Elisa Serafini, lei è stata assessora alla Cultura della prima giunta di Marco Bucci, a Genova. Se n'è andata denunciando il malaffare con un esposto e un libro, Fuori dal comune. Oggi vive a Bangkok, fa l'imprenditrice e la giornalista. Perché ha lasciato?

Perché mi hanno chiesto di compiere atti amministrativi che andavano contro la mia coscienza e contro la legge. Si trattava di erogare fondi a soggetti che avevano portato voti alla lista del sindaco. Avrei dovuto firmare una finta consulenza. Ma era solo il caso più eclatante.

Perché si è candidata con loro?

Perché sono una liberale di centrodestra, una radicale. E Bucci sulla carta era un candidato di qualità. Sono stata eletta nel giugno 2017. Ma dopo neanche una settimana da che sono diventata assessora, i vertici della politica locale, all’epoca Giovanni Toti, Edoardo Rixi e Bucci, hanno iniziato con i comportamenti clientelari: concessioni agli amici, finanziamenti ai giornali. Ho resistito un anno, litigando, poi il sindaco mi ha detto: o firmi questa delibera o scoppia un casino.

Queste sono accuse generiche.

Nel libro e nell’esposto ho messo nomi e cognomi, carte e registrazioni. Sono gli stessi nomi che affiorano oggi, ma cinque anni prima. Sono stata parte lesa in un’indagine per abuso d’ufficio, che poi è stato depenalizzato. Mi hanno sentito i carabinieri. Ma non si è mosso niente.

Era un “sistema”?

È un sistema di consolidamento del potere e gestione delle risorse pubbliche. Voti e consenso comprati attraverso erogazioni e autorizzazioni. Non ultimo, il Comune e la Regione in quegli anni hanno dato consistenti fondi a Primocanale, tv genovese, per controllarne l’informazione. Ho scritto tutto, oggi l’editore è uno degli indagati. Ma tutti sapevano tutto, in città era una barzelletta. L’economia del territorio ormai è povera, i posti di lavoro sono scarsi e merce di scambio. Per questo è impossibile attrarre investitori internazionali: sono state fatte persino delibere contro alcune categorie di negozi: politiche sovraniste per tenere il potere concentrato nelle imprese che sostengono i vertici locali.

Che rapporto avevano, secondo lei, Bucci e Toti?

Bucci è un ottimo manager, ma è una persona non libera di prendere decisioni senza condizionamenti: obbediva a Toti, all’epoca anche a Rixi.

Perché lei era stata scelta assessora?

Perché avevo preso molti voti, ero una donna, e avevo un curriculum, e una persona con due neuroni dovevano metterla. Credevano di potermi controllare. Con me c’era una brava assessora all’urbanistica. Ma anche un’insegnante di zumba e un commesso.

Lei se ne va e alza un polverone. E l’opposizione?

In parte lo cavalca. Ma non è successo un granché. Una fetta della cittadinanza che aveva subito le dinamiche clientelari mi è stata solidale: i dipendenti comunali e regionali per esempio, alcuni dei quali avevano anche provato a denunciare. Ma altri non conoscono questi meccanismi, altri ne beneficiavano. Comunque l’opposizione non ha fatto molto perché è stata clientelare tanto quanto. Il centrodestra non ha neanche fatto spoil system, ha tenuto le clientele di sinistra e ne ha aggiunto altre.

Perché le sue denunce sono finite nel nulla?

Il primo esposto è sparito per mesi, il pm curiosamente non lo aveva ricevuto. Poi è stato aperto un fascicolo contro ignoti. C’erano giudici che andavano alle cene di Toti e Bucci. Un paio di anni dopo i carabinieri mi hanno ascoltato per un’altra inchiesta, da persona informata sui fatti: avevano letto il mio libro. Dove ho raccontato il 30 per cento di quello che ho visto. Io non sono un pezzo di questo sistema, i miei genitori non lavorano con il Comune o la Regione, ero libera. Tante persone a Genova invece non possono raccontare perché hanno un fratello in una municipalizzata, o architetto, che poi fanno più lavorare nei cantieri. È un sistema pervasivo.

Il suo libro ha ricevuto querele?

No, perché ho fatto un crowdfunding, ho raccolto 8mila euro, per farlo controllare da tre avvocati. Rixi sui giornali ha detto che ne avrei risposto davanti a un giudice, ma non mi ha mai querelata.

Quando ha appreso degli arresti, che sensazione ha avuto?

Sollievo per l’aspetto della ricerca della verità. In uno stato di diritto è bene essere garantisti, ma anche verificare i fatti non conformi alla legge che danneggiano il pubblico interesse. Ma era tutto risaputo. Anche che Toti e il suo entourage parlavano liberamente al telefono: si sentivano intoccabili. Spudorati, sempre a “sbulaccare”, come diciamo a Genova. A me Toti ha scritto un messaggio: «Per fare il bene devi coltivare il male».

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