La prefettura di Roma ha scelto le tre cooperative chiamate a presentare un’offerta per gestire i centri per migranti in Albania. Tra questi, sarà solo un ente a vedersi affidate le strutture oltremare, dove dovrebbero essere portati i migranti soccorsi dalle autorità italiane in acque internazionali, in base all’intesa firmata dalla premier Giorgia Meloni e dall’omologo albanese Edi Rama.

La fretta del governo di aggiudicare l’appalto per la gestione dei centri si scontra però con la realtà: come rivelato da Domani, il termine dei lavori per la loro costruzione, nelle aree individuate dal protocollo, è previsto tra ottobre e novembre 2024. Ma le elezioni europee si avvicinano e la prefettura di Roma ha previsto come data di apertura dei centri il prossimo 20 maggio. Con una ricettività progressiva: si apre anche se le strutture non sono pronte. Questo nonostante le criticità, che potrebbero dilatare ancora di più i tempi e richiedere maggiori spese, rilevate dagli ufficiali italiani in visita lo scorso gennaio. 

Costi che andranno ad aggiungersi ai 65 milioni già considerati per la costruzione e ad altre centinaia di milioni necessari per gestire e controllare i centri. E, come già osservato, nonostante le spese enormi per le casse dello stato, nessuno di questi affidamenti milionari avverrà attraverso una gara pubblica, garanzia di trasparenza della procedura. 

La procedura negoziata per individuare l’operatore economico che gestirà le tre strutture a nord di Tirana, una sulla costa a Shëngjin e le altre due nell’entroterra a Gjadër, sta quindi procedendo in tempi molto rapidi. Il termine brevissimo di 7 giorni per la presentazione delle manifestazioni di interesse da parte di società e cooperative, scaduto il 28 marzo, non ha impedito ai privati di partecipare: sono state 30 infatti le istanze ricevute dalla prefettura, che ha poi scelto tre operatori in base ad alcune condizioni, tra cui quella dell’esperienza nel settore. 

Chi sono i candidati?

Nella procedura negoziata senza bando, del valore complessivo di oltre 151 milioni di euro, la prefettura ha chiesto al Consorzio Hera, Officine sociali e Medihospes di presentare le offerte che verranno valutate in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Cioè si preferirà chi offre un maggior ribasso senza, in teoria, rinunciare alla qualità del servizio. Ma sono molti i casi che hanno dimostrato, nei Centri di permanenza per i rimpatri italiani, che il ribasso si gioca sulla pelle delle persone detenute. Cibo scaduto, mancanza di personale, violazione del diritto all’informazione legale, ambienti insalubri, condizioni di vita pessime.

Le tre cooperative, conosciute nel settore, gestiscono già strutture simili sul territorio italiano. Il Consorzio Hera società cooperativa sociale, con sede a Castelvetrano in provincia di Trapani, gestisce i Cpr di Brindisi e di Trapani Milo, oltre all’hotspot di Pozzallo. Nelle mani del consorzio e della cooperativa Vivere Con, il centro di detenzione amministrativa siciliano è stato quasi interamente distrutto dalle proteste dei trattenuti, sedate con idranti e lacrimogeni dalle forze dell’ordine, che lamentavano le condizioni di vita. 

Per il trattamento delle persone detenute in questo centro, l’Italia è stata condannata a febbraio dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che «ha ordinato il trasferimento della persona trattenuta in un luogo idoneo e la modifica delle condizioni di accoglienza all’interno del Cpr di Trapani, affinché la permanenza degli altri cittadini sia rispettosa dei parametri di cui all’articolo 3 della Cedu», che vieta trattamenti inumani e degradanti, spiega l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione.

Nel Cpr di Brindisi, a dicembre del 2022, è invece morto un cittadino marocchino intossicato nel sonno, dopo l’incendio appiccato per protestare contro le condizioni di trattenimento.

