L’occasione sono le comunicazioni in parlamento in vista del Consiglio europeo del 27 e del 28 giugno in cui verranno formalizzate le nomine dei top jobs europei. E proprio sulle nomine Giorgia Meloni è andata all’attacco: «La logica del consenso viene scavalcata da quella dei caminetti», ha denunciato alla Camera dei deputati. Dalle 15 la presidente del Consiglio è al Senato.

Lo scontro sulle nomine

È una premier nervosa quella che si è presentata alle 9 davanti ai deputati, dopo l’accordo tra le principali famiglie europee – popolari, socialisti e liberali – sui profili che presiederanno le principali istituzioni europee: Ursula von der Leyen e Roberta Metsola confermate alla Commissione e al Parlamento europeo in quota Ppe, Antonio Costa in quota Pse alla presidenza del Consiglio europeo e la lituana Kaja Kallas come Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. Nessun nome italiano, quindi. 

«Alcuni hanno sostenuto che non si debba parlare con alcune forze politiche», ha denunciato Meloni. «Le istituzioni europee sono state pensate in una logica neutrale. Gli incarichi apicali sono stati affidati tenendo in considerazione i gruppi maggiori, indipendente da logiche di maggioranza e opposizione».

Il riferimento è alla consistenza del gruppo che la premier italiana presiede – i conservatori europei – diventati terza forza nel parlamento europeo, scavalcando i liberali. «Oggi si sceglie di aprire uno scenario nuovo, una parte decide per tutti. Una “conventio ad exludendum” che a nome del governo italiano ho contestato e non intendo condividere». L’ipotesi che circola in queste ore è che al nostro Paese possa andare una vicepresidenza «di peso». Ma da Palazzo Chigi filtra molta freddezza.

Contro l’«oligarchia» europea

In Aula Meloni ha preso di mira, come altre volte in passato, l’«oligarchia» europea. «C’è chi sostiene che i cittadini non siano abbastanza maturi per prendere certe decisioni e che l’oligarchia sia in fondo l’unica forma accettabile di democrazia. Ma io non sono d’accordo. Mi batterò – ha aggiunto – contro chi vorrebbe sublimare, in questo caso a livello europeo, una visione tecnocratica della politica e della società. Non mi stupisce che qualcun altro lo faccia perché appartiene alle sue basi culturali e perché è una lettura che consente di mantenere un potere da posizioni di debolezza. Non mi stupisce che questo approccio sia emerso prima, durante e dopo l’appuntamento elettorale».

Poi la critica dei tempi: «Non mi stupisce che sia emerso prima, durante e dopo la campagna elettorale» un certo approccio. Ma «nessun autentico democratico che creda nella sovranità popolare può in cuor suo ritenere accettabile che in Europa si tentasse di trattare sugli incarichi di vertice ancora prima che si andasse alle urne. L’errore che si sta per compiere con l’impostazione di questa logica e di una maggioranza fragile e destinata probabilmente ad avere difficoltà nel corso della legislatura – continua con tono fermo la presidente del Consiglio – è un errore importante. Non per la sottoscritta, per il centrodestra o per l’Italia, ma per un’Europa che non sembra comprendere la sfida che ha di fronte. O la comprende, ma preferisce in ogni caso dare priorità ad altre cose». 

L’Europa «gigante burocratico»

L’Unione europea, per Meloni, si è trasformata «in una sorta di gigante burocratico» impregnato di «scelte ideologiche» che hanno determinato «la distanza che oggi esiste fra cittadini e istituzioni comunitarie. La percezione è quella di un'Unione troppo invasiva negli aspetti che riguardano la vita quotidiana», ha aggiunto la premier, secondo un refrain che porta avanti da tempo e che ora, messa all’angolo nelle trattative, risfodera davanti ai deputati.

Poi un passaggio sulla crescente «disaffezione» nei confronti delle istituzioni europee, elemento che per la presidente del Consiglio fa il paio con il modo in cui è stato trattato il pacchetto delle nomine. «Il livello di attenzione e di gradimento tra i cittadini europei per le istituzioni comunitarie è sempre più basso. Il gradimento è oggi intorno al 45 per cento, un dato sensibilmente più basso di quello che si registrava qualche decennio fa, mentre la disaffezione si è plasticamente materializzata anche con un astensionismo in costante crescita».

«Lo abbiamo visto molto bene in Italia dove è andato a votare il 48,3 per cento degli aventi diritto – continua Meloni –, con una diminuzione di circa 6 punti rispetto alle europee di 5 anni fa, del 2019. Il dato basso di sempre e con una partecipazione che per la prima volta scivola sotto il 50 per cento. Ma un fenomeno che ha attraversato molte nazioni in tutto il continente e che non può lasciarci indifferenti».

Il passaggio su Francia, Germania e Spagna

Nelle sue comunicazioni alla Camera dei deputati, Meloni ha rivendicato il risultato delle urne e il conseguente rafforzamento della maggioranza al governo in Italia, a differenza di quanto accaduto in altri Paesi europei. Francia e Germania in testa, dove i partiti di Macron e Scholz hanno perso terreno.

