L’ossessione anti migranti del governo costerà molto cara agli italiani. Ma nel walzer di cifre finora filtrate, smentite o confermate, ora una cosa è certa: dai documenti ottenuti da Domani si scopre che per realizzare i centri di trattenimento in Albania saranno necessari 65 milioni di euro. Un tesoretto per costruire strutture dal futuro incerto. La cifra citata nella determina a contrarre della Difesa, è destinata ai soli lavori edili e di cantiere. A questi andranno aggiunti i milioni per gestire le strutture frutto dell’accordo tra Giorgia Meloni e il premier albanese Edi Rama.

La Difesa tramite la determina affida così al Ggc, il Gruppo genio campale dell’Aereonautica militare, la costruzione dei centri: «Lavori da eseguirsi a mezzo dei reparti del Genio militare»; «Importo lavori 64.403.144»; «Imprevisti 596.856,00»; «Durata dei lavori 223 giorni». Oltre 65 milioni di euro, appunto, per due strutture che saranno pronte, secondo cronoprogramma, tra otto mesi. Forse. Perché alcune criticità dei luoghi, segnalate dagli stessi militari, potrebbero frenare la corsa.

Sopralluogo pre elettorale

E siccome ballano milioni, martedì 9 aprile e mercoledì 10 si è recato a Tirana il generale ispettore capo Giancarlo Gambardella, nominato lo scorso 28 dicembre direttore della direzione generale dei lavori del ministero della Difesa, la persona che dovrà curare tutta la partita Cpr. Ad accompagnarlo il sottufficiale, brigadier generale, Paolo Rizzetto. Obiettivo: un nuovo sopralluogo, dopo quello del 19 gennaio, sulle aree dei cantieri.

Il protocollo Italia-Albania, firmato dai due premier il 6 novembre 2023, prevede che i centri siano destinati alle persone salvate in acque internazionali dalle autorità italiane. Oltre alle incertezze sulla realizzazione, restano i dubbi sul rispetto del diritto internazionale e dei diritti fondamentali.

Già il 19 gennaio, a seguito della prima visita degli ufficiali dell’Aeronautica militare, questi avevano fatto sapere in un rapporto che le incognite per costruire le strutture erano troppe. I territori individuati, avevano sottolineato gli ufficiali, non sono semplici da ripulire e potrebbero rallentare maggiormente i lavori. Elementi che potrebbero far aumentare esponenzialmente i fondi pubblici della Difesa a copertura dei centri.

Il cronoprogramma delineato dal Genio militare, da quanto risulta dai documenti ufficiali, prevedeva l’inizio dei lavori a fine marzo e fine operazioni tra ottobre e novembre. Termine ben lontano dalla data ipotizzata nella procedura negoziata del ministero dell’Interno per individuare il gestore dei centri: il 20 maggio 2024. Un termine che non è difficile ricondurre all’incombenza delle elezioni europee, previste dal 6 al 9 giugno. Nel cronoprogramma ufficiale e nella determina a contrarre che stanzia i 65 milioni di euro infatti la fine lavori è prevista dopo 223 giorni. Otto mesi.

La base militare con i tunnel

I luoghi individuati dalle autorità albanesi e italiane sono due: uno sulla costa, nel porto commerciale di Shëngjin, a 70 chilometri a nord di Tirana, per lo screening sanitario, l’identificazione e la raccolta delle eventuali domande di asilo dei migranti salvati dalle imbarcazioni delle autorità italiane in acque internazionali, senza pernottamento. Tremila metri quadri destinati alle procedure di ingresso. Qui, secondo la relazione redatta successivamente al sopralluogo di gennaio scorso, dovrebbero transitare tra le 150 e le 300 persone.

L’altro, a venti chilometri di distanza da Shëngjin e a 80 chilometri da Tirana, si trova a Gjadër, nell’entroterra, in un sedime dell’Aeronautica militare albanese, dove verranno costruite due diverse strutture: un hotspot e un Centro di permanenza per il rimpatrio, con una capienza rispettivamente di 880 e 144 posti. Numeri ben distanti dai 3mila annunciati da Meloni e dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Tutta l’ex area militare sarà allestita con moduli prefabbricati «forniti dal ministero dell’Interno», che a sua volta dovrà acquistarli da un fornitore esterno. La squadra di tre ufficiali in visita a gennaio ha così definito il sedime militare: un luogo «da dismettere», posto «ai piedi di un pendio calcareo con pendenza significativa». Con tanto di foto allegate che raccontano un luogo isolatissimo e in decomposizione avanzata. La base militare ha persino tunnel sotterranei un tempo usati come rifugi o depositi di armi.

Per questo, secondo i membri del Genio dell’Aeronautica, non sarà facile metterli in sicurezza: non a caso tra i subappalti da affidare, è scritto nella determina, c’è anche il servizio di «bonifica da ordigni bellici». Inoltre, il costone della montagna a ridosso dell’area rende complesso realizzare una rete di protezione.

Appalti esterni

Dal cronoprogramma ufficiale e riservato, i primi lavori sarebbero dovuti partire alla fine di marzo. Con i cosiddetti «baraccamenti», cioè la creazione del cantiere. La determina al punto 7 rivela un’altra novità rilevante: una serie di opere, oltre la bonifica da ordigni bellici, verranno affidate a ditte esterne «in ragione dell’urgenza, della rilevanza».

Impianti elettrici, rilevamento antincendio, video sorveglianza e impianto di telecomunicazione, la rete fognaria, realizzazione dei moduli abitativi (container), recinzione del perimetro dell’area. Alcune delle opere da subappaltare. Svariati milioni di euro che verranno pagati ad aziende italiane o albanesi. «Affidamenti, servizi e forniture materiali, nonché i noleggi, avverranno senza limiti di importo, secondo le deroghe previste e con procedure semplificate», è scritto nella determina. Tradotto: nessuna gara, sarà affidamento diretto e selvaggio.

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