Officine sociali: la condanna della Cedu e l’esclusione dalla gara

Il Cpr di Palazzo San Gervasio, in Basilicata, è invece gestito da Officine sociali. La cooperativa ha ottenuto anche l’appalto dell’hotspot di Taranto in Puglia, struttura che, anche in questo caso, ha portato alla condanna dell’Italia da parte della Cedu per la detenzione illegale di minori stranieri non accompagnati, per trattamenti inumani e degradanti nel predisporre le loro misure di accoglienza, per non aver nominato un tutore, e per non aver fornito alcuna informazione sulla possibilità di ricorrere in giudizio.

Il nome di questa cooperativa si è più volte accompagnato al controverso ex gestore del Cpr di Milano, Martinina srl. I due operatori economici hanno infatti partecipato insieme alla gara per l’affidamento del Cpr di Torino, poi finito alla filiale italiana della multinazionale Ors. I vertici di Martinina srl sono sotto indagine della Procura di Milano, per le condizioni inumane e il trattamento delle persone detenute, con l’accusa di frode nelle pubbliche forniture e turbativa d’asta per mano della società che gestisce il centro, oggi commissariato. 

Ancora, la cooperativa in corsa per la gestione dei centri albanesi, nella gara del 2021 per l’affidamento del Cpr di Trapani, era stata esclusa perché uno dei due rappresentanti legali, il presidente del consiglio di amministrazione, aveva «omesso le dichiarazioni relative alla sussistenza di condanne a suo carico» per il reato fronde nelle pubbliche forniture. Una condanna poi confermata in appello nel maggio 2022. La stessa decisione è stata presa dalla prefettura di Gorizia a dicembre dello stesso anno, escludendo la cooperativa dalla procedura per l’affidamento del Cpr di Gradisca d’Isonzo. Il rappresentante legale oggi non risulta più nelle visure camerali della cooperativa. 

Medihospes: fatturato milionario

La cooperativa Medihospes è attiva in altri settori oltre a quello dell’immigrazione. Assistenza agli anziani, ai minori e a persone con disabilità, offre anche servizi alberghieri. Il bilancio sociale del 2022 riporta un valore della produzione di oltre 128 milioni di euro. Nel settore dell’accoglienza, la cooperativa gestisce diversi centri, tra cui l’ex caserma Cavarzerani di Udine. Non ha Cpr in gestione ma, scrive la prefettura di Roma nella determina, «risulta essere affidataria della gestione di un hotspot, esperienza contrattuale ritenuta maggiormente aderente alle finalità perseguite dall’appalto in parola». 

Il colosso fino al 2020 gestiva il 63 per cento di tutti i posti di accoglienza straordinaria a Roma, circa 3mila persone. Nel 2022, aveva in mano 8 posti su 10 nella capitale, «nonostante le ispezioni abbiano fatto emergere nel 2019 diverse irregolarità», si legge nel rapporto di Action Aid “Centri d’Italia” del 2022.

Il presidente del cda di Medihospes è Camillo Aceto, ex amministratore delegato de La Cascina, la cooperativa commissariata per il rischio di infiltrazioni mafiose nell’inchiesta della procura di Roma “Mafia Capitale”. Ma non è solo Aceto a legare le due realtà: secondo il report “Centri d’Italia” del 2021, le due avrebbero condiviso sedi e iniziative promozionali. 

Il costo di una gestione inumana

Sarà una di queste tre cooperative (probabilmente) a gestire i centri sul territorio albanese. Un appalto del valore di 151.506.587,26 euro. Quasi 34 milioni all’anno per la durata di due anni prorogabili per altri due. Questo l’importo a base d’asta, in base al quale le partecipanti dovranno offrire un ribasso. Chi offre meno, se credibile, vince l’appalto. 

A questa cifra però non sono inclusi i costi vivi, come già raccontato. Servizi di trasporto, utenze idriche, elettriche, servizio raccolta rifiuti, manutenzione ordinaria e straordinaria, predisposizione e manutenzione dei presidi anticendio, assistenza sanitaria. Sono alcune delle spese escluse dal valore dell’appalto, che saranno a carico dell’amministrazione. Costi economici e umani difficili da calcolare.  

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