«Se c'è un dato indiscutibile che arriva dalle urne è la bocciatura delle politiche portate avanti dalla forze politiche al governo in molti della grandi nazioni europee, che sono anche in molti casi le forze che hanno impresso le politiche europee degli ultimi anni». La presidente del Consiglio cita le percentuali ottenuti dai partiti di governo nei singoli Paesi europei: «16 per cento in Francia, 32 per cento in Germania, in Spagna il 34 per cento. Solo in Italia il 53 per cento degli eletti è espressione delle forze di governo».

I dossier

Dopo gran parte delle comunicazioni dedicate alle nomine europee, Meloni ha fatto alcuni passaggi su alcuni temi che saranno all’ordine del giorno al Consiglio europeo del 27 e 28 giugno e dell’azione della prossima commissione. Innanzitutto gli investimenti: «È indispensabile per l'Unione europea dotarsi di strumenti per sostenere gli investimenti che si è chiamati a fare e per stimolare gli investimenti privati diretti verso mercati più intraprendenti. Applicare il metodo che questo governo sta applicando in Italia: non disturbare chi vuole fare», ha sottolineato la premier, secondo cui per «essere attrattivi per gli altri» si deve «disboscare la selva burocratica».

«Tutte le forze politiche in questi mesi hanno sostenuto la necessità di un cambiamento nelle politiche europee – ha continuato –  Nessuno, tanto meno i partiti presenti in quest’Aula, si è presentato agli elettori dicendo che l’Europa andasse bene così com’era, che non c’era nulla che andasse cambiato e che sarebbe stato sufficiente mantenere lo status quo. Tutti hanno concordato su un punto: l’Europa deve intraprendere una direzione diversa da quella percorsa finora».

Poi un passaggio sui flussi migratori, tema caro alla premier ma anche all’ex e (molto probabilmente) futura presidente della commissione europea, che ha accompagnato Meloni in molte delle sue visite in Paesi con cui sono stati stipulati accordi per gestire l’immigrazione. «Prima si parlava solo di redistribuzione, mentre ora il paradigma è cambiato ma è fondamentale che questo approccio sia consolidato e diventi strutturale: la stessa lettera che la presidente della Commissione von der Leyen ha ieri indirizzato ai capi di Stato e di governo va in questa direzione, stabilendo che questo approccio debba rimanere al centro anche delle priorità anche del prossimo ciclo istituzionale».

Satnam Singh

Alla Camera la premier si è soffermata anche sulla morte di Satnam Singh, il bracciante indiano di 30 anni morto per le ferite causate da un macchinario agricolo, abbandonato senza un braccio dal proprio datore di lavoro davanti alla sua abitazione. 

«Un episodio di cronaca che mi ha lasciato esterrefatta, parlo dell'orribile morte di Satnam Singh, il bracciante che veniva dall'India, una morte orribile e disumana per il modo atroce ma ancor di più per l'atteggiamento schifoso del suo datore di lavoro. Questa è l'Italia peggiore – ha affermato Meloni –  La piaga del caporalato è tutt'altro che sconfitta nonostante gli impegni di tutti i governi, ma non intendiamo smettere di combatterla».

«Rega’, alzateve anche voi»

Il passaggio su Satnam Singhè stato caratterizzato anche da un siparietto tra Meloni e i suoi due vicepremier, seduti ai suoi lati nei banchi dedicati ai membri del governo. Quando tutta l’Aula di Montecitorio si è alzata in piedi per applaudire, la presidente del Consiglio si è rivolta in romanesco a Salvini e Tajani, rimasti seduti: «Sì, rega’, alzateve anche voi».

E poi, quando l’applauso della Camera stava per finire, il ministro degli Esteri si è rivolto a Meloni: «Faccio chiedere i visti per la famiglia (del bracciante indiano, ndr)?», ha chiesto Tajani. «Eh? Sì, bravo», ha risposto la premier.  

Le repliche di Meloni

Anche nelle repliche Meloni non ha cambiato i toni, e ha attaccato: «Io non faccio inciuci con la sinistra, non in Italia, non in Europa. Il patto stabilità non credo possa definirsi un inciucio. Ritengo che un inciucio sia guidare un governo, essere sfiduciati e mettersi d'accordo con l'opposizione per restare al governo».

E al Senato rincara la dose: «Penso che sia disgregante cercare di mettere all'angolo dei Paesi perché non se ne condividono i governanti democraticamente eletti dai cittadini». Cioè, «chi decide di non trattare con me esclude anche la nostra nazione». 

L’intervento di Elly Schlein

Nelle dichiarazioni di voto sulle comunicazioni di Meloni, ha preso la parola anche la segretaria del Pd Elly Schlein: «Trovo positivo che la presidente del Consiglio si accodi a chi, come noi, l’Europa vuole cambiarla e non uscirne. Mi aspetto che nella discussione di domani porti le priorità del Paese e non della sua famiglia politica, perché spesso le due cose non coincidono».

E in risposta alla premier, che durante il suo intervento ha parlato degli errori commessi dall’Unione europea, ha replicato: «In questo anno e mezzo voi avete messo la firma sugli sbagli», come «sul patto di stabilità» o sulla «mancanza di accoglienza. Non vi siete mai battuti, forse per non scontentare gli alleati nazionalisti».

«Lei ha detto che non farà inciuci con questa sinistra – ha continuato la segretaria dem –. Siamo noi a non essere disponibili. Se poi i socialisti in Europa hanno più voti di voi, non vi lamentate se non vogliamo allearci con gli antieuropeisti».

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