La poltrona di commissario è già lustrata per Raffaele Fitto, la pedina giusta da inserire nel tetris delle nomine e della trattativa, alquanto complicata, con l’Europa. Il figlio d’arte - il padre Salvatore Fitto è stato notabile democristiano e presidente della regione Puglia - è pronto al grande salto da palazzo Chigi alla commissione europea.

Per l’ufficialità, comunque, bisognerà attendere ancora un bel po’: Ursula von der Leyen deve ancora passare l’esame del voto parlamentare e mettere insieme tutte le richieste delle famiglie europee nonché dei singoli governi. Non proprio una passeggiata.

Dati alla mano, bisogna attendere almeno un mese con una navigazione tutt’altro che semplice per gli attori in campo. Ma, secondo quanto risulta a Domani, il ministro del Pnrr e degli Affari europei è al «95 per cento» il profilo che Giorgia Meloni vorrà mandare nella prossima squadra di Ursula von der Leyen. Al netto delle percentuali stimate, la corsa vede un solo grande favorito.

La confidenza a Ferreira

Dal punto di vista pratico, a Fitto potrebbero andare le deleghe di Coesione e Riforme con l’aggiunta del Bilancio Ue. Un contentino aggiuntivo all’Italia. Nei fatti si tratta di portafogli non molto ambiti, ma che aggiustati con un adeguato storytelling possono passare per un successo. Nei giorni scorsi Fitto ha confidato la possibilità all’attuale commissaria alla Coesione, la portoghese Elisa Ferreira. Uno scambio di vedute per capire anche quale sia stato il lavoro portato avanti finora. E magari come potrebbe essere impostato per il futuro.

Certo, Meloni vuole valutare tutte le carte in tavola e a von der Leyen è intenzionata a chiedere di più. Anche perché la presidente della commissione sta valutando se portare sotto il proprio controllo la gestione delle politiche di Coesione. L’attuale delega di Ferreira potrebbe svuotarsi. Ecco che allora l’obiettivo principale del governo Meloni sta diventando quello di portare a casa il portafoglio della Concorrenza, casella di prestigio attualmente occupata dalla danese Margrethe Vestager.

Questo ruolo garantisce grande visibilità e l’interlocuzione con le più grandi aziende del pianeta e peraltro è destinato a una riforma per ampliare le funzioni in ottica meno sanzionatoria. Non a caso la Francia di Macron è molto interessata alla poltrona. L’ultimo italiano in quella posizione è stato Mario Monti, che a Bruxelles ha sempre goduto di notevole stima.

Per Fitto sarebbe quindi un ritorno, seppure su un gradino molto più prestigioso, in Europa dopo gli anni da eurodeputato e da grande regista dei Conservatori.

Secondo alcuni ci stava lavorando da mesi, addirittura fin dal giuramento del governo Meloni ha immaginato il passo in avanti verso Bruxelles prendendosi la rogna del Pnrr proprio per un obiettivo più alto. Il suo vantaggio è, per paradosso, la debolezza del governo italiano in fase di trattativa.

Altri papabili, in primis il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha declinato l’ipotesi. Sa che può incidere e serve maggiormente da ministro dell’Economia. In Europa non gli darebbero il portafogli degli Affari economici dopo averlo affidato a Paolo Gentiloni. Così come il ministro della Difesa, Guido Crosetto, non sarebbe interessato al trasloco europeo.

Tecnici in panchina

L’unico nome spendibile resta perciò quello di Fitto, che Meloni considera uno dei migliori del lotto e soprattutto un fedelissimo, nonostante un’estrazione e una formazione politica lontana dalla fiamma missina. «Dopo il caos dell’inchiesta di Fanpage, Fitto è considerato ancora di più l’uomo giusto perché incarna una visione da conservatore moderno», sostiene una fonte governativa. C’è tuttavia una variabile non secondaria da considerare: il peso delle deleghe.

L’attuale ministro del Pnrr è sicuramente entusiasta della nuova sfida a Bruxelles, ma non vuole andarci a tutti i costi. Di fronte all’offerta di un ruolo di scarso peso, come per esempio quello nascente sulla sburocratizzazione, potrebbe arrivare un «no grazie».

Sarebbe una debacle per Meloni, forse ancora più pesante rispetto alla partita dei top jobs. A quel punto la leader di Fratelli d’Italia sarebbe costretta a correre ai ripari e puntare su un profilo tecnico, finora scartato.

Non è un mistero che la presidente del Consiglio voglia un politico, ovviamente di Fratelli d’Italia, perché la fiducia nel prossimo è scarsa dalle parti di palazzo Chigi. Tant’è che l’opzione di Daniele Franco, già ministro dell’Economia con il governo Draghi, è subito tramontata. Il suo nome era più gradito in Ue che in Italia. Difficile spiegare a Matteo Salvini una decisione del genere per la commissione europea.

Ha perso subito quota l’ipotesi di Roberto Cingolani, ex ministro della Transizione ecologica, caldeggiata a palazzo Chigi nei giorni scorsi. Ci sono due fattori: uno personale e l’altro economico. Attualmente, da amministratore delegato di Leonardo, Cingolani muove leve decisive per l’economia e vanta uno stipendio nemmeno lontanamente eguagliabile con il ruolo a Bruxelles.

Ancora meno consistente la voce che vedeva Elisabetta Belloni come candidata al trasloco a Bruxelles: l’attuale numero uno del Dis sarà lasciata in Italia. E soprattutto non ha alcuna esperienza politica.

Sarebbe una tecnica pura in mezzo a politici navigati di tutta Europa. Ecco perché Fitto ha sbaragliato la concorrenza.

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