Per la Lega rappresenta l’ultimo miglio di una maratona durata anni, da spendere nella campagna elettorale alle europee con una dedica al defunto Roberto Maroni. Pazienza se la riforma dell’Autonomia differenziata è ancora monca della quantificazione delle risorse per i livelli minimi essenziali delle prestazioni: il suo approdo in aula alla Camera per l’approvazione definitiva è un successo sufficiente, con la speranza di arrivare al via libera – tecnicamente possibile ma ancora incerto – prima dell’8 e 9 giugno.

«È una giornata molto importante per i cittadini italiani che si aspettano istituzioni più efficienti e più pronte», ma anche «per la Lega che da 40 anni si batte per difendere l’identità dei singoli territori», ha detto il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari, durante la discussione generale sul ddl.

Se le reazioni degli altri alleati di centrodestra sono piuttosto fredde, con il presidente di Forza Italia della Calabria, Roberto Occhiuto, che predica «prudenza», le opposizioni sono già pronte ad alzare i toni.

Il ddl è arrivato in aula dopo la bagarre in commissione, con un voto ripetuto dopo che il centrodestra era finito in minoranza. Il Pd, il M5s e Avs hanno ribadito le contestazioni rispetto alla regolarità dell’esame in commissione e i grillini hanno anche tenuto un flash mob davanti a palazzo Chigi con lo slogan: «No all’autonomia, l’Italia non si spacca». Toni Ricciardi del Pd ha sottolineato il problema di metodo, oltre che di merito: «Sono stati presentati quasi 2.400 emendamenti, sono stati discussi e votati in tutto solo 70».

Il premierato

La via dell’autonomia sembra ormai tracciata, sia che la si voti prima delle europee sia dopo. Il testo è sostanzialmente blindato perché ogni modifica prevederebbe un ritorno al Senato del ddl. Parallelamente, però, prosegue anche il premierato che è nei fatti la norma gemella voluta con forza dalla premier Giorgia Meloni in una sorta di controbilanciamento rispetto all’iniziativa leghista.

Dalla conferenza programmatica di FdI a Pescara, il ministro per i Rapporti col parlamento, Luca Ciriani, ha fatto sapere che oggi si terrà una capigruppo per calendarizzare l’approdo in Senato del ddl Casellati. «Speriamo di poter incominciare già dalla settimana del 6 maggio perché il testo è pronto e c’è il mandato al relatore», ha spiegato.

Se così fosse, le discussioni sui due testi correrebbero in modo sincronizzato nei due rami del parlamento, con la differenza però che il percorso del premierato è solo all’inizio ed è tecnicamente molto più lungo, essendo una riforma costituzionale.

La speranza di FdI, però, è di approvarlo in prima lettura entro le europee così da avere il contrappeso nel caso in cui l’autonomia ottenga il sì definitivo. «Sono due provvedimenti gemelli», li ha definiti Ciriani, «perché uno prevede un rafforzamento delle autonomie regionali in capo a chi chiede più potere e l’altro rafforza la stabilità dei governi centrali».

Nel caso del premierato, però, la via è piena di incognite: il testo uscito dalla commissione è ancora oggetto di molte critiche, anche in seno al centrodestra, dunque non è improbabile che venga ritoccato a palazzo Madama o in commissione a Montecitorio.

Il punto, tuttavia, è tutto politico. E poterne rivendicarne il contenuto in campagna elettorale è importante nella narrazione di Meloni, oltre che una prova di forza del governo. Con una certezza, però: senza conquistare i voti di almeno una parte delle opposizioni, la riforma costituzionale porterà la premier dritta verso il referendum, seppur tra più di un anno nella migliore delle ipotesi.

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