«L’iniziativa era strumentale». Così Carlo Fidanza, il capogruppo di Fratelli d’Italia all’Europarlamento, e fedelissimo di Giorgia Meloni, spiega a Domani come mai questo giovedì in aula i meloniani sono stati tra i pochi a non sconfessare Ursula von der Leyen.

I popolari europei che difendono la loro presidente (e candidata al bis), e i meloniani che le riservano una garbata astensione, rivelano per l’ennesima volta la loro sintonia, mentre per il resto le forze politiche trasversalmente riversano le loro rimostranze verso von der Leyen in un voto che riguarda lo “scandalo Pieper”. La faccenda riguarda una nomina controversa e catalizza in questi giorni i tentativi di scuotere la presidente in cerca di bis, che sia per bruciarne un altro mandato, o semplicemente per assumere peso negoziale a riguardo.

Le nomine sono del resto già in discussione, anche se Charles Michel – il presidente del Consiglio europeo questo giovedì in visita a palazzo Chigi – interrogato sull’ipotesi di Mario Draghi offre risposte istituzionali: «Bisogna aspettare il voto degli europei». È una risposta simile a quella data da Meloni dopo l’ultimo Consiglio europeo, quando i cronisti le domandavano di un bis di von der Leyen.

L’attendismo fa gioco ai leader perché l’esperienza – anche delle scorse europee – mostra che fino all’ultimo un nome rischia di finire bruciato. Ma non significa che i negoziati non fervano già da ora, e anzi, da molte settimane, a dire il vero. Il voto di questo giovedì sulla nomina di Pieper non è che l’ennesima cartina tornasole dei posizionamenti tattici in vista delle europee (e del dopo).

Lo mostra l’ennesima dissonanza interna alla maggioranza di governo nostrana, con Forza Italia che sostiene von der Leyen, Fratelli d’Italia che si astiene e la Lega che invece non perde occasione per andare all’attacco della presidente. Ormai i partiti della coalizione Meloni si ritrovano tutti uniti soltanto sotto l’ormai logoro ombrello della propaganda: questo giovedì tutte e tre le forze politiche si sono opposte al diritto all’aborto, quando una risoluzione sul tema è stata votata – e comunque approvata – nell'emiciclo europeo.

Sfiducia su Pieper

C’era già stato lo scontro all’interno dello stesso collegio di commissari, con i socialisti Josep Borrell, Paolo Gentiloni e Nicolas Schmit (candidato del Pse alla presidenza della Commissione), e il liberale (macroniano) Thierry Breton che avevano chiesto conto alla presidente von der Leyen dello scandalo Pieper.

Questo giovedì ci si è messo anche l’Europarlamento, con un emendamento proposto dai Verdi europei – in testa Daniel Freund – e che ricostruisce così la vicenda, stigmatizzandola: «L’Europarlamento prende atto della creazione di un posto di rappresentante dell’Ue per le Pmi, che è un agente temporaneo di grado AD15 non rientrante in alcuna categoria, e della sua successiva assunzione».

Qui ci si riferisce al fatto che von der Leyen si è inventata questo ruolo, annunciandolo a settembre durante il suo discorso sullo stato dell’Unione, che è considerato anche come il primo discorso di campagna elettorale per il bis, sia per gli ammiccamenti al mondo imprenditoriale, che per le prime prese di distanza dall’agenda verde.

L’Europarlamento «si rammarica che numerosi organi di informazione abbiano riferito che il candidato prescelto», ovvero Markus Pieper, eurodeputato cristianodemocratico tedesco, «sia stato infine nominato sebbene, nelle valutazioni di assunzione, le sue qualifiche fossero risultate inferiori rispetto alle due restanti candidate provenienti da stati membri sottorappresentati, il che mette in dubbio l’effettiva considerazione dei principi di merito, genere ed equilibrio geografico».

Fin qui l’emendamento fotografa il caso; poi c’è la conclusione caustica nei confronti della presidente: «L’Europarlamento osserva con preoccupazione che il candidato prescelto è un deputato uscente del partito politico tedesco di von der Leyen»; dunque accusa di favoritismo. E infine: «Invita la Commissione a porre rimedio revocando la nomina e avviando un processo davvero trasparente e aperto».

Le reazioni

Di fronte all’attacco al suo eurodeputato tedesco Pieper, e alla presidente, persino il Ppe – che pure all’ultimo congresso di Bucarest ha mostrato un sostegno tutt’altro che entusiasta e corale a von der Leyen – si è compattato e si è opposto all’emendamento. Ha pure provato a proporre un controemendamento, accusando i verdi di «doppi standard», anche se in aula non ha trovato sostegno neppure perché si arrivasse a votarlo.

Ricompattare il fronte è la stessa strategia usata da Ursula von der Leyen nel collegio di commissari: dopo che socialisti e liberali hanno contestato l’operazione Pieper e la mancanza di collegialità, i commissari provenienti dalla famiglia popolare si sono trincerati dalla parte della presidente. Che al momento pare rifiutare l’ipotesi di rivedere la nomina: il controverso “inviato per le Pmi” tedesco dovrebbe assumere l’incarico martedì prossimo.

Tuttavia l’emendamento anti Pieper (e indirettamente anti von der Leyen) è passato con ampia maggioranza: lo hanno sostenuto socialisti, liberali, verdi, sinistra, sovranisti di Identità e democrazia ai quali afferisce la Lega. «La maggioranza Ursula non esiste più e von der Leyen è sempre più isolata», tuonano i salviniani.

Intanto i loro compagni di coalizione, i Fratelli d’Italia, hanno preferito non mettersi contro la presidente amica e rifugiarsi – assieme alla maggioranza dei Conservatori – in una astensione. Come mai? Fidanza dà questa versione: «Non volevamo associarci a una iniziativa strumentale dei verdi che in altre occasioni riguardanti esponenti di sinistra hanno taciuto». Insomma meglio non attaccare von der Leyen, prodiga di gite italiane con Meloni.

Insomma su Pieper c’è Forza Italia (Ppe) con la sua presidente, FdI che si astiene, la Lega che attacca. L’ennesimo caso di maggioranza Meloni scomposta. Là dove i tatticismi da europee separano, torna però a riunire il solito cavallo di battaglia della propaganda: questo giovedì le destre italiane compattamente si sono opposte alla risoluzione che chiede di inserire «il diritto a un aborto sicuro e legale e l’assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva» nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. L’Europarlamento l’ha approvata con ampia maggioranza; ma le forze del governo Meloni si sono riaggregate contro.

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