ruolo tocca a Fico. «Se finora il premier non ha bloccato le azioni Ue contro la Russia, è perché ha bisogno dei soldi Ue. Ma a novembre andrà in Cina per attrarre fondi. Il suo memorandum di politica estera è un’apertura a Mosca e Pechino», spiega il politologo Bátora: «In futuro potrebbe radicalizzarsi di più».

La cultura sotto ricatto

Intanto la radicalizzazione procede veloce sul piano interno. «Mi chiedono se penso di lasciare il paese, ma io amo Bratislava, la mia vita, i miei amici, perché dovrei rassegnarmi?», dice lo scrittore Michal Hvorecký, bersaglio del governo Fico. Non se ne va, anzi: resta e si ribella. Ha avviato una petizione da centinaia di migliaia di firme, ha animato svariati scioperi della cultura e sarà in prima fila alle proteste in agenda per il 19.

«In meno di un anno di governo abbiamo assistito a un attacco frontale contro lo stato di diritto», spiega Hvorecký, circondato dai libri nel suo salone a Bratislava. «La priorità di Fico è garantire impunità a sé e ai suoi sponsor. Ma è responsabile pure di interventi gravissimi nel campo della cultura». Anzitutto ha fatto sì che la tv pubblica Rtvs fosse rimpiazzata da una versione filogovernativa, Stvr, la cui direzione è scelta dalla maggioranza. Poi ha fatto dell’attacco al giornalismo libero la prassi, come ha illustrato in un’intervista su Domani Beata Balogová, la direttrice del principale quotidiano (Sme).

Ma non è finita qui: la ministra della Cultura Martina Šimkovičová, che viene da un partito di destra estrema (Sns) in coalizione con Fico, ha attuato una destituzione su larga scala di direttori di teatri e musei, rimpiazzati con profili amici.

«Ministero della distruzione»: così lo chiama Matej Drlička. «Il paradosso?», racconta: «Mentre in Francia ricevevo titoli onorifici, in Slovacchia venivo fatto fuori come direttore del Teatro nazionale. Sotto la mia gestione il teatro aveva avuto un exploit, ma questo governo distrugge un settore che si rimetteva in sesto; la ministra ha pure cambiato il modo in cui si accede ai fondi: ora è soggetto a scelte politiche».

Dopo la cacciata di Drlička e di altri, sono state firmate petizioni e lanciate proteste. Ne è nato un movimento (tra gli animatori, Drlička e Hvorecký): “Cultura aperta”. Prima che il paese si blindi nella deriva autocratica.

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